La solidarietà avvelena anche te

«Benefattori incapaci, risarcite i danni» polemica. Un pamphlet controcorrente dell'economista Ricossa: l'egoismo fa bene alla società La solidarietà avvelena anche te «Benefattori incapaci, risarcite i danni» I è quasi indifferente scrivere prò o contro la solidarietà, sebbene a scriverne contro mi annoi meno. Ormai la solidarietà ha ricevuto tutto l'incenso che merita e un tantino di più, e qualche lettore egregio comincia a sentire il bisogno di cambiare profumi per evitare il voltastomaco (...). Personalmente penso che l'antisolidarismo, o egoismo che dir si voglia, non abbia alcun bisogno di essere imparato. Esso è noto in modo spontaneo a vaste popolazioni e praticato con profitto senza ammetterlo. Al cugino licenziato Milton Friedman ha proposto un ennesimo emendamento alla Costituzione americana: «Chiunque è libero di fare del bene, ma a sue spese». Però non basta, l'emendamento presuppone che il benefattore lo sia sempre davvero, senza errori che invertano da positivo a negativo il segno dell'effetto, anzi degli infiniti effetti da lui provocati. Un ulteriore emendamento dovrebbe prevedere che il benefattore incapace risarcisca di tasca sua coloro che voleva beneficiare e invece ha danneggiati; un onere, tuttavia, tendente al sovrumano. Ho perso un po' di tempo per aiutarti, cugino, e pazienza, ma se dovessi mantenerti fin quando non trovi un nuovo impiego, non ce la farei. Anche se ti cedessi l'intero ricavo, al netto delle imposte, di questo pamphlet, coprirei le tue spese al massimo per sei mesi, e in sei mesi sono sicuro che non troveresti un altro posto di lavoro. Dedurresti implacabilmente che conviene restare disoccupati, se qualcuno col complesso di colpa ti paga il pane e il companatico, le sigarette, il cambio del guardaroba, l'affitto, la schedina del totocalcio e il resto che si addice a un giovane scapolo come tu sei. Col tuo modo di ragionare, saresti in buona compagnia, ti comporteresti esattamente come un cliente tipico del welfare state degenerato, in cui l'assistenza rende più del lavoro, si procreano figli illegittimi a spese del contribuente abbastanza stupido da non evadere, e si piantano le mogli disoccupate affidandole alla pubblica carità. Fratellanza con il trucco Solidaristi piantatela col trucco per cui ogni difetto della fratellanza sarebbe legato al fatto che la fratellanza non è universale (dico fratellanza; il cosmopolitismo non c'entra). Il vostro pseudo-ragionamento è questo: esiste un egoismo individuale, un egoismo familiare, un egoismo di conventicola, di setta, di partito, di classe, di razza, di gusti sessuali «particolari», un egoismo campanilistico, nazionale, ideologico, teologico, internazionale, e fino a che un egoismo di tal genere è dentro di noi, non ci è dato di praticare la fratellanza nel senso virtuoso della parola. La fratellanza o è universale o non è. Gli arcisolidaristi precisano: fratellanza universale è quella estesa a ogni essere vivente animale, vegetale e ^determinato come il virus del raffreddore (mi viene in mente perché sono raffreddato mentre scrivo la pagina). Di fronte a una esagerazione così smaccata, rispondo col monito di Garibaldi ai romani, che lo festeggiavano rumoreggiando eccessivamente: «Romani, siate seri». Solidaristi e arcisolidaristi, siate seri. Ahimè nessuno ha finora inventato l'arma letale contro il virus del raffreddore, ma la userei senza esitare, se ci fosse. Non amo l'ortica e la zanzara (femmina), che mi pungono, non ci riesco, è più forte di me. Invito la zanzara (femmina) a concentrare l'attenzione sui fedeli della solidarietà, io non sono nel numero. Se il gatto uccide il topo, sto col gatto. Se il mio cane uccide una gallina, sto col cane. Se un cane uccide la mia gallina, sto con la gallina. Educa meglio mamma gatta L'educazione scolastica degli esseri umani è probabilmente peggiore di quella che una qualsiasi mamma gatta dà ai suoi gattini, i quali sono immediatamente e realisticamente istruiti su come cavarsela in un mondo zeppo di insidie. Al contrario i bambini, e ancora i seminaristi e gli studenti, sono allevati spesso da maestri pericolosi e inconseguenti, predicatori del paradosso che non si debba cercare il proprio «vile» interesse. Perché vile? Ma se perfino il comandamento religioso più esigente non ci chiede che di amare il prossimo come noi stessi'. Non di più: come noi stessi. San Martino non dà al povero infreddolito il suo intero mantello, ne dà solo mezzo. I meriti della reclame A qualche intellettuale non piace la televisione, in specie la televisione privata, e solo per questo depreca che milioni di persone la guardino. Qualche altro intellettuale ama andare in televisione, e allora protesta se a guardarlo sono in pochi. Molti appartenenti alla république des lettres scrivono peste e corna della pubblicità commerciale, ma non rinunciano alla pubblicità in favore dei loro libri, che non è mai abbastanza. (...) A me pare che la reclame abbia meriti, insieme alle colpe: per esempio, ha diffuso i deodoranti, e se i tram e gli autobus ancora puzzano è perché c'è poca reclame, non troppa. La religione dell'Umanità Non è che solidarizzare sia sempre un bene o sempre un male, conta il per chi e il per come. Troppa gente invece si vanta di professare il solidarismo in sé e per sé, come reli¬ gione dell'Umanità, e qualunque cosa faccia deve farla tirando in ballo giaculatoriamente l'interesse degli altri. E contro questa gente che inveiva l'abate Galiani in uno scoppio di sincerità e di verità: «Che ciascuno faccia come me e parli secondo i suoi interessi, non se ne discuterà più in questo mondo. Le tiritere e il chiasso derivano dal fatto che tutti si impicciano a patrocinare la causa degli altri e mai la propria. L'abate Morellet patrocina contro i preti, Helvétius contro i finanzieri, Baudeau contro i fannulloni, e tutti per il maggior bene del prossimo. Peste sia del prossimo. Non esiste prossimo. Dite ciò che vi conviene, o statevene zitti. Addio». Sergio Ricossa ENTRE il Papa trae nuovi spunti dalla recessione economica, per tuonare contro le storture egoistiche del capitalismo e riproporre instancabilmente la soluzione altruistica, mentre i sindacati invitano a essere uniti e solidali, e nel mondo del lavoro fanno la loro comparsa i «contratti di solidarietà», nel coro delle buone intenzioni si registra una voce dissonante. E' quella di Sergio Ricossa, economista di chiara fama, con una torinesissima vocazione al «bastiancontrarismo», tacciato da alcuni di manie destrorse ma forse più propriamente caratterizzabile come un implicito anarchico stirneriano. Il professore ha appena scritto un pamphlet spiritoso e mordace, in uscita da Rizzoli, il cui titolo è tutto un programma: Ipericoli della solidarietà. Epistole sul dosaggio di una virtù. Provocatorio fin dalla copertina, dunque. Ma poteva essere peggio: Ricossa ringrazia l'editore, «che mostra interesse alla mia incolumità», per la decisione di rendere meno offensivo il titolo originariamente previsto, Contro la solidarietà. Non si sa mai, «qualche cruento matto solidarìsta» c'è anche in Italia. Con uno stile che ricorda vagamente il Bertrand Russell dell'Elogio dell'ozio, con uno spiccato gusto per l'aforisma e per la citazione dotta, e un debole per Cioran, Ricossa riversa sul lettore una serie di apparenti paradossi che alla fine si convertono in squarci di (amare) verità. La formula scelta è una serie di dodici lettere a mittenti sconosciuti o immaginari (una sconosciuta triste, un fratello inesistente, un cugino innominato, un nipote futuro, la gatta, un collega, addirittura Groucho Marx). Antisolidarismo e apologia dell'egoismo illuminato ne sono il Leitmotiv, ma non esauriscono la polemica: in qualche caso servono più che altro da spunto per divagazioni avvelenate che colpiscono vezzi, costumi e malcostumi dell'Italia, in particolare del mondo accademico e intellettuale. Ne anticipiamo alcuni stralci, [m. as.] «Perché condannare la ricerca del proprio "vile" interesse? Ama il prossimo come te stesso: non di più» L'economista Sergio Ricossa. Nell'immagine in basso una manifestazione operaia

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