CAPONNETTO

Ayala, un attacco scritto col fango CAPONNETTO Ayala, un attacco scritto col fango A nuova, violenta poleI mica giornalistica contro Ayala, iniziata dall'onorevole Ombretta Fumagalli Carulli (che farebbe meglio, per il bene comune, a dedicare minor tempo ai quotidiani, alle apparizioni televisive ed all'attività di partito e maggior tempo - invece - al funzionamento del dissestato servizio postale, quale Sottosegretario al ministero delle Poste) e proseguita, con un accanimento degno di miglior causa, dal magistrato Vincenzo Geraci e dal «giornalista» Federico Guiglia, mi costringe ad alcune brevi considerazioni. Premetto che Giuseppe Ayala non ha bisogno alcuno che io lo difenda da vecchie, stantie accuse, ora rispolverate - forse per esigenze politiche o per calcolo preelettorale. Ogni tentativo di scalfire la sua onorabilità personale ed il suo prestigio professionale non può sortire altro risultato che quello di mettere a nudo il malanimo ed il livore di quanti lo attaccano. Mi riferisco, in particolare, a Vincenzo Geraci, che - dopo un lungo e salutare periodo di silenzio - sta cercando di riaffacciarsi alla ribalta, forse pensando già alle prossime elezioni (ricordo come, nelle ultime, egli affermasse spavaldamente di avere solo l'imbarazzo della scelta tra Senato e Camera). Già avevo avuto occasione, dietro segnalazione, di leggere, su L'Indipendente (e la scelta della testata non è certo priva di significato), un'intervista nella quale, ad anni di distanza, egli ammetteva candidamente la fondatezza delle accuse che, all'indomani della nomina di Antonino Meli a quel posto che era destinato a Falcone, io avevo espresso: e cioè che la scelta di Meli era stata determinata esclusivamente da «interessi di bottega», ossia da logiche di correnti e di politica giudiziaria. Il mio fu ritenuto un oltraggioso attacco al Csm, che per un giorno intero decise di sottopormi a procedimento disciplinare, deliberando poi, con mio rammarico (infatti avrei avuto tante cose da raccontare, imbarazzanti per molti), di... graziarmi. Ora dopo quasi cinque anni, con impudente disinvoltura, Geraci ci racconta che «il Csm è indubbiamente lottizzato e risponde a logiche di corrente che risentono di varie influenze, politiche e culturali. E se c'era chi rispondeva alle strategie di Craxi e Martelli, a Palazzo dei Marescialli c'era e c'è chi risponde alle logiche dei vari Occhetto, Violante, Vitalone, dei liberali e di altri» (a quali logiche rispondeva - a suo tempo - Geraci? Peccato che non ce lo abbia rivelato). Dell'intervista di Geraci a II Giornale mi ha stupito il passo in cui egli riferisce che «proprio dopo l'omicidio Chinnici, quando Ayala rimase vittima di lettere anonime, fummo io e Di Pisa a "salvarlo" dall'interessamento del Csm, garantendo per lui davanti all'allora procurato ì generale Viola». Non conoscevo l'episodio: ma mi aa 1 re gei I No: devo ritenere che l'integerrimo Geraci abbia, allora, preso, assieme a Di Pisa, le difese del collega Ayala perché intimamente convinto dell'infondatezza delle voci sui suoi rapporti con ambienti mafiosi. Mi meraviglia, semmai, l'intervento «a difesa» di Di Pisa, se ripenso che fu proprio costui, e non certo per spirito di... amicizia, a rivelare al Csm l'esistenza di uno scoperto sul conto corrente bancario di Ayala (anzi, per l'esattezza, credo si trattasse di conto intestato alla moglie di Ayala). Ma 11 «pezzo» che mi ha maggiormente indignato - ma non stupito - è stato il commento velenoso di Federico Guiglia, dal titolo «Peppino, un animale da salotto», che mi ha confermato lo stile dell'autore, a me già noto per l'accanita campagna contro il «pool» dell'Ufficio Istruzione di Palermo e - in particolare - contro Giovanni Falcone e per l'appoggio incondizionato offerto, da lui e dal suo giornale, ad Antonino Meli, primo responsabile della prematura dissoluzione del «pool». Pur di attaccare Ayala non esita, il bravo e corretto Guiglia, ad avvalersi di un infame articolo pubblicato a fine gennaio 1993 sul settimanale del pli L'Opinione. A suo tempo quasi tutti i giornali, fatta eccezione per l'Unità, se ben ricordo, mantennero uno strano silenzio su detto articolo, il cui autore (descritto dal direttore del periodico come «un giornalista noto, forsennato garantista»), celandosi vigliaccamente dietro lo pseudonimo di «Valerio Marziale», si scagliava, con cinica animosità, contro i «nuovi vampiri», cioè i parenti ed amici «di illustri morti ammazzati». Tra quei «vampiri», i tre figli del generale Dalla Chiesa, i parlamentari Carmine Mancuso, Claudio Fava, Tano Grasso, Carlo Palermo e Sergio Mattarella, le vedove del giudice Costa e dell'agente Schifani, Maria Fida Moro, Carol Beebe Tarantelli, oltre ad Ayala ed a me stesso! Ricordo che in quell'occasione i deputati liberali Biondi e Battistuzzi, due galantuomini, presero posizione contro il settimanale del loro partito e si scusarono con Nando Dalla Chiesa. Non so quando Federico Guiglia abbia scoperto questo grave episodio di malcostume e di «killeraggio» giornalistico e se ne abbia mai scritto prima di oggi; ma non può sorprendere il fatto che in questa melma egli si sia oggi tuffato al solo scopo di attaccare un uomo che egli non dovrebbe nemmeno nominare, tanta è la distanza che li separa Antonino Caponnetto

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