«E ora, Gerusalemme»

«E ora, Gerusalemme» «E ora, Gerusalemme» Piano segreto: affidarla al Papa MAREKH ALTER L'EBREO DEB DUE MONDI LA pace sta per entrare anche in Gerusalemme. «Peres ha un progetto: vaticanizzare la città vecchia. Sì, avete ^capito bene: metterla sotto l'egida del Papa. Una sorta di Vaticano 2. E farla amministrare dai palestinesi, anche se resterà la capitale di Israele. Sorgerà uno Stato giordano-palestinese, ma dovrà scegliersi una capitale artificiale, un centro economico e amministrativo che potrebbe essere Nablus. E' il solo progetto che possa risolvere sia la questione politica che quella religiosa». Parola di Marek Halter, lo scrittore franco-israeliano amico di Arafat. Una soluzione affascinante: tutte le tre religioni sarebbero rappresentate, in forme diverse, nella loro città santa. Ma il Papa lo sa? Che ne dice? «Sì, lo sa. Peres gliene ha parlato per la prima volta già l'anno scorso, quando andò in visita in Vaticano. Mi ha riferito che Giovanni Paolo II è molto interessato». Ne ha parlato anche con Arafat? «Sì. Yasser non ha detto no. Si rende conto che è l'unica soluzione possibile. E so che la sostengono molti esponenti moderati dell'Olp, oltre a intellettuali palestinesi come Eduard Said, l'economista della Columbia University». Ma come potrà accettarla la destra israeliana? «Per loro sarà dura vedere la bandiera palestinese sulla città vecchia. Ma l'Olp non amministrerà certo tutta Gerusalemme Est: solo la parte chiusa tra le mura. Così si tarpano le motivazioni dei fondamentalisti islamici, non potranno più dire che le due grandi moschee, al Aqsa e Omar, sono in mano ebraica. Ma non per questo verrà ammainata la Stella di David: Gerusalemme resterà la capitale di Israele. Né sarà mai capitale della Palestina. Si ricordi una cosa: Rabin è il generale che ha conquistato Gerusalemme agli ebrei. E questo gli ebrei non lo dimenticano». Quale ruolo giocherebbe il Vaticano? «Nel progetto di Peres la città vecchia è sotto l'autorità spirituale del Papa. Questo consentirà allo Stato ebraico di stringere legami con il mondo cattolico e di aprire un canale di con¬ tatto che servirà ancora in futuro. C'è un piano per ingrandire il piccolo aeroporto turistico di Gerusalemme ad usum del Vaticano, e farne un nodo cruciale di comunicazioni tra legati, diplomatici, pellegrini». Che sarà della Cisgiordania? Diventerà lo Stato palestinese? «Il domani è di una confederazione giordano-palestinese. Con buona pace di re Hussein: dopo di lui, la Giordania sarà solo la provincia di un altro Stato. Ho parlato con Peres e, tre giorni fa, con Arafat. La "scaletta" che hanno concordato è questa. Il prossimo passo sarà una dichiarazione comune di Yasser e di re Hussein, che aprirà la strada alla confederazione. La tappa successiva è l'autonomia di tutta la Cisgiordania. Poi nascerà il nuovo Stato, una grande Palestina sulle due sponde del Giordano». Con capitale? «Gerico lo sarà solo all'inizio. Poi bisognerà trasformare una cittadina della Cisgiordania, probabilmente Nablus, in un moderno centro amministrativo. Con un territorio così vasto, allora sì che potranno tornare non solo gli 800 mila palestinesi fuggiti dalla guerra dei Sei Giorni, ma tutti quelli che lo vorranno fra i 3 milioni della diaspora. Prima di allora Israele ha ragione - il grande ritorno sarà impossibile. A Gaza e a Gerico non c'è posto». Che cosa farà domani Arafat? «Gli ho consigliato di comportarsi come Ben Gurion nel '48. Precipitarsi subito nella nuova capitale. Un viaggio-lampo nei Territori avrà l'effetto di suscitare l'entusiasmo, ricompattare i suoi, mettere a tacere gli estremisti. E' l'operazione che riuscì a Ben Gurion, quando zittì gli ultra che reclamavano la Grande Israele». E cosa le ha risposto il capo dell'Olp? «Che lo farà». A rischio della vita. Ieri Jibril e altri falchi lo hanno ripetuto: ti faremo fare la fine di Sadat. «Non è che finora Arafat abbia condotto una vita tranquilla... Certo, lui sa di correre rischi enormi. Ma sa pure che è la sua ultima occasione per diventare davvero il padre della nazione palestinese. Al khitiar, il Vecchio: proprio come Ben Gurion». Anche Rabin corre i suoi rischi. Politici. Il governo in crisi, le pressioni dei coloni... «Non credo. Se anche gli ortodossi ritirassero il loro appoggio, il premier potrebbe contare sui voti dei partiti arabi e dell'estrema sinistra, che non fanno parte della maggioranza ma sceglierebbero di salvare l'accordo. E poi in Israele la vo- lontà di pace è reale. Vuole un esempio? Hanno chiesto ai coloni in rivolta se erano pronti ad armarsi e difendere i Territori. Ha risposto di sì il 2%». Lei conosce Arafat e Peres dal '68. Perché hanno fatto la pace proprio ora? «La prima volta che lo incontrai, Yasser non voleva neanche sentir parlare di Israele. E guai a nominare l'Olp a Shimon. Poi, con il tempo, gli uomini sono maturati. Hanno cominciato a chiedermi l'uno notizie dell'altro: che tipo è? Com'è la sua famiglia? Ci si può parlare? E' successo anche ad altri: al presidente di Israele, Ezer Weizmann, al consigliere di Arafat, Abu Sharif. Certo, ci sono le cause politiche: la guerra del Golfo, la crisi finanziaria dell'Olp, l'Intifada. Ma la prima cosa a cambiare è stata la testa degli uomini». AldoCazzullo «La città vecchia, sotto l'egida del Vaticano sarebbe amministrata dai palestinesi Arafat m'ha detto: sto per andare a Gerico» Marek Halter, scrittore franco-israeliano, come altri intellettuali ebrei ha avuto un ruolo di mediatore nella difficile trattativa Qui a fianco, il Papa: avrebbe la «sovranità spirituale» sulla città vecchia