eliminate Allende La morte di un'illusione

ALLENDE L'11 settembre di vent'anni fa il golpe in Cile: Pinochet ordina l'assalto alla Moneda ALLENDE La morte di un'illusione 1SANTIAGO L bombardamento finale s'iniziò pochi istanti prima di mezzogiorno. Uno dietro l'altro, i caccia Hawker Hunter giravano intorno al San Cristobal, la collina che domina Santiago, e si tuffavano in una lunga picchiata fin sopra lo scalo ferroviario di Mapocho, dove sganciavano i missili. Un obiettivo facile, come in un'esercitazione; i piloti non sbagliarono un colpo. Venti minuti dopo, la Moneda, il palazzo presidenziale, era completamente avvolta dalle fiamme. Da Plaza de la Constitución, i carri armati cominciarono a cannoneggiare l'edificio. L'ordine del generale Beaza, l'ufficiale golpista al comando dell'operazione, era stato chiaro: «Di quelli là dentro, e specialmente di Allende, non deve restare traccia: bisogna sterminarli come scarafaggi». Nel palazzo, l'aria è ormai irrespirabile. Le poche maschere antigas disponibili passano di mano in mano. Chi è rimasto, ha deciso di resistere fino alla fine insieme al «compahero presidente»: sono sei o sette uomini del Gap, la sua fedelissima scorta personale, e poi un avvocato, due giornalisti, un economista, quattro medici, un sociologo, uno psicologo, quattro rninistri. Dei pochi che sopravviveranno all'ultima battaglia, oltre metà morirà sotto tortura nei giorni successivi. Salvador Allende, che amava il buon vino e i bei vestiti, si toglie la giacca di tweed e infila un elmetto; lui, che guerrigliero non era stato mai, che da vecchio socialista riformista aveva sempre preferito il dialogo alla violenza, decide di morire con in mano il Kalashnikov regalatogli da Fidel Castro. Muore così, poco prima delle due in quel pomeriggio lontano dell' 11 settembre 1973. Muore suicida, quasi certamente, pur di non cadere nelle mani dei militari. E con lui, muore il sogno di Unidad Popular, della «via cilena al socialismo»: l'utopia di una rivoluzione radicale ma «democratica, pluralista e libertaria», in cui il potere nascesse dalle urne e non «dalla canna del fucile». Che il suo compito non sarebbe stato facile, Allende l'aveva saputo sin dall'inizio. • Quella del 4 settembre 1970 era la quarta elezione presidenziale a cui partecipava, e stavolta ce la fa di stretta misura: appena 39 mila in più del candidato della destra, Jorge Alessandri. E' alla testa della Usta di Unidad Popular (Up), un «fronte popolare» formato dai partiti socialista, comunista e radicale, e tre gruppi minori di estrema sinistra (Mir, Mapu e Api). Allende convince i parlamentari democristiani a votare per lui nel ballottaggio finale. In cambio, si impegna a garantire il rispetto di tutti i diritti costituzionali. Ma questa garanzia non basta alla Casa Bianca. Henry Kissinger sostiene apertamente di «non capire perché dovremmo rimanere a guardare impassibili mentre un Paese diventa comunista per l'irresponsabilità del suo popolo». E Nixon dà istruzioni al direttore della Cia Richard Helmes di «fare tutto quello che può per salvare il Cile». Prende così forma il piano «Track II»: la Cia prende contatti con gli ufficiali di estrema destra che l'anno precedente avevano partecipato a un putsch fallito. I cospiratori decidono di sequestrare il generale René Schneider, capo di stato maggiore dell'esercito e tenace difensore della «dottrina di non intervento» dei militari. Il piano fallisce: Schneider reagisce e viene ucciso, le Forze Armate non insorgono, e due settimane dopo, il 3 novembre 1970, Allende si insedia ufficialmente alla Moneda. Malgrado ogni nuova legge debba essere approvata da un Parlamento in cui Unidad Popular è in minoranza, il ministro socialista Vuskovic conduce con successo una politica di «ristrutturazione sociale dell'economia» di chiara ispirazione keynesiana: i salari aumentano in media del 60%, crescono di due terzi le spese sociali, la riforma agraria fa passi da gigante. Comincia, soprattutto, la rapida nazionalizzazione delle banche e delle principali industrie del Paese, tra cui tutte le miniere di rame, la maggior parte delle quali di proprietà americana. Per alcuni mesi, il «miracolo» sembra funzionare: il prodotto interno lordo aumenta dell'8,6% rispetto al 1970, l'inflazione scende. Mende spera che sia ora possibile proporre la riforma costituzionale più ambiziosa, la sostituzione delle due camere del Congresso con una sola «Assemblea del popolo» controllata dalla sinistra. Invece è già cominciata la parabola discendente. Nei primi mesi del 1972 esplode il deficit pubblico e l'inflazione balza al 183% l'anno. Per evitare ulteriori aumenti, il governo determina il congelamento dei prezzi dei beni di prima necessità: la conseguenza sono scaffali vuoti nei supermercati e l'esplosione del mercato nero. Occorrerebbero capitali freschi, ma le grandi banche private e il Fondo monetario internazionale chiudono i rubinetti del credito; nello stesso periodo crollano le quotazioni del rame. Circostanze - come ammette l'allora ambasciatore americano a Santiago, Nathaniel Davis, nel libro Gli ultimi due anni di Allende - in cui hanno influito non poco le pressioni volute da Nixon per «schiacciare l'economia cilena». L'intervento Usa non si limita a questo: in tre anni, gli Stati Uniti spendono oltre sette milioni di dollari per finanziare la stampa e i partiti di opposizione. A lavorare (e pagare) per favorire il golpe è anche la multinazionale Itt, preoccupata per la possibile nazionalizzazione della sua filiale cilena, poi avvenuta nell'aprile 1972. Le élite tradizionali e i ceti medi si sentono sempre più minacciati, e molti imprenditori cominciano a fuggire all'estero. La de rompe con Unidad Popular e a ottobre, il primo grande sciopero dei 50 mila camionisti cileni paralizza il Paese per tre settimane, e termina solo quando vengono convocati a far parte del governo alcuni militari, tra cui il generale Carlos Prats, che rimarrà sino all'ultimo a fianco di Allende. I problemi si moltiplicano anche all'interno di Unidad Popular, dove ormai i «gradualisti» sono in lotta con i settori «rivoluzionari» (soprattutto il Mir e i socialisti legati a Carlos Altamirano), che premono per «andare avanti senza mediazioni» sulla strada iniziata, e iniziano apertamente ad armarsi. Allende cerca per mesi, inutilmente, di trovare un'impossibile equilibrio. Agli inizi del '73 il caos diventa generalizzato. Si moltiplicano gli attentati e gli scontri armati, e centinaia di scioperi selvaggi sconvolgono definitivamente la già traballante economia del Paese. Le elezioni politiche di marzo confermano a Up il 44% dei voti, ma i preparativi del golpe sono ormai in marcia, con l'appoggio esplicito dell'ex presidente democristiano Frei e del nuovo presidente del partito, Patricio Aylwin. Un primo tentativo fallisce alla fine di giugno, quando il deciso intervento di Prats blocca l'ammutinamento di una colonna corazzata. A dare il via alla crisi finale sono i camioni- sti, che il 25 luglio dichiarano un nuovo sciopero a tempo indeterminato, a cui poi aderiscono anche tassisti, medici, piloti, ingegneri e commercianti. Dopo due settimane il Cile è in ginocchio. E il 28 agosto il consiglio delle Forze Armate decide che è giunto il momento di intervenire. L'unica incertezza è la data per agire. Alla fine, malgrado le resistenze del generale Augusto Pinochet - nominato comandante in capo dell'esercito il 23 agosto, vorrebbe aspettare ancora qualche giorno -, la scelta cade sull' 11 settembre. Le prime notizie arrivano quando non è ancora la mezzanotte del 10 settembre. Due camion carichi di soldati sono usciti dalla città di Los Andes e si dirigono verso Santiago. All'alba la marina militare occupa senza resistenze Valparaiso, la seconda città del Paese. Giunto alla Moneda, Allende si rende subito conto che stavolta non riuscirà a controllare la situazione: i comandanti rifiutano di obbedire agli ordini. Alle 8,30 viene divulgato il primo messaggio della giunta golpista - Pinochet, l'ammiraglio Merino, il comandante dell'aeronautica Leigh e il generale Mendoza per i carabineros: «Assumiano i pieni poteri». Un'ora dopo, Allende parla ai cileni per l'ultima volta, attraverso l'unica radio di Up che ancora trasmette. «Non cederò, pagherò con la vita la mia lealtà al popolo, ma 11 seme che consegneremo alla coscienza e alla dignità dei cileni non potrà essere completamente distrutto». Quando il «compagno Presidente» muore, le sedi dei partiti di sinistra sono già tutte in fiamme, lo stadio Nacional si sta rapidamente trasformando in un Lager, e nel Rio Mapocho cominciano a galleggiare i cadaveri. Nessuno saprà mai esattamente quante migliaia di persone siano state arrestate, torturate e uccise. Negli anni successivi, l'autocritica dei sopravvissuti è stata spietata. «Non ci siamo resi conto che non si possono imporre riforme radicali quando non si ha la maggioranza in Parlamento», ha ammesso Carlos Altamirano. Dall'altro lato della barricata, il vecchio Frei è morto rammaricandosi di aver favorito il golpe, e Aylwin, diventato nel 1990 il primo presidente civile dopo 17 anni di dittatura, ha riconosciuto di avere sbagliato a immaginare che i militari sarebbero presto rientrati nelle caserme. Gh' avversari di ieri sono oggi alleati nella «Concertación democratica», che riunisce la de, i socialisti e altri partiti progressisti. La politica economica seguita dal governo civile non si scosta molto dalle ricette neoliberiste imposte dai militari. Gh indicatori, d'altra parte, sono tutti positivi: lo scorso anno il Pil è cresciuto del 10%, l'inflazione è bassa e il tasso di disoccupazione è al mini mo storico. E Pinochet è ancora al suo posto, grazie a un articolo della Costituzione che gli assicura il comando delle forze armate sino al 1997. Nessun militare è stato condannato. Alle manifestazioni non si canta più «El pueblo unido jamàs sera vencido», l'inno di Unidad Popular: gli Inti Illimani l'hanno suonata per l'ultima volta a Roma nel febbraio 1989, in un concerto d'addio, prima di imbarcarsi sull'aereo che li avrebbe finalmente riportati a casa. Gianluca Bevilacqua Il costume e le mode in Italia, un punto di vista americano, le novità politiche che il golpe innescò nel nostro Paese, le testimonianze. Nelle altre pagine di «Società e Cultura»: A PAG. 20: «Spaghetti in salsa cilena» di Filippo Ceciarelli «Ma oggi si sta meglio» di Angelo Codevilla A PAG. 21: «E Berlinguer disse: compromesso storico» di Pierluigi Battista «lo desaparecido allo Stadio» di Paolo Hutter Carri armati nelle strade di Santiago e, nell'immagine grande, prigionieri rastrellati subito dopo il golpe e rinchiusi nello stadio di Santiago Qui accanto, il generale Pinochet e, sopra, la drammatica immagine del Palazzo della Moneda in fiamme dopo il bombardamento aereo Sopra, la storica immagine di Allende con il mitra che tenta di resistere ai golpisti