Piazza Affari prende tempo «Digeriremo tante offerte?» di Valeria Sacchi

TRA EUFORIA E TIMIDEZZA Piazza Affari prende tempo geriremo ilrrwf.tne AMSI TRA EUFORIA E TIMIDEZZA I li. !, ;.,R«,fr-... r PMILANO IAZZA Affari ha deciso di prendersi un giorno di ripensamento. E' partita incerta e poco convinta, si è risollevata, ma alla fine ha concluso con un ribasso dell'I, 16% dell'indice Comit. Non per questo è stata meno attiva. Il giro d'affari si è mantenuto elevato. Qualcuno sostiene che a frenare gli entusiasmi siano le voci sempre più insistenti su nuovi aumenti di capitale, che trovano la prima conferma ufficiale nell'operazione appena varata da Mediobanca. Operazione che, tuttavia, il mercato giudica «ragionevole» sotto il profilo del prezzo, ma che apre nuovi interrogativi su altri aumenti, come quello della Fiat, intorno alla quale si intensificano le ipotesi. «E' un po' presto per dire che il rialzo è finito, anche perché tutti gli elementi che hanno spinto al rialzo la Borsa, come i tassi bassi e la nuova liquidità affluita ai fondi, permangono» osserva Alberto Albertini. «L'unica incertezza è la nuova instabilità valutaria. Tuttavia, dopo i forti rialzi, una battuta d'arresto è nella logica». Nonostante il tono meno positivo, alcuni titoli hanno tenuto banco. Come le Generali, scese quasi di un punto tra scambi attivi (un milione e 400 mila azioni trattate), o le Fiat, di cui sono girati 11 milioni e mezzo, ma che hanno continuato a perdere quota, lasciando sul campo quasi il 4 per cento. Per non parlare di Ferfin, sulla quale continua la caccia grossa, e che ancora una volta ha messo a segno un progresso del 9,9% a 411,75 lire con oltre 10 milioni di titoli trattati. Fermandosi, come è ormai diventata prassi abituale, ad un soffio dal livello che farebbe scattare automaticamente la sospensione Consob. A un certo momento della mattinata sulla Ferfin è arrivata una richiesta di 39 milioni di titoli, che non ha trovato contropartita. Insomma, chi le ha evidentemente le tiene, convinto che il rialzo non sia ancora terminato. Dopo mesi e mesi di torpore, piazza Affari sembra tornata ai vecchi tempi. Quando nelle cor beÙle erano più le chiacchiere e le soffiate a tener banco. Da giorni sulle Ferfin si inseguono le dicerie più opposte. Per la finanziaria capofila dell'impero di Ravenna, la cui azione è stata appena svalutata da mille lire a cinque lire, le ipotesi spaziano da una ben orchestrata speculazione, ad un rastrella- mento che qualcuno attribuisce alle banche del club di salvataggio, qualcun altro alle mani di Carlo De Benedetti. E non v'è dubbio che, come sempre accade, se mano forte esiste, ad essa si sia ormai accodata una truppa di speculazione minuta che arriva dai borsini. Di pari passo, la debolezza della Fiat viene spiegata con l'avvicinarsi di nuove richieste di mezzi al mercato da parte del gruppo automobilistico. Certamente, la questione degli aumenti di capitale non è secondaria. A tutt'oggi l'impegno del mercato, Mediobanca compresa, supera i 2300 miliardi su operazioni già approvate per complessivi 3733 miliardi. Come è stato annunciato ieri, sono in arrivo altre aziende. Tra i privati, ricordiamo il gruppo che fa capo a Silvio Berlusconi. Tra i pubblici, sono ai nastri di partenza Imi ed Ina, cui si aggiungono ora Comit e Credit. Ieri l'In ha annunciato l'intenzione di uscire dalle due Bin. E se è pur vero che la cessione non avverrà forse in tempi brevissimi, poiché ci sarà bisogno di una preparazione accurata, in prospettiva è pur sempre un'altra sferzata che si prepara. In un certo senso, tuttavia, i prossimi mesi saranno per piazza Affari un bel banco di prova. Come si è già verificato per altri mercati, le privatizzazioni rappresentano un momento di cre¬ scita, poiché avvicinano una serie di nuovi risparmiatori. E' accaduto in Francia e anche in Inghilterra con le privatizzazioni volute da Margaret Thatcher di British Telecom e dell'energia elettrica. Così dovrà essere anche in Italia. E non a caso l'Iri ha scelto per le sue banche la formula della distribuzione il più possibile capillare. Una formula imposta dalle difficoltà di trovare noccioli duri, come il caso del Credito Italiano insegna, e che va nel senso della public company. Ma che certa mente non mancherà di allargare il numero dei piccoli azionisti. Valeria Sacchi A sinistra Sergio Siglienti presidente della Banca commerciale italiana Natalino Irti presidente del Credito italiano

Persone citate: Alberto Albertini, Carlo De Benedetti, Margaret Thatcher, Natalino Irti, Sergio Siglienti, Silvio Berlusconi

Luoghi citati: Francia, Inghilterra, Italia, Ravenna