SCRITTORI di PACE

edith wharton [dimasolinod'amico] o* L'alfabeto del cuore: Annamaria testa dalla pubblicità al racconto \intervista di bruno quaranta] // mondo è un collage: un romanzo edith wharton [dimasolinod'amico] o* L'alfabeto del cuore: Annamaria testa dalla pubblicità al racconto \intervista di bruno quaranta] // mondo è un collage: un romanzo alla perec [di enrico benedetto] o* Anteprima: il diario di rosai, un «teppista» alla prima guerra mondiale 0° In viaggio sui grandi treni della letteratura [di Alessandro baricco] o* L'ultima radio di Salò [di Oreste del buono] o* Come cambia il dizionario [di Giorgio calcagno] £f Dibattito sulla crisi dell'editoria: interventi di vito Laterza e giuliano vigini o" / ANIMO XVIII. SETTEMBRE 1993 LA STAMPA Supplemento al numero odierno Sped. in abb. postale gr. 1 70 tuttolibri SCRITTORI di PACE sciato il giornale rosso Al Ittìfad sbattendo la porta per motivi ideologici («ero un sostenitore di Gorbaciov»). Non ha mai avuto vita facile. E' uno di quei settecentomila arabi di Israele, i «presenti-assenti» (Il popolo invisibile come lo chiama David Grossman nella sua inchiesta), che accompagnano, silenziosi come un senso di colpa le vicende del sciato il giornale rosso Al Ittìfad sbattendo la porta per motivi ideologici («ero un sostenitore di Gorbaciov»). Non ha mai avuto vita facile. E' uno di quei settecentomila arabi di Israele, i «presenti-assenti» (Il popolo invisibile come lo chiama David Grossman nella sua inchiesta), che accompagnano, silenziosi come un senso di colpa, le vicende dello Stato ebraico. Gli israeliani li guardano come serpi in seno, i palestinesi della diaspora come traditori scesi a patti col nemico. Ad aumentare l'ambiguità, Habiby ha ricevuto due anni fa un premio letterario dalle mani del falco Shamir. Ora, col senno di poi, quel discusso alloro suona profetico: «Premiando me, gli israeliani avevano accettato il popolo palestinese». In Israele è appena uscito l'ultimo romanzo, «Saraya, figlia del diavolo», bloccato dalla Guerra del Golfo, e in Italia sta per arrivare «Achtayeh», pubblicato da Anabasi. «Sono orgoglioso - dice Habiby - che il mio popolo, quello palestinese, sia giunto per primo alla conclusione che la pace è inevitabile. Spero che questo atteggiamento sia accettalo anche dalla maggioranza degli israeliani. Non possiamo risolvere il conflitto annientando l'avversario. E' stato possibile in America 200 anni fa con i pellirosse, in Andalusia 500 anni fa con arabi e ebrei, ma su questa terra no. Abbiamo attraversato il Rubicone, stiamo marciando verso la distensione. Il popolo Palestine- Yehoshua -. Personaggi come Habiby o Shammas, hanno svolto un ruolo fondamentale. Dall'88, da quando l'Olp ha cambiato atteggiamento verso il nostro Stato, collaborano attivamente con i movimenti pacifisti ebraici». E quella palestinese? «Non la conosco a fondo. Le poche cose che ho letto su riviste mi sembrano però cariche di odio. I libri che arrivano dai "Territori" sono a un livello letterario molto primitivo. Sembra che gli scrittori siano prigionieri di stereotipi, neanche nei romanzi accettano lo Stato di Israele. Ci trattano come una qualunque potenza coloniale, senza pensare alla nostra storia. Dimenticano che non siamo come gli inglesi in India, siamo un popolo che torna alla sua terra dopo secoli di diaspora e persecuzioni. Noi non abbiamo radici da nessun'altra parte. La permanenza in Europa ci ha resi solo poveri e sofferenti». Proprio nessuno spiraglio di dialogo con gli scrittori dei Territori? «E' difficile. Non esistono condizioni ugualitarie. Noi siamo occupanti, loro occupati. E comun¬ que è difficile incontrare intellettuali moderati. Non c'è democrazia, ogni palestinese si sente obbligato a usare le parole d'ordine del nazionalismo intransigente, a seguire gli umori della massa». Con la pace, sarete più vicini anche nella cultura? «Saremo più distesi. Ma le nostre culture sono radicalmente diverse. Noi guardiamo all'Occidente, gli arabi a Oriente. Il dialogo, nella forma, potrà essere ottimo, ma nella sostanza sarà arduo». Il prossimo passo sulla via della pace? «Uno Stato palestinese, e poi una confederazione a tre con noi e la Giordania». Arafat è sincero? «Se non lo è, ha solo da perdere. I nostri paracadutisti lo annienterebbero nel giro di un minuto, se riprendesse le armi». E per bloccare gli integralisti islamici, gli oltranzisti? «Diamogli la possibilità di governare. Quando avranno a che fare con le esigenze vere della popolazione, con la miseria, non potranno più rispondere con le formule vuote dell'ideologia. Diventeranno moderati, smetteranno di urlare». Emile Habiby FINALMENTE DISCUTERANNO I POETI E NON LE SPADE EHAIFA A storia mi ha dato ragione, anche gli amici dell'Olp l'hanno detto». Lo scrittore arabo-israeliano Emile Habiby, al lavoro nella sua casa editrice Arabesque, mescola la gioia per i venti di pace con i colpi di una tosse che ha sapore d'antico. Nato a Haifa 71 anni fa («sono più vecchio quindi dello Stato di Israele»), deputato comunista per oltre vent'anni nel Parlamento israeliano, ha la¬ bestsellers Ipolàici si ignoravano ma le letterature no Con paura e speranza si pensa ora al progetto di una federazione Tra le colombe mancano ancora gli intellettuali dei Territori e i religiosi di Gerusalemme se non può essere distrutto, ha diritto a una sua nazione». Il romanzo scritto vent'anni fa (pubblicato in Italia dagli Editori Riuniti) si intitolava «Le awenture^dL Felice Sventura, U.pess'ottimista», tra ironia, amori, extraterrestri, esprimeva uno stato d'animo lacerato da sentimenti contrastanti. Dopo lo scambio di lettere Arafat-Rabin, Habiby è ancora pessottimista? «Sono ottimista, molto ottimista sul futuro dei nostri due popoli. Io e Arafat siamo troppo vecchi per vedere la fase finale del processo di pace, ma tutto andrà bene. Per gli arabi di Israele, e per i palestinesi dei Territori, ora sarà più semplice chiedere uguaglianza di diritti». Qual è il prossimo passo da compiere? «Ho letto con soddisfazione sui giornali le dichiarazioni di Arafat: "Sono pronto, non solo per una federazione con la Giordania, ma anche con Israele". Questo è il mio obiettivo da molto tempo. Due anni fa avevo portato a Tunisi, alla dirigenza dell'Olp, il progetto della federazione, ma ero stato accolto con scetticismo. Non si può mettere una croce sui confini del '67: sono stati aperti con una guerra, è utopistico cercare di richiuderli. Lavoriamo per una soluzione che continui a tenerli aperti, che permetta a Gerusalemme di essere unita». Habiby si è sempre dichiarato figlio di Voltaire, dei grandi filosofi arabi del passato. «Quando parla la spada, la penna tace», diceva rassegnato citando il proverbio arabo se esplodevano gli integralismi, le guerre. Crede che la letteratura abbia aiutato il riconoscimento israelo-palestinese? «Da anni lavoriamo in un comitato misto di artisti e scrittori per discutere soluzioni su Gerusalemme, sui rifugiati, sui Territori. Siamo stati coraggiosi nel superare ostacoli e vincere tabù. Con articoli e libri, abbiamo dimostrato ai due popoli scettici che ci si poteva stringere la mano». C'è stata opposizione a questi abbracci? «Tra gli autori palestinesi e arabi che vivono all'estero. Molte unioni degli scrittori hanno rifiutato di intratte nere rapporti con i colleghi israeliani, finché i diritti dei pa lestinesi erano calpestati. Io so no stato aspramente criticato perché cercavo di normalizzare le relazioni». Qualche nome? «Non posso farne, perché erano sempre decisioni ufficiali. Par landò con i singoli autori, trova vo disponibilità. Ma erano inges sati dalle decisioni dei capi, dai divieti della politica. Ora le cose cambieranno. Ne ha bisogno la società, ne ha bisogno la lettera tura». Cosa farà lunedì quando le delegazioni firmeranno l'accordo a Washington? «Guarderò la tv, e mi preparerò a una grande festa». Bruno Venta voli