Parliamone

Parliamone Parliamone ROMANZI E CINEMA SPOSANO LE ETNIE Ecosì, anche in Italia, la cultura comincia a percepire e a dire quella che costituisce una delle trasformazioni più radicali registrate dalla collettività nazionale: ovvero il fatto di non essere più una società mono-culturale e «biancocentrica» (Laura Balbo). L'Italia si allinea, con ritmi e modi propri, agli altri Paesi occidentali, dove etnie diverse faticosamente e, talvolta, traumaticamente - convivono. Provano a convivere. Con ansia, ma anche con impreviste scoperte e qualche positiva sorpresa. Lentamente, troppo lentamente, tali processi vengono registrati e rielaborati dalla produ zione culturale: dove, accanto a un gran numero di saggi scienti fici, risultano rari i lavori lette rari. Testimonianze e storie di vita, sì: da Chiamatemi Ali (Leonardo) di Mohamed Bouchane a Volevo diventare bianca (e/o) di Nassera Chohra e Alessandra At ti Di Sarro, da Immigrato (Theo ria) di Salah Methnani e Mario Fortunato a Io, venditore di elefanti (Garzanti) di Pap Khouma e Oreste Pivetta, fino a Lapromes sa di Hamadi (De Agostini) di Si dou Moussa Ba e Sandro Micheletti. Scarsi, invece, i testi narrativi: tra i pochi riusciti, Una ignota wm^a^matEeltrinelli) di Giulio Angiom. Un forte interesse sembra rivelare, invece, il giovane cinema italiano: dopo Un'altra vita di Carlo Mazzacurati, ora Un'anima divisa in due di Silvio Soldini (la sceneggiatura è stata pubblicata da e/o) e, tra qualche mese, Articolo 2 di Maurizio Zaccaro. I primi due film finiscono «male»: l'incontro tra un italiano e una non italiana (profuga dell'Est, zingara Rom) fallisce e sembra confermarsi, così, l'impossibilità della convivenza tra diversi sistemi di valori e diversi stili di vita. E tuttavia, a ben vedere, quello che emerge dai due film non è il senso inconsolabile di una disfatta. Quello che conta è il tentativo, più ancora del suo esito: è la voglia (e la libertà) di provare, più che la mancata riuscita: Silvio Orlando e Fabrizio Bentivoglio sono come le «avanguardie» di un «movimento» (ovvero una tendenza della vita sociale), che non annuncia la speranza - tantomeno l'utopia - di una società multietnica, pacifica e pacificata: ma ne segnala, per un verso, l'ineluttabilità e, per altro verso, la faticosa possibilità. In particolare, il benissimo film di Soldini narra le «avventure» che quel potenziale rapporto «promette» (Roberto Silvestri), perché è «felice e doloroso cambiare vita» (Lietta Tornabuoni). E' certamente doloroso, ma può risultare febee. Un momento assai significativo del film è quando la zingara Pabe chiede al milanese Pietro di mettere al mondo un figlio; e lui, che già ha lasciato un lavoro una città una vita, risponde: «Io non ce la faccio a fare più di un passo alla volta». E', forse, la ragione della successiva rottura, insieme al conflitto a proposito della diversa idea di morte e di rito funebre. Le questioni di fondo, insomma: il nascere e il morire. Vengono in mente le parole con cui si concludeva il libro prima citato di Khouma e Pivetta: «Molti [immigrati! restano, lavorano, vendono, diventano operai, anche se sfruttati più degli altri. Molti restano e conoscono delle ragazze italiane. Si innamorano. Ci sono matrimoni e anche separazioni e divorzi. E poi ancora al tri matrimoni. Nascono bambi ni». v Luigi Manconi

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