Voce dell'Est di E. 8.

Voce dell'Est Voce dell'Est Da Dubcek a Gorbaciov i i o Il golpe di Mosca è fallito da un'ora. I congiurati vengono arrestati. E' notte fonda. Demetrio Volcic abbandona la schiena sulla poltrona e sospira: «Se non fosse finita così mi sarei sputtanato per tutta la vita». Già, perché nelle dirette tv lo aveva detto subito: «Questo colpo di Stato è roba da dilettanti. Sembra condannato a naufragare». E da Roma i suoi capi si erano allarmati: ancora una volta controcorrente. Adesso che la paura è passata, racconta un piccolo mistero: chi lo ha spinto a prendere posizione con tanta sicurezza. «Avevo parlato con il generale Oleg Kalughin, l'ex uomo del Kgb negli Usa, e lui mi aveva raccontato che i golpisti non si fidavano dei giovani militari, che loro, tutti settantenni, erano costretti a rimanere svegli la notte al Cremlino per prendere ogni decisione, che non andavano nemmeno a fare pipì perché temevano tradimenti incrociati. I settantenni non fanno la rivoluzione, aveva detto Kalughin e mi aveva convinto». Demetrio Volcic è così: dietro quell'aria ironica che tutti i telespettatori conoscono c'è il giornalista che è abituato a capire prima degli altri per poi raccontare. In fretta: «Siamo o non siamo dei distributori di notizie?». «E' l'unico, vero segreto del nostro mestiere». E' anche una dote che Demetrio Volcic ha cominciato a sviluppare quarantanni fa quando lui - nato a Lubiana da genitori triestini entrò, a 22 anni, come collaboratore a Radio Trieste. Allora si occupava di sport. «Il mio primo exploit è stato nel '60, durante le Olimpiadi a Roma. A quei tempi pochi giornalisti conoscevano le lingue: così, io e Antonello Marescalchi fummo scelti per intervistare gli atleti stranieri e diventammo la voce cosmopolita della radio». La «voce cosmopolita» e una grande passione per tutto quello che si stava muovendo a Est, oltre che per gli scacchi, per il sigaro toscano, per lo sci e per il mare. Nel '61 il salto in tv. Nel '68 a Praga: l'esplosione e la fine della primavera di Dubcek. Dal '70 al '74 a Vienna, allora osservatorio privilegiato di tutto quanto accadeva oltre la «cortina di ferro». Poi Mosca, quella di Breznev, fino all'81. I primi amici russi. Come lo scrittore Alexandr Bovin «che amava molto il Campali non diluito e che diceva: ubriaco di mattina, libero tutto il giorno». E che svelava a Volcic qualche segreto del Cremlino. «Una volta Breznev doveva andare a Parigi e chiese a Bovin che cosa fare per piacere alla signora Pompidou. Bovin gli disse: dovresti sfoltire le sopracciglia e cercare di non leggere quando le dici buongiorno. Bovin da allora fu epurato. Adesso è ambasciatore in Israele». Dopo i primi sei anni di Mosca, un'altra sede: Bonn, con un occhio sempre all'Est. E, nell'88 di nuovo Mosca per l'ultima avventura dell'impero rosso. Con Mikhail Gorbaciov un rapporto di grande stima. Reciproca, anche. «Era il febbraio del '91, le prime elezioni politiche. Gorbaciov esce dal seggio e si trova di fronte centinaia di telecamere e dice: visto che non posso parlare con tutti, mi rivolgerò al vostro presidente». Il «presidente» promosso sul campo da Gorbaciov è Demetrio Volcic, che pochi mesi fa ha cambiato di nuovo sede: Vienna, da dove avrebbe dovuto seguire ancora una volta le ex province dell'impero sovietico. [e. 8.]