I fascisti di Monelli di Paolo MonelliOreste Del BuonoPaolo Monelli

«Roma '43»: un grande testimone «Roma '43»: un grande testimone I fascisti di Monelli Paolo Monelli FBI I ORNA ad apparire con '■'garbata prepotenza, in questi giorni in cui vien celebrato in tutte le sal* Ise l'incelebrabile anno 1943, un classico d'epoca. S'intitola con puntualità Roma 1943, è stato scritto da un giornalista che si piccava non a torto di scriver bene, Paolo Monelli (Fiorano Modenese 1891 - Roma 1984) ed è apparso per la prima volta all'inizio del 1945 presso l'editore Migliaresi di Roma, quando l'Italia del Nord non era stata ancora raggiunta dai liberatori almeno cosiddetti tali. Da allora è stato sempre ristampato, anche se cambiavano gli editori. Oltre a quella Migliaresi del 1945, che ormai va in polvere anche solo a sfogliare le pagine di cartaccia depauperata dalla guerra, ne possiede un'edizione Mondadori del 1948, un'edizione Longanesi del 1963, tutte con premesse particolari e aggiunta di note dell'autore ancora vivente. Questa nuova edizione, invece, che esce negli Einaudi Tascabili, ha la premessa di uno storico, Lucio Villari, che la definisce «opera di grande giornalismo e di intensa testimonianza morale», «modello inarrivabile (forse unico) di cronaca autentica, di verità essenziale che poco o nulla ha a che vedere con la tradizione spesso dissimulatrice del giornalismo italiano», «libro di storia, scritto, però, come dovrebbero sempre gli storici; cioè con rispetto per lo stile». Sono riconoscimenti di grande valore perché rilasciati da uno storico che, al contrario di molti altri suoi colleghi, sa scriver molto bene, ovvero molto chiaro, e non rischia mai di aggiungere la faticosità dell'esposizione alla gravità degli eventi trattati. Paolo Monelli si merita davvero grandi elogi per questa narrazione di Roma, fatta con grande impegno a cogliere l'autentico senso di quanto accadeva di importante, ma senza trascurare i particolari che, a volte, possono dare la chiave per comprendere gli apparenti paradossi, le contraddizioni teoricamente inammissibili. Un'opera ancora oggi, anzi oggi forse più di ieri, godibilissima, affascinante. Paolo Monelli è stato tra i giornalisti più in vista del periodo fascista. Universitario, si avvicinò al giornalismo come stenografo del Resto del Carlino. Andato al fronte mandò qualche corrispondenza sulla prima guerra mondiale. Concluso il conflitto, cominciò a fare stabilmente il corrispondente e l'inviato. Ma, il primo successo, lo raggiunse pubblicando a sue spese il diario della sua guerra alpina: Le scarpe al sole, di cui furono divorate una quantità di edizioni, mentre lui passava dal Carlino alla Stampa, dalla Stampa al Secolo, dal Secolo al Corriere della Sera, dal Corriere alla Gazzetta del Popolo e dalla Gazzetta di nuovo al Corriere, viaggiando in tre continenti e partecipando persino, nel 1933, alla crociera di Balbo in America con apoteosi del regime fascista. A proposito del repentino voltafaccia nel 1943 del popolo italiano rispetto al fascismo, Paolo Monelli avanza proprio nelle prime pagine di questo libro g una tesi in certo qual modo giustificante anche il suo personale bagno nell'antifascismo e nella democrazia. La tesi di Paolo Monelli è che, di fascisti veri e in buona fede, nel 1943, in Italia, ce ne fossero proprio pochini. Lo dice e lo ridice: «Mentre i gerarchi, il capo continuavano a concionare di guerra fascista, di eroi fascisti, di mete fasciste, il popolo stanco di ritornelli, di luoghi comuni, di esaltazioni, identificava fascista con tutto ciò che era frusto, ostico, irritante... Sarebbe diffìcile calcolare chi potesse chiamarsi veramente e in buona fede fascista di quei milioni di tesserati e irreggimentati. Ogni calcolo sarebbe sempre arbitrario; in ogni nazione vi sono i creduli che bevono ogni predicazione, si persuadono a ogni voce di propaganda; vi sono i vecchi e gli amanti del quieto vivere che non sanno e non vogliono cambiare opinione; vi sono giovani esuberanti che cercano a ogni costo una consegna e una parola d'ordine... Ma della generazione dai quaranta ai cinquanta, di coloro che avevano avuto venti e tren t'anni all'inizio del movimento e l'avevan voluto o promosso o appoggiato, si può dire che non ci fosse più uno che ci credesse, e nel segreto del cuore nemmeno coloro che ci avevano lucrato, ci avevano avuto cariche e onori e carriera...». Detto questo, Paolo Monelli non ci sta più a discutere la sua vicenda personale, comincia a raccontare la storia di Roma dal 25 luglio 1943 al 4 giugno 1944 e, anche per chi come me rilegge questo libro per l'ennesima volta, risulta impossibile coltivar dubbi e perplessità. Anche le note che via via Paolo Monelli ha inglobato nelle varie edizioni, mettendo scrupolosamente e impavidamente a confronto correzioni ed errori e concedendo un minimo di informazione sul perché degli errori, anche questo tornare di Paolo Monelli sul già scritto, ma non per modificarlo, bensì per arricchirlo di qualche altra fronda vitale, è esaltante. Un individualista come lui, un bizzarro, con tic, mode e manie da eccentrico a poco a poco si sperde e moltiplica nella folla di una grande città stordita e umiliata dalla paura. La voce del narratore si frammenta nelle voci cittadine. «Questo libro non vuole essere lavoro di storico né di annalista; ma la narrazione di quello che ho visto, e che sono venuto a sapere parlando con i maggiori testimoni o protagonisti di quei fatti. II giornalista può dispensarsi dalla citazione delle fonti; tanto maggiore ho sentito il dovere di essere il più possibile bene informato, imparziale, coscienzioso nel vagliare le diverse informazioni...» dice con orgogliosa umiltà Paolo Monelli. Lo storico Lucio Villari gli risponde un mezzo secolo dopo: «Roma 1943 è uno dei "documenti" della Roma del 1943-'44. In altre parole, Monelli e il suo libro sono tra le fonti primarie, come si dice nel linguaggio della filologia storica, per penetrare nel clima sociale di quei mesi incandescenti». Oreste del Buono Paolo Monelli