Fabbri all'Onu non si spara sulla folla di Francesco Grignetti

Il generale Canino: hanno cercato di coinvolgerci nelle stragi di Mogadiscio per incastrarci Il generale Canino: hanno cercato di coinvolgerci nelle stragi di Mogadiscio per incastrarci Fabbri all'Orni, non si spara sulla folla Tornano iparà, elogi a Loi PISA. Rientrano dalla Somalia i para e il ministro Fabio Fabbri corre nella loro caserma a salutarli. E' il momento delle fanfare, ma anche delle valutazioni. «Noi avevamo visto giusto - dice Fabbri - ma ogni più pessimistico scenario è stato superato dai fatti. Lo snaturamento della missione e i rischi di una successione quotidiana di massacri è sotto gli occhi di tutti. Sparare sulla folla è l'antitesi di un'operazione umanitaria». E intanto i militari italiani rivendicano con orgoglio la loro diversità. «Duemila anni di civiltà e di storia servono a qualche cosa» dice asciutto il generale Loi quando gli chiedono di commentare la sua vicenda. «I tempi del generale Bava Beccaris, per noi, sono assai lontani», spiega il capo di gabinetto della Difesa, ammiraglio Stagliano. E il capo di stato maggiore dell'Esercito, generale Canino: «Ci volevano coinvolgere a tutti i costi in azioni cruente per incastrarci. E contro di noi c'è stata una continua disinformazione». Il generale ha più di un sassolino nella scarpa da togliersi. Approfitta di una conferenza stampa, con il ministro, a fine cerimonia. «Noi non abbiamo mai creduto - dice Canino - nella tattica dei posti di blocco. Pensavamo piuttosto a una vigilanza mobile. Ma il comando Unosom ce l'ha ordinato e noi abbiamo obbedito». Poi la storia della disinformazione: «Un sistema potente che ha fatto della disinformazione accurata. Tutto è cominciato con il Washington Times. Poi Newsweek. Chi c'era dietro non lo dico, ma penso a determinati ambienti». La battaglia del 2 luglio, quando morirono tre ragazzi italiani? «Ne ho parlato con Loi anche oggi. Non riusciamo a capire perché ci hanno sparato addosso. Tutto andava bene, fino a quel momento. Ma non abbiamo perso la testa, anche se il dolore era tanto». Canino, insomma, ha deciso di dire chiaro e tondo quello che pensa di questa disgraziata trasferta somala. Al generale brucia soprattutto l'accusa di Vigliaccheria: «Il comando di Unosom sapeva benissimo che noi avremmo provato. a rientrare in possesso del check-point Pasta senza sparare e con la trattativa. Tanto lo sapeva, che ci ha concesso due giorni in più per trattare con gli anziani del quartiere. Oserei dire che qualcuno, a Unosom, abbia sperato che fallissero quelle trattative. Ma non è andata così. Loi è stato bravissimo». Canino fa una smorfia. Accanto a lui, il ministro Fabbri si agita sulla sedia. Il passaggio, diplomaticamente e politicamente parlando, e delicatissimo. Ma il militare va giù duro, tra gli sguardi compiaciuti di generali e colonnelli: «E allora, come facciamo ad incastrarli, gli italiani? Facile. Ec- co l'ordine di procedere con la forza. Ci voleva poco. Due carri armati, qualche elicottero, i nostri para. E magari un centinaio di morti, dalla parte somala e dalla nostra. Noi pensiamo che ci fosse una volontà sistematica di coinvolgerci in azioni cruente». Insomma, la festa per il rientro in Italia dei paracadutisti, e gli onori ai caduti - ricordiamoli, i poveri Stefano Paolicchi, Andrea Millevoi, Pasquale Baccaro, Gionata Mancinelli, Giovanni Strambelli - si trasforma in un atto di accusa. Le notizie che rimbalzano da Mogadiscio, poi, turbano Fabbri. Ma adesso, per fortuna, gli italiani ne sono fuori. «Il capitolo Mogadiscio è chiuso», dice dal palco. E annuncia che incontrerà presto i due colleghi tedesco e statunitense per cercare di sbloccare la situazione, magari facendo ricorso ai buoni uffici dell'Oua, organizzazione degli Stati africani. Tempo di bilanci. Quello italiano, secondo il ministro della Difesa, è tutto in positivo; non altrettanto gli altri. Piovono accuse, velate ma inequivocabili, sull'Onu e sui partner della missione umanitaria. Capitolo razzismo: «Abbiamo dimostrato cos'è l'umanesimo italiano: importanza primaria alla dignità dell'uomo anche quando il nostro prossimo è un somalo povero, affamato e dalla pelle nera». Capitolo interessi inconfessabili: «Noi non abbiamo secondi fini. Non torniamo laggiù a fare i padroni. Sì, leggo anch'io di implicazioni petrolifere. Ma non so. Dico solo che noi siamo andati in Somalia per una missione umanitaria. Mi auguro che sia così per tutti». Capitolo efficienza: «Quando noi italiani abbiamo abbandonato un posto di blocco si è gridato allo scandalo. Ma quanti ne controllano, oggi, a Mogadiscio Sud? E quanti ne riusciranno a tenerne senza di noi?». Capito¬ lo diplomazia: «Noi abbiamo detto che bisognava trattare con tutte le fazioni e ci hanno aggredito. Poi abbiamo visto che l'ambasciatore Usa è andato a parlare con il numero due del clan di Aidid». Conclusioni: «Per come si sono messe le cose, dovrebbero radere al suolo la città. Invece serve una iniziativa politica. Solleveremo ancora il problema davanti all'assemblea dell'Onu. E per le prossime missioni meglio sarebbe affidarsi alla Nato, che è una struttura militare collaudata, idonea e integrata». Francesco Grignetti Stretta di mano tra il ministro della Difesa Fabbri e il generale Loi a Pisa alla cerimonia per il rientro dei para Nel riquadro il segretario dell'Onu Ghali.

Luoghi citati: Italia, Mogadiscio, Pisa, Somalia, Usa