SCANDALOSA EDITH
SCANDALOSA EDITH SCANDALOSA EDITH «L'età dell'innocenza»: il classico della Wharton rilanciato dal film di Martin Scorsese condivise anche il retroterra altoborghese, fu per più di un verso un suo epigono, perlomeno del James prima maniera, quello di «Washington Square» e di «Ritratto di signora», dove cioè la rappresentazione di un mondo sostanzialmente chiuso e schiavo dei suoi rituali aveva ancora una importanza almeno pari all'acuta descrizione delle psicologie. BENCHÉ' ormai siano disponibili in italiano parecchi libri dell'autrice dell'Età dell'innocenza (questo edito da Corbaccio), l'impressione è che come accaduto con altri autori rispettabili ma non esattamente popolari, la riduzione cinematografica del romanzo - nella fattispecie, quella di Martin Scorsese, presentata in prima mondiale a Venezia - conquisterà nuovi lettori a Edith Wharton: sarà quindi forse il caso di presentarla ancora una volta, con tante scuse ai suoi fans. Come si sa, Leslie Fiedler divise i narratori americani in due categorie antitetiche, che chiamò pellirosse e visipallidi. Mark Twain, per intenderci, è il re dei «pellirosse»; Henry James, l'imperatore dei «visipallidi». Nata a New York nel 1862, morta in Francia, dove risiedeva da molti anni, nel 1937 (durante la Grande Guerra si dedicò all'assistenza sociale), Edith Wharton è un altro visopallido per antonomasia, e non soltanto per i suoi lunghi soggiorni in Europa, Italia non esclusa (esperta di arredamento, dedicò un importante libro pioniere alle grandi ville toscane): amica personale di James, del quale che nel 1920 le fruttò il premio Pulitzer nonché, un po' in~ritardo, la fama), la distanza dalla quale la narratrice si volta a contemplare i fatti le consente un tono di serena ironia. Ed è questo a fare la differenza, che per il resto la vicenda è analoga a cento altre trattate dalla narrativa e dal teatro fine secolo, con l'attrazione provata da un giovane dabbene, pronto a prendere il suo posto nella classe dirigente, per una «donna con un passato», in origine appartenente al suo ambiente ma che trascorsi scandalosi (qui, la possibilità di un divorzio) rendono improponibile come moglie. In «The Europeans» di Henry James un onesto americano attirato da una bella compatriota reduce da esperienze chiacchierate nel Continente vagheggiava l'idea di unirlesi, ma poi non ne faceva di nulla, forse saggiamente, che in «The Second Mrs Tanqueray» (1893) Pinero avrebbe mostrato le conseguenze di un matrimonio simile: ostracismo sociale, infelicità della coppia, da ultimo, suicidio della donna. Queste sono opere militanti; sapendo di sfondare una porta ormai aperta, la Wharton si preoccupa di collocare la situazione nel suo contesto storico, del quale ricostruisce l'atmosfera attingendo alla sua impareggiabile competenza in fatto di abiti, menù, decorazioni floreali. Così comincia una festa di ricchi esibizionisti: «Il salone da ballo era stato audacemente previsto nel progetto originale della casa e quindi gli invitati, per arrivarvi, non erano costretti ad affollarsi in uno stretto corridoio... ma vi giungevano marciando solennemente attraverso una teoria di salotti (il verde-mare, il cremisi e il "bouton d'or"); cominciavano a scorgere da lontano i grandi candelabri riflessi nei pavimenti di lucidissimo legno e, ancora più in là, le profondità di una grande serra, dove camelie e felci formavano volte di fogliame costoso protendendosi sopra i sedili di bambù nero e oro». E' un mondo affascinante, anche perché scomparso, ma contro il cui fascino la scrittrice è vaccinata. Essa ne mostra tuttavia lealmente l'opulenza e la forza, così da rendere al lettore comprensibile e perfino accettabile la dolorosa resa di Newland Archer, il quale sposa la donna ideale e soffoca l'amore per la poco rispettabile cugina di lei.
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