La politica ha fatto crack, parola di Burke di Alberto Papuzzi

La politica ha fatto crack, parola di Burke Torna il pamphlet settecentesco del grande nemico della Rivoluzione francese: e pare scritto oggi La politica ha fatto crack, parola di Burke Ma dopo oltre due secoli non si è risolto il dubbio: forse scherzava SE la credibilità e la popolarità dei politici fossero quotate in Borsa, saremmo di fronte a un gigantesco crack, da far impallidire il ricordo di qualsiasi «lunedì nero». Ma non è certo la prima volta che i reggitori della cosa pubblica sono messi alla gogna e suscitano furenti contestazioni: «Il solo nome di politico, o di statista, suscita, è certo, terrore e odio; si associa sempre alle idee di tradimento, crudeltà, frode e tirannia - si legge in un libriccino fresco di stampa -. Tutti i governi, per durare, spesso devono infrangere le regole della giustizia». Da quando queste parole sono state scritte sono passati quasi due secoli e mezzo, anche se non sembra. Chi dipingeva il mondo politi- co con un realismo così privo di attenuazioni? Un giovane studioso inglese di nome Edmund Burke, destinato a divenire famoso come irriducibile avversario della Rivoluzione francese. Nel 1756, a 27 anni, pubblicava la sua prima opera: A Vindication of Naturai Society che nella traduzione suona Difesa della società naturale, un breve saggio, quasi un pamphlet, di cui Liberilibri di Macerata propone la prima edizione italiana a cura di Ida Cappiello. Il titolo contiene un esplicito sottotitolo: «Un panorama delle sventure e dei pericoli che sorgono per gli uomini da ogni forma di società artificiale». Ma c'è un ma. Nel senso che ancor oggi non si sa se Burke parlasse sul serio o per finta. Quando scriveva, parafrasando Machiavelli, che nell'universo politico «la verità deve cedere il passo alla dissimulazione, l'onestà all'utilità, e l'umanità stessa all'interesse prevalente», 10 pensava realmente? La sua difesa della società naturale contro le degenerazioni della società politica era sincera o era scherzosa? I dubbi nascono dal fatto che 11 pamphlet era una satira, contro un erudito, il Visconte di Bolingbroke, morto nel 1752, autore di opere ispirate al libertinismo che prendevano di mira la religione e la metafisica. Burke si fingeva un anonimo nobile scrittore che inviava una lettera a un anonimo gio¬ vane Lord, la quale si rivelava una perfetta imitazione dello stile e dei contenuti delle opere del visconte. Così ci si trova di fronte al busillis: una satira in forma di trattato politico o un trattato politico in forma di satira? Lo stesso Burke alimentò i sospetti, confessando nella prefazione alla seconda edizione che il suo saggio adottava lo stile del defunto visconte, però aveva anche «una finalità più importante». Nel corso dei secoli si sono formati due partiti. Il primo garantisce che Burke non pensava ciò che scriveva, ma voleva mettere alla berlina il razionalismo, mostrando a quali eccessi conduca. Il secondo sostiene che la finzione satirica permise a Burke di esprimersi crudamente contro i politici, come non avrebbe potuto fare in prima persona. Gira e rigira il libretto fra le mani, da questo inghippo non si viene fuori. Uno sviluppo interessante della faccenda è il fatto che Burke divenne, a sua volta, un uomo politico, anzi una istituzione della politica inglese. D'altronde quella era all'epoca la sistemazione migliore per gli intellettuali senza titolo e patrimonio. A 35 anni Burke era il segretario privato di un marchese, importante esponente del partito Whig: quando questi venne nominato primo ministro, egli potè entrare alla Camera dei Comuni, dove restò felicemente per trent'anni, conquistando fama per le sue orazioni e per i suoi scritti, nonché per le sue contraddittorie posizioni. Dopo aver difeso la rivoluzione americana, si dichiarò nemico alla morte di quella francese. Come spiega Frank N. Pagano, nell'introduzione all'edizione americana di Difesa della società naturale (pubblicata anche nell'edizione italiana), accusò il governatore dell'India di usare la violenza e l'inganno, ma «si rifiutò di accettare riforme anche minime per i borghi putridi, attraverso i quali l'aristocrazia controllava l'elezione dei deputati e quindi i voti». Era anche contrario all'estensione del diritto di voto. Ma a lui si deve una celebre metafora, quando rivolgendosi alla tribuna dei giornalisti gridò durante una seduta parlamentare: «Voi siete il quarto potere!». Alberto Papuzzi Lo studioso inglese Edmund Burke, nemico della «società artificiale» (ma lui stesso visse di politica) e della Rivoluzione francese

Luoghi citati: India, Macerata