Hanno vinto i più belli di Lietta Tornabuoni

Hanno vinto ipiù belli SUCCESSO Hanno vinto ipiù belli VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Hanno vinto i più belli. Il Leone d'oro ex-aequo a «Short Cuts» (America oggi) di Altman e a «Trois couleurs. Bleu» (Blu) di Kieslowski premia a pari merito gli Stati Uniti e l'Europa, un film corale e un film individuale, l'espressione d'un malessere sociale e l'analisi d'un personale dolore esistenziale: per di più rispecchia almeno uno dei temi più frequenti nei film della Mostra, l'autoreclusione, il rifiuto della normalità e degli altri, la pulsione di fuga, interpretati meravigliosamente da Juliette Binoche giudicata la migliore attrice. Fabrizio Bentivoglio è bravissimo in «Un'anima divisa in due» di Soldini, ma Harvey Keitel in «Occhi di serpente» di Abel Ferrara è più bravo di lui, e per quanta ammirazione e simpatia si possano avere per Mastroianni che in «Uno, due, tre, stella» di Blier ha una piccola parte e per Anna Bonaiuto in «Dove siete? Io sono qui» di Liliana Cavani, tre premi di recitazione ad attori italiani sem brano sproporzionati: specie nel confronto con gli straordinari interpreti di Altman, pure premiati in gruppo. Il premio speciale della giuria a «Bad Boy Bubby» di De Heer va al film più autenticamente radicale, più feroce, e più anticonformista perché concluso da un lieto fine, che si sia visto finora a un festival: con un giovane protagonista afasico e segregato, amante della atroce madre anziana, assassino di due coppie di genitori e d'un gatto, torturatore e mangiatore di scarafaggi, maltrattato nel mondo e violentato in prigione, alla fine felice marito di un'infermiera in un istituto per spastici. Il Leone d'argento al film del Tagikistan ha almeno un valore di testimonianza, d'incoraggiamento. Naturalmente, inclusi, i quattro Leoni d'oro alla carriera, i premi sono troppi: il crescere del numero ne diminuisce il prestigio, l'allungarsi della lista finisce per risultare comico o magari patetico. Ma i riconoscimenti della cinquantesima Mostra sono tra i meno discussi e del resto gli spettatori possono giudicare da sé: contrariamente a quanto accadeva nel tempo dei film-Leone mai visti dal pubblico, le opere premiate sono già uscite nei cinema o stanno per uscire, non per caso a vincere sono pure le società di distribuzione italiane. E' stata tra le meno discusse anche la Mostra, e giustamente: il direttore Gillo Pontecorvo è riuscito in un'impresa che pareva impossibile. Certo, la Biennale da cui la Mostra dipende è ancora, e resterà per almeno due anni, governata da un consiglio direttivo eletto secondo le vecchie abiette regole della spartizione partitica. Certo, la presenza americana era soverchiarne, quella italiana molto generosa. Certo, Madonna non s'è vista e le apparizioni di alcune star americane sono state d'una velocità promozionale, d'una degnazione strumentale poco lusinghiera: però di divi il festival ne ha avuti quanti ne ha voluti. Certo, la maggior parte dei giovani registi del Panorama italiano sono risultati deludenti: e forse, quando c'è poco da esibire, tanto vale lasciar perdere. Certo, la Retrospettiva s'è rivelata un po' pretestuosa, arrangiata: questo tipo di rassegna è una componente culturale cruciale dei festival, meglio non farla che improvvisarla. Certo, disguidi o pasticci organizzativi e inadeguatezze anche vistose degli apparati di sicurezza non sono mancati: restano indimenticati Martin Scorsese preso dall'asma per lo spavento della folla troppo pressante e vicina, Steven Spielberg allarmato e stranito dall'irruzione di Chiambretti armato d'un uovo di dinosauro. In compenso, pochi film davvero brutti, rare giornate grigie, moltissimi cineasti importanti e affascinanti, tanta gente giovane, dibattiti non inutili, allegria e passione del cinema: un vero successo. Lietta Tornabuoni anl 1

Luoghi citati: America, Europa, Stati Uniti, Tagikistan, Venezia