Settembre andiamo con i nuovi

20 Una giornata con Schnittke, ebreo russo di origine tedesca: cultura e tradizione Settembre, andiamo con i nuovi Per avvicinare musica colta e musica leggera TORINO. «Settembre musica» è entrato nella fase riservata alla produzione contemporanea con la prima giornata del ciclo dedicato al compositore russo Alfred Schnittke, presente ieri mattina nella Sala del caminetto del Teatro Regio per l'incontro con cinque specialisti e la presentazione del volume pubblicato dalle Edizioni di Torino: primo libro uscito all'estero su uno dei compositori russi più noti, anche per merito dei grandi interpreti che da sempre riservano a Schnittke un'attenzione privilegiata. Gli interventi di Alexander Ivashkin, Mario Messinis, Enzo Restagno, Roman Vlad, Elisabeth Wilson hanno messo a fuoco alcuni punti essenziali. Innanzitutto la complessità delle radici culturali di Schnittke, ebreo russo di origine tedesca; in secondo luogo lo stretto rapporto con la tradizione, sempre presente nella sua musica come elemento che collega il presente al passato. Questo fa sì che l'arte di Schnittke, come ha rilevato Vlad, tenda a colmare il divario tra musica colta e musica leggera, comunicando ciò che ha da dire in modo molto più diretto ed immediato di quanto non accada presso altri compositori: un caso di neoromanticismo - ha osservato Messinis - in quanto tutto si gioca nella dialettica tra una fortissima soggettività e l'aspirazione ad un sopramondo visionario dove i conflitti tendono a placarsi nella luce della trasfigurazione. Del fatto che Schnittke appartenga alla categoria dei grandi comunicatori si è avuta conferma nei due concerti della giornata. Al pomeriggio la sala del Piccolo Regio era gremita dal pubblico convenuto per ascoltare il Quartetto Arditti che eseguiva il «Canone in memoria di Stravinski», il «Secondo Quartetto» e il «Quintetto con pianoforte», anch'essi dedicati a persone scomparse: la concezione della morte che vi si esprime è quella di una aspirazione alla immobilità della trascendenza minacciata da tumulti, inquietudini, fantasmi demoniaci. Con particolare purezza questo appare dal «Quartetto», il lavoro più compatto e rigoroso dove l'aura magica del lamento è dapprima turbata da un lungo susseguirsi di tremende convulsioni, poi si riafferma per essere ancora lacerata da grida, e solo alla fine si esaurisce in un decrescendo che approda ad un placato silenzio. Che questo con¬ trasto alluda ad un rapporto visionario tra bene e male, Dio e il demonio, viene detto dal canto liturgico ortodosso che pervade la scrittura, collegando il lavoro di Schnittke alla più tipica tradizione della musica russa. Una platea folta ed entusiasta ha poi assistito, la sera, nella sala dell'Auditorium, all'esecuzione della «Prima Sinfonia» preceduta dalla «Sinfonia degli Addii» di Haydn dove gli strumenti escono di scena uno dopo l'altro, come avviene, appunto, alla fine del grande lavoro di Schnittke. La componente spettacolare vi gioca un ruolo determinante: la «Sinfonia» presenta, infatti, un continuo andirivieni di suonato¬ ri che entrano improvvisando, per poi dar vita ad una specie di calderone apocalittico in cui affiorano grumi, brandelli, o enormi frammenti del presente e del passato: pezzi di Beethoven, valzer, musica barocca, due grossi episodi affidati ad un quartetto jazz, brani per banda, e così via. Nel caos generale le cadenze delle trombe e dei tromboni solisti sembrano alludere periodicamente ad appelli escatologici. Il pezzo che dura più di un'ora frastorna talvolta l'ascoltatore con lo spessore un po' grossolano della scrittura ma non lo annoia mai, tanto varia è la composizione dei gruppi strumentali, con l'entrata e l'uscita dei suonatori, gli effettacci delle sirene e dei gong, l'urto materico di quelle gigantesche bordate sonore che lasciano poco spazio alle sonorità contenute e raccolte. Alla fine si approda non si sa come al solitario appello delle campane, quando ormai l'enorme orchestra è uscita di scena e la composizione ci libera dall'aggressività del suo verismo apocalittico che l'Orchestra Sinfonica della Rai ha affrontato con ammirevole dedizione sotto la bacchetta di Luca Pfaff, portando la serata ad un successo calorosissimo per gli esecutori e l'autore presente in sala. Paolo Galla rati

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