Sognando da duri
Sognando da duri Sognando da duri In Kalifornia col killer e la vita di Elliot Gould VENEZIA. A bordo di una vecchia Lincoln del '61 lungo le strade provinciali dell'America, attraversando il Tennessee, l'Arkansas e il Texas per raggiungere la California. Salvo che quella del regista Dominio Sena, pubblicitario e videoclippista approdato alla prima regia cinematografica, è una «Kalifornia» (Notti Veneziane) da duri, con il k. Il viaggio l'ha organizzato con la fidanzata Carrie, fotografa trasgressiva, Brian che vuole completare la sua ricerca sui serial-killer visitando gli scenari dei più celebri luoghi del delitto. E per dimezzare le spese e avere qualcuno con cui alternarsi alla guida, la coppia sofisticata ha imbarcato una coppia dozzinale trovata con un annuncio. Early e Adele, lui con i capelli untuosi e spettinati, lei con i vestitini fuori tempo, si presentano male, ma c'è di peggio e Brian e Carrie lo scopriranno troppo tardi. L'ex detenuto Early è uno degli assassini seriali su cui lo studioso si sta documentando. Ben presto il killer prende il comando e la situazione precipita come prevedibile verso un truculento finale che in Usa hanno in parte tagliato per eccesso di violenza. Fotografato con grande suggestione dal Bojan Bazelli di «Ultracorpi», ben scritto da Tim Calfe, «Kalifornia» è un thriller horror che cattura nel suo gioco in maniera forse epidermica ma con estrema efficacia. Resta forte l'idea di fondo della sceneggiatura di coinvolgere lo spettatore dalla parte della coppia normale che è voyeuristicamente attratta dal lato oscuro. E in un quartetto ben affiatato di attori che comprende il bello e dannato Brad Pitt, gli efficaci David Duchovny e Michelle Forbes, spicca l'emergente Juliette Lewis, un'Adele fragile e testarda, sgradevole e tenera, che sarà difficile dimenticare. Volendo anche i «Trentadue brevi film su Glenn Gould» possono essere definiti il viaggio intrapreso nell'universo misterioso del grande musicista canadese anglofono dal connazionale francofono Francois Girard. Bambino prodigio che una madre pianista abituò alla musica sin da quando era nell'utero, diplomato a 12 anni, concertista di fama a 22, discussissimo e geniale interprete di classici, primo fra tutti l'amato Bach, Gould è morto a 50 anni portandosi dietro il segreto di una complessa personalità. Perché all'età di 32 anni nel pieno della celebrità abbandonò le sale di concerto rintanandosi negli studi di incisione? Per stabilire un rapporto paritario con l'ascoltatore, come diceva lui, o per paura, desiderio maniacale di solitudine e isolamento? E' solo una delle tante domande cui Girard non tenta neppure di dare una risposta. Il suo film si dipana come un puzzle in bilico fra fiction e documentario: affidando il personaggio di Gould a un bravo attore che si chiama Colm Feore e per il resto avvalendosi di testimonianze, di oggetti come il pianoforte Steinway Cd 318 dell'artista, dell'esecuzione di uno dei pochi brani da lui composti. Bellissimo è l'episodio «Norman McLaren incontra Glenn Gould» dove le note di Bach e le immagini del grande animatore canadese si uniscono in un connubio straordinario. Alessandra Levante si Julielte Lewis, prestazione indimenticabile
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