LA VOCE DI SALO'

LA VOCE DI SALO' LA VOCE DI SALO' «Radio Tevere» : in onda da Milano l'ultima antenna mascherata del Duce a L vercellese Paolo Fabbri nel 1944 aveva trentotto anni. Aveva lavorato come inviato speciale alla Gazzetta del Popolo, al Popolo d'Italia e al Paris-soir, dove aveva cominciato a nutrire una certa impazienza nei riguardi del giornalismo italiano a mezzo stampa, tanto che, tornato a casa, era andato a lavorare all'Eiar, insomma al giornale radio. Ma anche lì non c'era molto da divertirsi, e i tempi si erano fatti così bui. Durante la Repubblica di Salò, comunque, a Paolo Fabbri capitò un'occasione. E lui la colse. Il 10 settembre 1943 dopo l'armistizio la sede e gli impianti dell'Eiar a Roma erano stati occupati dai tedeschi. Per due giorni la radio italiana aveva taciuto. Poi aveva ripreso sotto il completo controllo tedesco, e il primo annunciatore in lingua italiana era stato appunto il tenente Theil della Wehrmacht, coadiuvato dal fantasioso giornalista Gigi Romersa che avrebbe continuato a credere all'infallibilità delle nuove armi del Terzo Reich anche dopo la fine dello stesso Terzo Reich. Più italiana era stata Radio Monaco che aveva cominciato a trasmettere appunto da Monaco di Baviera il 18 settembre con il primo discorso agli italiani di Mussolini liberato dalla prigionia sul Gran Sasso. Cesare Rivelli, corrispondente da Berlino dell'Eiar nonché dell'Agenzia Stefani e della Gazzetta del Popolo che, dopo il 25 luglio, aveva preferito restare in Germania ad aspettare l'evoluzione dei fatti, senza rispondere agli ordini di rimpatrio inviatigli da Tullio Giordana, direttore del quotidiano torinese nel perio do badogliano, aveva curato quella e le successive trasmissioni insieme con il giornalista Felice Bellotti, forse ancora più visionario di Gigi Romersa. Ma era una situazione strana, anzi paradossale, come testimonia questo messaggio del 18 ottobre di Fernando Mezzaso ma, nuovo capo del Mincul pop, a Cesare Ri velli: «Il Duce ha comunicato ad Anfuso l'ordine di mutare la denomina zione di Radio Monaco per evidenti ragioni che non possono sfuggire alla Vostra sensibi lità. Non si può, infatti, avva lorare la voce assai diffusa in Italia che il governo nazionale e lo stesso Mussolini risiedano in Germania. Mi pare che la denominazione "radio fascista repubblicana" possa essere la più idonea anche per togliere all'efficacissima azione di prò paganda che svolge Radio Monaco qualsiasi carattere di ufficialità. Quando avrete avuto la possibilità di organizzare il Vostro lavoro in modo da poter fare un salto in Italia, potremo incontrarci ed esaminare insieme l'opportunità o meno di trasferire nell'Italia settentrionale Radio Monaco in mo do da poter stabilire con me e con l'Eiar il necessario coordi namento...». La «possibilità», il «poter», il «potremo» e di nuovo il «poter» sciorinati in un solo periodo stanno a significare un indub bio impaccio, un'impotenza Radio Monaco si stava rivelan do un covo di vipere, da cui sbraitava insulti a Mussolini il lugubre, jettatore antisemita napoletano Giovanni Preziosi, odiato più o meno da tutti i fascisti, ma prediletto per il suo furore razzista dal Fùhrer. Ma ancora una volta, l'importante era l'apparire non l'essere L'opinione «assai diffusa in Italia» era quasi più veridica della realtà stessa. Alla data del messaggio di Mezzasoma, infatti, Mussolini si era appe na insediato a Gargnano da una settimana, dopo aver subito la proibizione dei tedeschi di farsi rivedere a Roma, esse re stato costretto ad indugiare alla Rocca delle Caminate, vi gilato come un prigioniero nella sua Romagna sino a cele brare la prima seduta del pri mo governo della sua seconda serie in attesa dell'assegnazione di una capitale per il suo staterello da operetta. Altro che capitale. Qualche villa e villetta sulla sponda del lago di Garda, dalle parti di Salò. L'i deale per lui che aveva sempre detestato i laghi: «questo ibri do tra fiumi e mare». Una ma linconia da togliere il fiato. rnb Si lamentava con il segretario Giovanni Dolfin: «Non hanno voluto che il Governo si stabilisse al completo, come era necessario e logico, in una città qualsiasi per evitarmi, ed evitare alle popolazioni, il pretesto dei bombardamenti. Le città vengono arate anche senza di noi. Le distanze ci dividono e questa è la ragione vera per la quale ci hanno messo in questo buco...», Si era così dato a riorganizzare con una serie di decreti spesso futili e megalomani il settore della cultura popolare, dedicando particolare attenzione alla radiofonia. Per la Repubblica di Salò la disponibilità di emittenti e, soprattutto, di quelle a onde corte, costituiva un problema essenziale. E tutto era in mano ai tedeschi, ma, almeno su questo punto, non ci si poteva arrendere. Il 2 novembre Musso- Affidaia a Paolo Fabbri, trasmetteva sulla guerra le informazioni più esatte Grandi orchestre, jazz e umorismo come varietà Il fascino della sigla di chiusura «Tornerai» Nel Sud, la prima .stazione che riprese a trasmettere fu «Radio liari», battezzatasi «Radio Italia Libera», ma sotto il controllo degli angloamericani lini aveva abolito l'Ispettorato per la radiodiffusione, e creato due direzioni generali: una per la stampa e la radio italiana, l'altra per la stampa e la radio estera, il 10 novembre il giornale radio dell'Eiar, sia pur sempre sotto il completo controllo tedesco, era stato trasferito da Roma al Nord. L'agitazione provocata presso i romani dal trasferimento aveva ottenuto il 12 novembre la sentenza ducesca che la radio segue il governo. Il 24 novembre il Centro radiofonico di Roma-Prato Smeraldo, trasferito . nella campagna di Busto Arsizio, aveva ricominciato a funzionare, con la sua stazione ricetrasmittente sia a onda media sia a onda corta. E si annunciava per fine anno la ripresa delle trasmissioni «Radio Sociale» e «Radio Famiglia». Sempre alla fine dell'anno Cesare Rivelli aveva suggellato il suo ritorno in patria con la nomina di direttore generale dell'Eiar. Ma le risorse tecniche a disposizione della Repubblica di Salò restavano sempre limitate per battersi oltre che con Radio Londra, con Radio Bari, la prima prestigiosa stazione tornata a funzionare nel Regno del Sud appena liberato, autoribattezzandosi Radio Italia Libera comunque sotto il completo controllo degli Anglosassoni che proibivano persino di dare il resoconto delle affermazioni dei sovietici sui nazisti. La prima trasmissione importante era stata «L'Italia che combatte», che si rivolgeva ai partigiani e a quanti abitavano nell'Italia ancora occupata dai tedeschi, e, quindi, da liberare, ovvero occupare. Una delle rubriche più ascoltate era «Spie al muro»; era costituita dall'implacabile lettura, per mettere in guardia i fratelli restati al Nord, dei nomi ricavati dalle liste dell'Ovra, specificante i compensi ricevuti dagli informatori della polizia segreta fascista. Molti di costoro risultavano ancora al Nord, si trattava di diffidar di loro e di neutralizzarli. Questa rubrica aveva talmente fatto infuriare Mussolini che, quando Fernando Mezzasoma gli comunicò che i tedeschi avevano rinunciato alla lunghezza d'onda della stazione denominata «Soldatenselden», propose subito un nuovo programma: «Radio Falco», una trasmissione fascistissima e durissima dedicata a risvegliare le torpide coscienze dei suoi sudditi contro i «traditori del Sud». Mezzasoma ne parlò a Cesare Rivelli e Cesare Rivelli ne parlò a uno dei suoi redattori capo, Paolo Fabbri. Gli domandò se si sentisse di far la trasmissione «Radio Falco». Paolo Fabbri rispose sì e no. Sì che si sentiva di fare una trasmissione, no che non giudicava giusto fare «Radio Falco». D'accordo, l'idea del programma era di Mussolini, ma solo i craponi al vertice potevano pensare che una campagna del genere contro i «traditori del Sud» sarebbe risultata vantaggiosa. Magari, un certo risentimento contro i fratellastri lontani lo avrebbe suscitato, ma per invidia. Perché la maggior parte della popolazione della Repubblica di Salò, visto e considerato, come andavano e come sarebbero continuate ad andare le cose, avrebbe desiderato di trovarsi al Sud, liberata dai pericoli della guerra. Altro che «Radio Falco». Non si doveva deprimere ulteriormente la gente, sbattendole in faccia la sua stessa miseria. Era indispensabile qualcosa di completamente diverso e lui credeva di sapere cosa. Cesare Rivelli comunicò quelle obiezioni a Fernando Mezzasoma e il capo del Minculpop convocò il redattore capo ribelle. Paolo a i Fabbri cominciò a' dire quello che pensava di fare. E Fernan do Mezzasoma decise che non era evitabile farlo sapere a Mussolini. Mussolini s'interessò e approvò. Nelle tre grandi storie della Rsi l'unico a ricordarlo è il veronese Silvio Bertoldi nel suo toccante Salò - vita e morte della Repubblica sociale italiana (Rizzoli, 1976). Paolo Fabbri ebbe via libera per apparire libero nella Repubblica di Salò. Un paradosso sperti cato, dato che nella succita ta Repubblica non era libero neppure Mus solini. E forse, proprio per questo, Mussolini non solo approvò il programma, ma vi interferì troppo e addirittura impedì che vi intervenissero gli altri. E ce ne furono molti tentati di intervenire. Così, dal 10 giugno 1944, ovvero appena una settimana dopo la caduta di Roma tedesca, a quanti alle 20,30 cercavano con la rituale cautela di sintonizzarsi su «Radio Londra» capitò di scoprire una nuova stazione. Per essere nuova, cominciava qualcosa di straconosciuto, l'inno di Roma di Puccini, ma il primo annuncio destava qualche curiosità: «Qui, Radio Tevere, voce di Roma libera». Roma libera? Libera nel senso di indipendente. La suggestione per chi nutriva ancora sentimenti fascisti era di credere che un'agguerrita emittente clandestina continuasse a trasmettere i suoi messaggi al Nord. Nella realtà, la sede di «Radio Tevere» era sistemata a Milano in una scuola nei dintorni del campo sportivo «Forza e Coraggio» in fondo a via Ripamonti. Era in periferia, è vero, ma anche se i buoni milanesi erano convinti che l'Africa co minciasse appena fuori la loro città, non fu possibile credere a lungo al falso: «Radio Tevere, voce di Roma libera» non edddmtvv2mdlmnp