Una Caporetto per i ristoranti dei ricchi
Le sale si erano ormai svuotate, Gualtiero Marchesi: «Ma qualità e professionalità si devono pagare» Le sale si erano ormai svuotate, Gualtiero Marchesi: «Ma qualità e professionalità si devono pagare» Una Caporetto per i ristoranti dei ricchi Travolti dalla crisi ora fanno menù «abbordabili» a prezzo fisso DECADUTA LA «NOBILTÀ'» A TAVOLA MILANO. La miglior metafora dell'Italia in crisi, forse, l'ha trovata il pubblicitario che ha inventato lo spot di un certo prosciutto crudo: quello del nobiluomo decaduto che, costretto a vivere sotto i ponti con il maggiordomo, tuttavia non rinuncia alla qualità. E nell'Italia della buona tavola, la metafora si materializza nella nuova tendenza che si registra, un po' dappertutto, nei ristoranti «di classe»: il menu a prezzo fisso. Un tempo caratteristico delle trattorie per turisti, ora sta diventando un'abitudine. Ma, soprattutto, una sorta di modo gentile per evitare ai clienti (a tutti i clienti, senza fare distinzione di portafoglio), al momento del conto, spiacevoli sorprese e mortificanti sguardi imbarazzati. A Milano vi si sono adeguati un po' tutti: dal celebre Savini di Galleria Vittorio Emanuele (menu fisso a 60 mila lire), al Biffi Scala (50 mila), al Four Season, aperto cinque mesi fa in via del Gesù all'angolo con via Montenapoleone (35 mila). Ma a che si deve questa nuova tendenza? Alla crisi? Alla messa in riga di molte aziende che non sono più disposte a sborsare cifre con molti zeri per «colazioni di lavoro?». Anche il fiore all'occhiello della cucina italiana, Gualtiero Marchesi, che mezzo mondo ci invidia, ha lasciato Milano per un suo nuovo «tempio», tra le vigne di Erbusco, con vista sul lago d'Iseo. Se gli si chiede «perché menù a prezzo fisso nel suo ristorante?», lui risponde con tranquillità e se la crisi lo preoccupa, di certo non lo dà a vedere: «Ho sempre offertomenù differenziati. Ma questi riguardano il servizio di mezzogiorno: propongo soluzioni che vanno dalle 60 alle 80 mila lire. E l'ho sempre fatto perché ritengo che i clienti che vengono a mangiare in quella fascia oraria, siedano a tavola soprattutto per colazioni di lavoro. Alla sera, invece, si mangia alla carta. Ma questo non significa che la qualità cambi». E' sempre alta. E i prezzi seguono a ruota. Il problema è proprio questo: la qualità. «Se devo preparare cinquanta coperti a mezzogiorno e altrettanti alla sera e voglio garantire cibi comunque raffinati - continua Marchesi -, mi occorrono almeno 25-30 dipendenti, tutti professionisti, non "cuochi bruciapadelle". E la professionalità, com'è noto, si paga». Tempi difficili sembrano, comunque, profilarsi all'orizzonte. A quali clienti dovrà rinunciare un ristorante come quello di Marchesi? «Si perderanno gli avventori di passaggio», ribatte sicuro. Torino, come Milano, si adegua. Lo dimostra la nuova «politica» del leggendario Vecchia Lanterna che, da tre mesi, offre ai clienti menù mensili a «degustazione regionale», con scuola di cucina ogni ultimo sabato del mese per chi è interessato all'arte culinaria. Prezzo fisso: 60 mila lire. Perché? Armando Zanetti, il proprietario-cuoco che ha dato lustro al celebre locale, commenta biblico: «C'è il periodo delle vacche grasse e quello delle vacche magre. E' intellingente accorgersene e regolarsi di conseguenza». Ma si può avere qualità anche a minor prezzo? La figlia di Zanetti, Maria Luisa, non ha dubbi: «Certo, e i ristoranti francesi ne sono la prova. Si può fare dell'alta cucina con il fegato d'oca ma anche con il fiore di zucchino. L'unico guaio è che il pubblico, a Torino, non sembra ancora pronto per i cambiamenti e se abbiamo avuto grandi apprezzamenti dai giovani, non altrettanto si può dire da parte dei clienti un po' più anziani». [r. cri.] Gualtiero Marchesi
Persone citate: Armando Zanetti, Gualtiero Marchesi, Marchesi, Savini, Zanetti
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