«Quella» bandiera a Gerusalemme

«Quella» bandiera a Gerusalemme «Quella» bandiera a Gerusalemme E dopo lo sciopero, festa nei Territori occupati L'ORA X m ISRAELI GERUSALEMME DAL NOSTRO INVIATO Nella vecchia città araba faceva caldo, un caldo boia, umido e appiccicoso, ieri pomeriggio, quando la bandiera della Palestina è stata tirata su, lentamente, lungo la piccola asta nera appena piantata nel balcone della Orient House. In quel momento l'orologio diceva che era l'una e mezzo, l'una e mezzo della Storia, e il refolo di vento che saliva dalla vallata del vecchio Giordano non bastava a portar via il sudore dalle facce congestionate dei dignitari arabi, i rivoli che si perdevano dentro i colli duri dei pretoni schierati sotto la scalinata. Stava nascendo un Paese nuovo, in quel momento, dopo un'attesa disperata durata almeno quanto tre generazioni; e tutti applaudivano fervidamente accompagnando col respiro la piccola bandiera che s'emozionava e s'ingarbugliava dentro il filo di canapa, emozionato anche lui. Baladi, Baladi, cantavano le guardie di una improvvisata uniforme, allineate con qualche approssimazione. Si baciavano tutti e tutti cantavano, nel cortiletto cintato che sta di fronte alla Orient House; e la banda musicale di quella che sarà la nuova polizia di Palestina incrementava la confusione, suonando su sorprendenti cornamuse scozzesi un'improbabile marcetta. Per fortuna, nel candore di una platea tentata dall'orgoglio ma un po' schiacciata dai guai bastardi dell'improvvisazione, quando la bandiera alla fine è arrivata in cima un fiato di vento se l'è presa in cura, e l'ha aperta nel sole, secondo copione. Tutti hanno tirato un sospiro di sollievo, i preti in nero e viola si sono asciugati il sudore, e Baladi Baladi è sembrato ora un vero inno nazionale. Sotto le grandi magnolie aperte, il profumo delle rose era intenso, da stordire. Benvenuta, ora, Palestina. In quelle che prima o poi saranno le terre del nuovo (quasiIStato, la mattinata del giorno dell'Indipendenza si era consumata dentro strade vuote e saracinesche abbassate. L'ordine degli estremisti di Hamas, di scioperare per protesta, sembrava trionfare; ma Mahmud Al-Sarani, incontrato a Hebron, e Ahmed Sharafi, che stava attaccato alla sua porta di casa nel campo profughi di Kan Yunis, dentro la striscia di Gaza, avevano scosso la testa con uguale scetticismo. «La paura è la paura, e non avere guai è la soluzione migliore per continuare a vivere». A Hebron, città santa di Abramo, profeta di tre religioni, patria del fondamentalismo musulmano ed ebraico, lo scontro previsto s'era spento nel caldo troppo forte, e nella felicità troppo incontenibile. Era volata qualche grossa pietra dell'Intifada, ma nessun fucile badava alle bandiere colorate della Palestina - ufficialmente ancora vietatissime - che venivano sventolate per le strade da improvvisi cortei fantasma che nascevano e morivano dentro il sole. Le auto piene fino al tetto di ragazzi in festa spuntavano strombazzando da un angolo di strada, cantavano per un attimo i loro slogan alla pace e al «Presidente» Arafat, e poi si perdevano dentro un altro incrocio di strade, restituendo il silenzio alle cicale e alla noia sudata dei soldati che sbadigliavano sotto l'elmo. A Bethlem, Ramallah, Nablus, anche Gerico, quello che sembrava dovesse essere il viaggio dentro la paura si trasformava in una veloce passeggiata lungo panorami deserti; era come da noi un pomeriggio di domenica in paese, quando si aspetta la partita e il tempo se ne va immobile nella calura vuota. La festa grande era rimandata all'ora della firma, c'era una sorta di tam-tam clandestino che stava rullando su tutte le terre della Cisgiordania e preparava la nascita del nuovo tempo. Solo a Gaza, nell'inferno spietato della striscia di terra più affollata al mondo, la rabbia aveva trovato un improvviso innesco e c'era stato qualche incidente breve, con l'Intifada, i copertoni bruciati, e i soldati che alla fine sparano le pallottole di gomma e fanno 10 feriti. Ma Hamas, se questo doveva essere il suo gran giorno, aveva perduto completamente la battaglia; la gente di Paestina mostrava a stragrande maggioranza la stanchezza dell'odio. Nel primo tramonto, poi, le strade di ogni villaggio e città si erano popolate di televisori, e la gente s'affollava ad aspettare le immagini di un film sognato sempre. Ma se nel (quasi)Stato di Palestina orgoglio e felicità dominavano quest'attesa alla fine, quello che invece s'incontrava lungo le strade d'Israele era soprattutto un sentimento di accorata speranza. Tutti, uoihini e donne, sefarditi e askenaziti, i vecchi ma anche i ragazzi, ripetevano al taccuino del giornalista parole sempre simili, riflesso angoscioso di una cultura dell'incertezza che ha dominato fin dalla sua nascita la storia quotidiana di questo paese. Aspettando la firma, nella Gerusalemme ebraica i ragazzi della pace distribuivano con un sorriso bandierine e lunghe rose; e nelle sinagoghe i vecchi alzavano canti di malinconia al Signore dei credenti. Quando i televisori hanno mostrato poi che anche l'ultimo muro era caduto, e Rabin stringeva la mano offerta di Arafat, allora le rose dei ragazzi si sono alzate verso il cielo, e dovunque «We shall overcome» ha coperto l'angoscia grigia che veniva dall'eco lontana delle sinagoghe. Erano le 5,45, l'ultimo sole al tramonto accendeva le mura bianche di Gerusalemme conquistata. E' finita così, con Israele che se ne andava a dormire neh'inquietduine di una lunga notte difficile, e con la Palestina che invece aspettava tra canti e balli l'alba del nuovo giorno. La pace difficile è nata, benvenuta. Mimmo Candito RICONOSCONO ISRAELE ?è PAKISTAN \ g| MALI shes afghanistan | ,^M1g1r~ igg BANGLADESH^ m M M iran D kk CIAD j WSE INDONESIA | rereWAÌf 1 WS marocco ii 7 te* algeria | 3 W# LIBIA ^GIORDANIA I • BSTOMAN | fm UBANO Jllre SOMALIA' Il rO MAURITANIA | tJfcSUDAN mTyemen ì BARHEIN ARABIA SAUDÌTAÌ IL VATICANO RICONOSCE ISRAELE RICONOSCONO ^ ISRAELE fcg TURCHIA | K^KIRGHlSIStAlPi ,- L, J: '% fcj TURKMENISTAN) tC-g TAGIKISTAN!

Persone citate: Ahmed Sharafi, Arafat, Benvenuta, Mimmo Candito, Rabin, Yunis