SOLZENICYN II comunismo non è morto

Il grido d'allarme del premio Nobel dal Liechtenstein, nel primo discorso in pubblico dopo il crollo dei regimi dell'Est: «Nell'ex Urss restano le radici» Il grido d'allarme del premio Nobel dal Liechtenstein, nel primo discorso in pubblico dopo il crollo dei regimi dell'Est: «Nell'ex Urss restano le radici» SOLZENICYN II comunismo non è morto VADUZ DAL NOSTRO INVIATO «Il comunismo non è morto», annuncia Aleksandr Solzenicyn. E' la prima volta da dieci anni che viene in Europa e sta per tornare di nuovo nel Vermont dopo una sosta in Vandea. A vederlo fa una strana impressione nel suo vestito di impeccabile grisaglia con una cravatta dall'incerto colore tra il giallino ed il verdino un po' troppo lucente. La sua barba è diventata piena ormai; un corposo taglio di baffi completa la copertura quasi integrale del suo viso, che è rosso, segnato da profonde rughe che testimoniano una esistenza di dure emozioni e di invincibile vitalità morale. A Vaduz, nella Accademia Internazionale di Filosofia, Solzenicyn è venuto a ricevere la laurea honoris causa che gli è stata conferita nel corso di una cerimonia ufficiale di altissimo contenuto emotivo: il diploma gli è stato consegnato personalmente dal professor Rocco Buttigliene, nella sua qualità di pro-rettore della Accademia, il quale si è rivolto a Solzenicyn in tedesco illustrando i motivi per cui l'istituto ha ritenuto di dare un riconoscimento non soltanto di natura genericamente letteraria e politica ma anche di valore morale. In realtà tra Solzenicyn e l'Accademia esiste un problema non facile di divisione su un punto saliente della morale contemporanea, si tratta della questione stessa della verità. Ma questo è un aspetto del problema tutto sommato marginale rispetto alla enormità rappresentanta dalla presenza di Solzenicyn in un contesto europeo, così lontano dai due poli americano e russo sui quali ha scandito finora la sua esistenza. Solzenicyn si è detto preoccupatissimo del fatto che in Russia ancora oggi dominino e controllino la vita quotidiana del popolo russo esattamente le stesse persone, lo stesso personale politico, le stesse strutture e gli stessi vizi che che per tanti decenni hanno dato corpo al nome e alla prassi del comunismo. Li ha chiamati con una parola difficilmente traducibile in italiano e che sta a metà tra caporioni e capibanda, e che nella traduzione tedesca offerta ai convenuti nel corso della cerimonia era stata resa eloquentemente con «Fùhrer». Solzenicyn parlava leggendo il suo discorso in russo mentre il figlio dai biondi capelli che gli cadevano sulla fronte, leggeva brani di traduzione in inglese con un tipico accento della costa atlantica americana: Solzenicyn invitato più tardi a cena in una lunga tavolata che lo ha festeggiato all'Hotel Real, interrogato sulla questione del suo possibile rientro in Russia è stato più che evasivo: appéna un anno fa il grande scrittore scampato al gulag, ad un tentativo di omicidio con una iniezione praticatagli da un agente del Kgb, e che si è esiliato ormai da 18 anni tra i boschi del Vermont dove ha ricostituito una minuscola Russia personale, non ha voluto prendere impegni su un suo prossimo rientro nell'antica madrepatria. «In questo momento il comunismo è ben lontano dall'essere morto sul territorio dell'antica Unione Sovietica e in alcune Repubbliche tutte le strutture sopravvivono e le sue radici si sono ramificate a livello inconscio nella vita quotidiana della gente. Nello stesso momento ci sono nuove grandi ferite che si stanno producendo: una forma di capitalismo nascente selvaggio, unito a forme di parassitismo improduttivo e a comportamenti repulsivi sono quelli che stanno entrando in Russia come germi provenienti dall'Ovest, ma senza alcun connotato morale». Solzenicyn ha fatto una spietata disamina dei mali che provengono dall'Ovest, che vanno a sommarsi con le antiche piaghe dell'Est, nel momento in cui avviene una sorta di innesto innaturale o quanto meno improprio sul popolo russo. Ha spiegato: «Ciò che appare veramente grave è il fatto che si sia perso in Occidente in maniera graduale il senso etico che è andato sostituendosi con una reiterazione continua della questione dei diritti che vengono costantemente a superare e sostituirsi a quella dei doveri. Ne emerge così un comportamento generale fatto di un vorace consumo di una esistenza, legata ad oggetti che di questo consumo sono gli strumenti, come la televisione. Il risultato complessivo di un atteggiamento che ha smarrito il senso morale, la proporzione e la dirittura delle cose è che alla fine si viene a produrre di fatto un comportamento che sfrutta le risorse della natura al di là delle sue possibilità. La questione del degrado del Pianeta, del disastro ecologico e quant'altro si offre ai nostri occhi in questi tempi, ha la sua radice in questo comportamento errato che nasce a sua volta da uh progressivo smarrimento della morale». Per Solzenicyn è ora di porsi tutti quanti dei limiti ben precisi e porsi limiti è per l'appunto ciò che caratterizza e qualifica un atteggiamento etico: «Ma l'auto-limitazione, pur essendo il fondamentale elemento caratteristico di un comportamento etico nell'uomo, ha come condizione prima e principale la libertà. Soltanto la nostra coscienza ci può far comprendere quale sia il ruolo delle nostre vite personali ed esempi di deviazione da tale corso da parte delle formazioni politiche e di governi sono tutte quante sotto il nostro sguardo». Solzenicyn ha ribadito più volte che due diversi atteggiamenti sono quelli che pongono l'uomo di fronte alla felicità sua propria, e quella invece che riguarda il bene collettivo: il bene, cioè, che esiste soltanto a condizione che i singoli uomini siano in grado di decidere e amministrare in severità e libertà le proprie limitazioni. Solzenicyn è stato ascoltato per quasi tre ore e mezzo da una platea silenziosissima ed attenta e soltanto alla fine quando il suo discorso è arrivato alla commossa conclusione comprendente l'unico attimo di rottura della voce nel momento dei ringraziamenti - si è sollevato un applauso che è andato crescendo e che ha seguitato ad aumentare ed aumentare fino a raggiungere il suo punto più alto dopo i due minuti. E soltanto dopo il terzo minuto, la commozione collettiva ha ceduto il passo alle manifestazioni di af- fetto che immediatamente hanno avviluppato il festeggiato. Solzenicyn non si è concesso un bagno di folla, erano con lui pochissimi intimi e il corpo docente dell'Accademia di Filosofia che lo hanno di fatto protetto da qualsiasi intrusione: impossibile parlargli, impossibile anche fotografarlo, se si fa eccezione per i quattro o cinque scatti ufficiali che hanno seguito la conferenza. Quando ha terminato il suo discorso, Solzenicyn sembrava stanco, sbalordito e felice. E' andato a piccoli passi quasi barcollando fino al pianoforte a mezza coda che poco prima aveva accompagnato una giovane e valente musicista. Su quel pianoforte Solzenicyn aveva precedentemente appoggiato la pergamena che attestava la sua laurea honoris causa e meccanicamente ha preso in mano il nastro rosso che la chiudeva e lo ha contemplato fra le sue mani come se non si spiegasse la natura e il significato di quell'oggetto. Ma è stato un attimo, lo scrittore russo ha arrotolato e poi nuovamente abbandonato il diploma e si è avviato verso le scalette del palco che conducono in platea. Solzenicyn si è riposato brevemente nella sua stanza e poi è sceso nel ristorante dell'Hotel Real dove lo aspettava una cena ufficiale con il corpo accademico dell'istituto di Filosofia e si è seduto accanto all'ex presidente della Repubblica italiana Francesco Cossiga. Tra i due c'erano brevi scambi di parole, ma Solzenicyn è apparso molto taciturno e visibilmente turbato per questo suo primo impatto pubblico con l'Europa. Il discorso di apertura e quello di chiusura della cerimonia sono stati pronunciati dal principe Nicola il quale ha tessuto le lodi e ampiamente illustrato l'opera e la figura di Solzenicyn. Lo scrittore ha ricordato, all'inizio del suo discorso, l'importanza ed il valore simbolico di una Europa come quella di queste latitudini, che ha saputo sottrarsi all'ombra delle grandi tirannie del nostro secolo. E la questione morale, più ancora della sua meticolosa e quasi maniacale analisi storica, prende il sopravvento sul Solzenicyn della vecchiaia: quest'uomo che forse da solo incarna una Russia ormai inesistente, e la incarna radicato, controvoglia e tuttavia in maniera sempre meno reversibile negli Stati Uniti, trovandosi in mezzo ad una figliolanza che si è americanizzata forse al di là dei suoi desideri e delle sue speranze, ma che sempre più sembra trattenerlo in Occidente e procrastinare anno dopo anno il suo ormai mitico ritorno in Patria. Paolo frizzanti «Molte strutture sono sopravvissute e i "quadri" rimangono di riserva» «Ma state attenti al capitalismo pernicioso che subentra ora»