La pia Leletta tra i partigiani

Dal '43 al '45 nel diario di una ragazza Dal '43 al '45 nel diario di una ragazza La pia Leletta tra i partigiani ci" pci" cura dell'Istituto della Resistenza in Piemonte è uscito in questi giorni // diario di Leletta (Franco Angeli), con prefazione di Giorgio Vaccanno. Quando l'autrice, Leletta d'Isola, cominciò a scriverlo alla fine del '43 aveva 17 anni e frequentava la terza liceo a Pincrolo. Lo concluse nel maggio '45 a 19 anni, iscritta al primo anno di filosofia all'Università. Viveva, insieme con la madre, il padre e un fratello minore, nella villa avita, detta il Palàs, sotto i ruderi di un vecchio castello, a Villar, frazione di Bagnolo Piemonte, ai piedi del Montoso. Durante i lunghi mesi della guerra di Liberazione il Palas fu un rifugio di ebrei e di perseguitati e, sin dal settembre '43, anche un rifugio, poi divenuto a poco a poco in parte un luogo d'incontro dei partigiani della zona. Sono quasi tutti comunisti sotto il comando di Pompeo Colajanni, detto Barbato. I ricordi di Leletta si aprono con una lettera al Comandante, scritta quarantanni dopo, quando avrebbero dovuto essere pubblicati insieme con le memorie di lui rimaste inedite in seguito alla morte ( 1987). Vi si legge: «Quel periodo tragico della guerra fu per noi, ancora nell'incoscienza della prima gioventù, una gloriosa epopea». Al Villar - ricorda - «rimanemmo isolati come in un piccolo feudo. La zona era unicamente retta da partigiani». Il diario comincia col dicembre '43. Barbato era comparso al Palas pochi giorni prima, U 23. Entra e dice: «Scusate se sono armato» e appoggia sul pavimento un grosso rn&éhettdJ II 'diario commenta: «Imponesti subito a nói tutu la tua calda e forte personalità»! E' il 30 dicembre che il Villar comincia a trovarsi nel bel mezzo delle operazioni di guerra: arrivo di camion pieni di tedeschi e fascisti, sparatorie, incendi, case distrutte. I primi morti. Prima due, poi sette, alla fine tredici. Il giorno dopo tutta la popolazione in chiesa a piangere i propri figli caduti. E' «l'aurora tragica del nuovo anno». Sono rapide annotazioni, scritte con profonda partecipazione alle straordinarie vicende di cui la giovinetta è non ignara testimone. La scrittura è semplice ed efficace nella sua semplicità: «Un uomo rannicchiato. Aveva la divisa degli SS ed il volto, biondo di ciglia, immobile morto. Ho detto forte un requiem»; «Il cannone rompe i timpani: nuvoletta sopra Madonna della Neve»; «Bello stasera Barba to tutto infreddolito nella mia mantellina di Giovane Italiana». L'ultimo Natale di guerra (26 dicembre '44): «Ai piedi dell'albero di Natale, davanti al piccolo Presepio, c'è una primula. Natale non di felicità ma di speranza». Leletta annota giorno dopo giorno ciò che capita nel Palàs. Partigiani che vanno e vengono: alcuni sono nascosti, altri occasionalmen te ospitati. Tra le persone note compare Ludovico Geymonat. Lei sta studiando i Fondamenti della metafìsica dei costumi di Kant. Il filosofo chiede: «Li ha trovati facili o difficili?». Leletta: «Facili». «Allora vuol dire che non ne ha capito niente». Al palazzo si vive nella continua paura dell'arrivo dei tedeschi «Ieri il solito "ci sono" mi proietta fuori dal letto». Dopo il rastrellamento del 21 settembre del '44 i tedeschi hanno invaso la casa per cercare partigiani nascosti: «Sono stati circa due ore. Eterne». Lasciano nel cortile una barella con un partigiano ferito, «così cereo da sembrare morto». Occorre molto controllo di sé per trattarli bene e non pensare a quel ragazzo «che stava per morire sotto i nostri occhi». Un partigiano, Fanfulla, che era stato uno dei loro ospiti, viene trovato morto. La mamma che lo aveva visto pieno di vita ora è andata a prenderlo insieme col prevosto, don Bianco, solo fra le montagne, Ne dà notizia la Gazzetta del Popolo scrivendo che il cadavere dello sconosciuto era stato portato al cimi¬ tero da alcuni «banditi» (la madre e il prevosto, commenta la figlia). Sull'episodio scrive una poesiola che viene pubblicata sul giornale partigiano, La Baita. Intanto continua a studiare e a fare i compiti. Va a scuola insieme col fratello, ora in bicicletta ora in treno, quando è possibile, a Pineroo. Si scontra spesso con un compagno che fa discorsi di propaganda in favore dei gruppi d'azione giovanile fascista: «Ho l'impressione di una burattinata e che tutti, io compresa, fossimo solo burattini». Quando il professore di arte gliel' ha «di nuovo piantata per il saluto fascista», le è «venuta la bile», ma quando il professore di italiano legge con slancio: «Soffermati sull'arida sponda» le vengono le lagrime agli occhi. «N. (un fascista) distribuisce volantini che regolarmente finiscono nel cestino». Ma spesso lo studio è interrotto da animate conversazioni con gli ospiti che le affidano ben altre mansioni: «Ho passato la mattina a pulire caricatori e parabello». Tra Leletta e i suoi familiari, profondamente religiosi, da un lato, e gli ospiti si accendono spesso discussioni politiche. Il 1° settembre '44 Barbato si lascia andare a una lunga dissertazione sul comunismo. La ragazza ascolta con simpatia umana e benevola ironia. Dice il Comandante: «La famiglia (lettera di Lenin a Clara Vattelapesca) è necessaria per il fatto stesso che messi al mondo dei figli la cosa cessa di essere un capriccio e diventa un fatto sociale». Il giorno dopo il diario comincia: «E l'indomani 9nattinà tuttisi svegliano comunisti ma'cól cervello che girava còme una girandola». Un'altra volta-Barbato rivolto alla madre: «Baronessa, non dica una cosa così aberrata se parla di un imperialismo russo si vede che non ha capito». Tra i personaggi che appaiono e scompaiono c'è naturalmente anche la spia, odiata e schivata da tutti, ma quando si fa vedere trattata con riguardo. I preti sono di casa, e svolgono la funzione di uomini di pace, rispettati e cercati nei momenti difficili: il parroco del Villar, considerato «cappellano dei patrio ti»; don Campo salesiano, di cui in appendice una calorosa testimo nianza. Il 25 maggio '44 dice la messa un prete lituano, due parti giani la servono e altri chiedono di confessarsi, «mentre un fucile mi tragliatote è gettato in un angolo con noncuranza». Uno degli ultimi tragici episodi, Lampo è stato trucidato con altri quattro: «Chi era Lampo? Non sappiamo il suo nome, ma in tasca, mi dicono, hanno trovato un bi glietto per sua madre». Si saprà do po che era un calabrese. Quando la guerra era cominciata nessuno po teva immaginare che sarebbe dura ta tanto a lungo. Alla fine del se condo anno: «I partigiani sono a terra perché hanno paura che la guerra si prolunghi e sentono no stalgia di casa». Si sparge la voce che gli Alleati si ritirino e c'è già chi dice che «resteremo sotto i tedeschi». Finalmente il 28 marzo: «Si comincia a pensare vicino il giorno in cui emergeremo dalla guerra. Quasi fa paura un clima di pace cui non siamo abituati». Croce parla per radio e ringrazia gli Alleati Commento: «... trovo che è ben tri ste che noi italiani dobbiamo sem pre ringraziare». Il diario termina con un addio ai partigiani che scendono in città «Riempivate Bagnolo e la vecchia casa. Le davate un'anima», e con un'ingenua poesiola, inviata a Barbato su una cartolina. La ragione e il senso della testi monianza sono affidati al versetto di un salmo: «Ho pensato ai giorni antichi e ho avuto in mente gli anni eterni». Leletta d'Isola è morta mese scorso, terziaria domenicana Il libro era uscito da pochi giorni Siano queste poche note un com mosso omaggio alla sua memoria Norberto Bobbio

Luoghi citati: Bagnolo Piemonte, Piemonte