Gerusalemme Rabin ostaggio della folla

Guerra delle cifre: in piazza centomila (300 mila per gli organizzatori) gridano no all'intesa Guerra delle cifre: in piazza centomila (300 mila per gli organizzatori) gridano no all'intesa Gerusalemme, Robin ostaggio della folla Ipartiti di destra hanno mobilitato 2000 bus Assediatigli uffici del premier per tutta la notte GERUSALEMME DAL NOSTRO INVIATO E' arrivato il tempo della resa dei conti, ora che la pace è appena a un soffio dal farsi materia viva nei giorni tormentati d'Israele; e ogni israeliano è chiamato ormai a schierarsi. Fa veramente paura, allora, impressiona, ribolle di violenza malfrenata, questa manifestazione gigantesca, forse la più grande nella storia del Paese, che da ieri sera, al calar del sole, ha portato in piazza i fanatici del «no». Ci son tutti, rabbini e zeloti, khassidim e coloni, e donne, vecchi, perfino bambini in fasce, è un fiume ruggente di popolo che ancora oggi, dopo più di 12 ore di furore e di rabbia, e un'intera notte in bianco, stringe d'assedio Gerusalemme, il suo cuore politico, gli uffici del primo ministro e lo stesso Parlamento. Gridano che la patria è in pericolo, cantano slogan, pregano il Signore e ululano verso i traditori del sionismo. Forse è l'ultimo colpo di coda del passato che finisce, ma giorni difficili ancora si preparano per questo Paese. Nessuno, ieri sera o nella notte insonne, voleva sentir parlare di guerra civile, il suo fantasma però se ne andava libero tra la gente che pregava e gridava; da sempre la religione dell'intolleranza semina progetti di sangue, in Medio Oriente. La manifestazione è stata organizzata dalla destra politica e religiosa, come risposta del popolo d'Israele alla scelta di pace fatta dal governo Rabin. E se quelli del «sì», tre giorni fa, avevano convocato la loro festa nella vecchia capitale laica, a Tel Aviv, esaltando la solidarietà, l'amicizia tra i popoli, il dovere del rispetto delle diversità, questi che alla pace ci credono solo con le armi, i partiti d'opposizione e tutti i gruppi dell'oltranzismo sionista, hanno invece voluto contarsi nella città santa, chiamando all'appello le paure, le fobie collettive, l'ossessione tragica che per cinquantanni ha stretto questo Paese dentro i confini di una guerra senza termine. «Siamo in 300 mila - ha detto il rabbino Menachem Brod, l'organizzatore -. Mai Israele aveva visto una forza simile». La polizia dava un conto di 70, forse 100 mila; era comunque una massa imponente. L'assedio di Gerusalemme è cominciato che il sole era alto; a mezzanotte, il fiume di popolo marciava ancora. Sono venuti da ogni angolo del Paese, 1800 pullman stipati di gente esaltata e impaziente, un pullman perfino da Eilath, nel Mar Rosso, 18 da Qiryat, Shmona, lassù in Galilea, e poi 16 dal Golan, 13 da Dimona, 6 da un piccolo buco come Yemhamir. L'accesso a Gerusalemme per le auto private è stato bloccato poco prima delle venti di ieri sera, e nel gigantesco ingorgo si è tentato di trovare un varco solo per il serpente furioso dei pullman. Dall'alto, gli elicotteri della polizia con la fotocellula tagliavano il buio che gridava, cantava, urlava. Ha aperto la manifestazione il salmo «Il Signore che tutto sa è con noi, che siamo i suoi fedeli». Lo ha letto con gli occhi di lacrime un ragazzotto spaventato, Roy Drukh, per ricordare la sua mamma, Rachel, ammazzata giusto un anno fa dai palestinesi. E sul palco c'erano schierati i familiari di molte altre vittime dei fedayn, con le foto dei morti e la faccia di chi vuole vendetta come giustizia. I loro sentimenti sono serviti bene a Benjamin Netanyahu, il leader dell'opposizione, e ad Ariel Sharon, l'uomo dei coloni e della destra più dura, per tuonare, nei loro discorsi, contro un governo che fa la pace proprio con quelli che hanno sparato e ucciso. La folla ondeggiava di rabbia, Sharon gli gridava di resistere, di non cedere: «Questa è solo la prima manifestazione; se sapremo restare uniti e fermi, il governo cadrà e ogni resa vergognosa verrà cancellata». David Levy, che nel partito d'opposizione rappresenta l'ala moderata, se n'era intanto tornato a casa, dopo un aspro diverbio con Netanya- hu, che gli ha impedito di parlare al microfono. Ieri notte, a Gerusalemme, non c'era spazio per la ragione e la tolleranza. Il Likud cavalca la protesta e chiede elezioni subito. Questo Paese non ha referendum, solo un cambio di governo potrebbe mettere in crisi le scelte di Rabin e Peres; e un sondaggio dell'Istituto Shilavh diceva ieri che, in caso di elezioni ora, la destra si guadagnerebbe il 37 per cento di voti, i laboristi ne avrebbero il 31 per cento, mentre il 25 per cento si dichiara tuttora indeciso. Israele è spaccato, il suo cuore e la sua fede sono tormentati; la cultura della paura non può morire nel tratto di penna di una semplice firma. E politica e religione si mescolano oggi in un calderone drammatico, che rischia di bruciare le speranze. Per tentare di ridurre la tensione ieri notte Rabin ha deciso di cancellare la seduta di governo prevista per oggi; sarebbe dovuto passare in mezzo alla folla che da ieri sera ha messo l'assedio ai palazzi governativi, ha preferito evitare lo scontro. «E' un coniglio gli gridavano ieri in coro -, E' il premier della porta di servizio». Coricati sulla strada, a migliaia, i coloni che temono di perdere la loro terra, gli zeloti che temono di perdere il loro Dio, i politici che temono di perdere il loro potere assediavano Gerusalemme e la pace. Mimmo Candito E' la più grande manifestazione mai vista in Israele Il leader laborista deve cancellare la seduta di governo H Il primo H ministro laborista Yitzhak Rabin La folla ha assediato la sua residenza Un'immagine della manifestazione indetta ieri sera dalla destra a Gerusalemme