BERNARD-HENRI LEVY

il luogo. Saint-Paul-de-Vence con Montand e la Signoret il luogo. Saint-Paul-de-Vence con Montand e la Signoret BERNARD-HENRI LEVY Eerotismo è una cobnèa doro fri PARIGI 1/ UOLE che le parli della Il Colombe d'or? Allora bi■ sogna parlare di Saint ! 1 Paul-de-Vence». Bernard-Henri Lévy comincia così a descrivere il celeberrimo paese della Provenza nel retroterra di Nizza, una specie di picco con mura fortificate, vecchie dimore di pietra che degradano sui pendii, scale e selciati, dai lastroni quadrati e irregolari, «una delle cose più belle», e dappertutto ciuffi di lavanda e rosmarino. Ci siamo appena seduti alidore, a due passi dalle Editions Grasset dov'è ospitata la redazione della Règie dujeu, la bella rivista che questo attivissimo, intraprendente e fascinoso, ma anche discusso, enfant terrible delle lettere francesi ha recentemente fondato. Dalla camicia immacolata col colletto floscio e le ampie maniche a sbuffo spunta un volto affilato, dall'incarnato pallido, i lineamenti delicati e gli occhi neri penetranti. Il corpo longilineo è teso, un fascio di nervi: Bernard-Henri Lévy ha tutta l'aria d'un eroe romantico uscito da un quadro di Géricault o di David. D'altronde, come quei pasionari che si alternavano tra salotti e barricate, lui riesce a coniugare un impegno non comune - tra l'altro in favore della pace nell'ex Jugoslavia - con la mondanità più esclusiva. Come in occasione del suo terzo matrimonio, qualche settimana fa, proprio a SaintPaul-de-Vence, riempitasi di intellettuali, politici, gente di cinema e teatro oltre a «uno sciame di graziosissime donne» che dietro la bella sposa, l'attrice Arielle Daumbal, salivano vacillando sui tacchi a spillo. «Di Saint-Paul - prosegue tutto d'un fiato - mi piacciono i profumi, il canto delle cavallette, la luce morbida, quasi velata, che spegne un po' i colori: i grigi, gli ocra, i malva chiari e i bianchi - tutta una gamma di toni che si ritrovano tali e quali a La Colombe d'or. E poi c'è il mare di Antibes, in basso, a una ventina di chilometri. Yves Montand che a La Colombe ci viveva, e che ogni mattina scendeva per la sua ora di nuoto, diceva sempre: «Quest'acqua è talmente bella e limpida che, sulla Costa, è l'unica a far bene ai miei capelli». Montand era l'anima, il genio tutelare de La Colombe. Sulla terrazza, aveva jl tavolo vicino al muro, sotto il grande albero di fichi, proprio accanto all'entrata dell'albergo. Non so se fosse il tavolo migliore, ma lo era diventato e lo chiamavamo "il tavolo di Montand" soprattutto quando lui non c'era. Quante cene con lui... C'erano il suo amico Semprun, passato per la clandestinità, con quella sua aria da grande di Spagna, e Jimmy Baldwin, lo scrittore nero che abitava là anche lui. A volte arrivava Dirk Bogarde, ascoltava le nostre discussioni politiche, sarcastico e taciturno. C'erano il pittore Jacques Martinez, Francis Roux, il padrone, e il figlio Frangois, mio grande amico, e naturalmente c'era Simone Signoret che, non c'è bisogno di dirlo, era la mente politica della coppia. Le ho detto che anche loro si sono sposati là?». Nel mio sguardo deve aver colto qualcosa. «Beh, diciamo meglio: anch'io mi sono sposato là, come loro. Sebbene non pensassi a loro. A dire il vero però, sì che potevo saperlo che sarebbe finita così, dato che quarant'anni fa questo luogo già appar teneva a loro. C'è una bellissima foto del loro matrimonio, su una parete dell'office, sopra alla credenza dei formaggi e dei vassoi di salami alle erbe. Si riconoscono Montand e Signoret con i loro testimoni, Francis e Yvonne Roux, i proprietari de La Colombe. In un angolo mi pare che ci sia lo scultore Cesar e, forse, Clouzot che, all'epoca, abitava un appartamento un po' più in basso, in mezzo ai giardini, in fondo a un viale di terra rossa orlato da due file di colonne tagliate ad altezza d'uomo, che lo fanno somigliare al suolo d'un tempio decapitato. Tutto il gruppetto ha l'aria così giovane, così allegra... Hanno un che di nouvelle vague... Film in bianco e nero. Sembrano usciti da una pellicola di Godard prima maniera, come se La Colombe, a quel tempo, avesse potuto essere un'inquadratura di A bout de soufflé. Montand ha la faccia da amante di Marilyn... Simone quella di Casque d'or, nel momento, così sconvolgente, in cui s'avverte che una donna sta per appassire, ma che mostra ancora il suo segno... Simone è stata così bella! Io l'ho conosciuta alla fine, gonfia, invecchiata, rosa dall'alcol, a meno che non si trattasse di un male più intimo e segreto. Ma, a pensarci, era ancora così bella che era quasi indecente guardarla!». Inutile cercare di saperne di più. Bernard-Henri Lévy continua imperterrito: «Alla Colombe, Montand aveva il "suo" tavolo e Simone la "sua" stanza, la 37 se non erro, un duplex con una terrazza affacciata sulla piazza del paese, una specie di stazzo color ocra che la sera, a partire dalle cinque, si riempiva di giocatori di bocce. Montand ci giocava, a bocce. Lei, s'appassionava soprattutto alla politica. Era stata un'attrice, una delle più belle dell'epoca e, col tempo, era diventata quel che forse era sempre stata: una mente politica, calda ma acuta, generosa ma intelligente, con in più il calcolo, l'astuzia, la scaltrezza, la strategia. Me la ricordo in Argentina, militante per le folle della Plaza de Mayo. O per Solidarnosc, in Polonia. O ancora per i dissidenti russi che cominciavano ad arrivare in Europa e che la sinistra trattava come cani. Se lo ricorda?». Ma Lévy non dà il tempo di interloquire. Il suo racconto prosegue spedito: «Era l'epoca in cui, per esempio in Italia, Solzenicyn non trovava un editore ed era considerato un agente della Cia. Era il tempo dei nouveaux philosophes e dell'anti- marxismo di sinistra, un formidabile terremoto di cui ancora oggi viviamo le ultime scosse. Beh, Simone c'era. Sempre pronta a firmare, protestare, dare una stretta di mano o una strillata. Montand il padrino, Simone la madrina. Nel panorama intellettuale francese avevano finito per occupare il posto vacante di Sartre-Beauvoir. In Francia è così. Ci sono i posti: quelli del Giusto e del Poeta, del Ribelle e del Vecchio Coglione. C'è il posto del Principe della giovinezza, del grande Intellettuale impegnato, del Rinnegato, del Profeta. Beh, c'è anche il posto, quasi ufficiale, della "Coppia leggendaria impegnata nella vita dello spirito e della città". Così, il posto che avevano occupato Aragon e Elsa (Triolet, ndr), o Sartre e Beauvoir - lo si consideri il segno di una crisi o di una disfatta della cultura, è comunque un dato di fatto - sono stati loro due ad occuparlo negli ultimi anni. Ed è successo là, alla Colombe. Quando è morta Simone, non è stata più la stessa cosa. C'era Montand, cer¬ to. Sempre allo stesso tavolo contro il muro, sotto al fico. Ma era diverso. E lo rivedo, un pomeriggio, fiondarsi attorno alla piscina. Era vestito di bianco, con un cappello color crema o giallo, come nei suoi récitals. Era agitato, passeggiava in lungo e in largo, gesticolava. Veniva a dirmi che aveva accettato di fare un discorso in Israele, sulle rovine di Massada, e che temeva di due delle cazzate, di storpiare un nome o fare dei lapsus. Noti bene che la sua linea era giusta: sostegno incondizionato, sionismo, etc. Ma sionismo di sinistra, mano tesa agli arabi. Israele si suiciderà - diceva - se non riesce non solo a liberare i territori, ma a liberarsi dei territori. Anch'io l'ho detto cento volte. E' una faccenda che ha incancrenito l'anima di Israele... Il discorso di Montand era impeccabile, ma Simone era morta e lui, all'improvviso, aveva paura di dire un'enorme idiozia. Allora là, sotto al mobile di Calder, in pieno sole, tra i pensionanti basiti, mi ha declamato il discorso che l'indomani avrebbe pronunciato sulla montagna di Massada, in mezzo alle rovine dove, venti secoli fa, si suicidarono gli ultimi ebrei che resistevano». Lévy fa una pausa. Ne approfitto per tornare a Simone, a quella stanza dove scrisse La nostalgie n'est plus ce qu'elle était, un'autobiografia tanto sofferta quanto contestata. «Alla Colombe, se lo ricordano tutti quel libro, e come! Le centinaia di pagine annerite... Le brutte copie scarabocchiate, che all'alba coprivano il pavimento. I caffè che bisognava portarle, in piena notte. I vassoi che non toccava e che comunque chiede- va. I malumori che bisognava sopportare ma di cui, per fortuna, si scusava sempre - gran dama perfino nella collera. Scrivere non era il suo mestiere. Quanto ha penato, poveretta! E quanto abbiamo penato con lei! Tutta La Colombe sul ponte, tutto il personale mobilitato, per aiutarla a partorire quel libro che aveva in grembo. Tutti hanno partecipato. Tutti sono stati ricompensati dal sapere che quelle pagine non erano un bluff. Ma uno schifoso disgraziato si permette di dire che il libro l'ha scritto lui. Che assurdità. Alla Colombe, erano tutti pronti ad andare in tribunale per testimoniare che non c'è una riga, dico una, che non sia stata scritta di suo pugno. Dopo averla vista consumarsi e uccidersi in quel compito che le avvelenava la vita, come avremmo potuto sopportare una cosa del genere?». A testimoniare la ricchezza di quel «giacimento mitologico» che secondo Henri Lévy è La Colombe restano le magnifiche tele di Chagall, Picasso, Juan Gris, Mirò, Léger, Tinguély e Brauner; i disegni di Matisse, il celeberrimo Pollice di Cesar. Insomma, una specie di museo con «le più belle opere del mondo». Lévy le passa in rassegna una per una, racconta il furto di un piccolo Matisse nella sala da pranzo dove lui, consumando immancabilmente insalata a colazione e pesce ai ferri a cena, non fa certo onore all'ottima cucina provenzale. «Non è solo un modo per semplificarmi la vita si giustifica -. E' quasi una questione morale, di stile: trovo così brutto lo spettacolo del tipo che spulcia il menu, esita, immagina, commenta, esita di nuovo, come se si trattasse di una faccenda essenziale, di vita o del destino...». A parlare è uno che, amando «la leggerezza e l'anonimato delle camere d'albergo», è abituato ai ristoranti. «Voglio che capisca anche dice ancora Henri Lévy - che sono due, e due soltanto, le ragioni che seguitano a spingermi alla Colombe dove i miei genitori mi portavano in vacanza. E sono: amare e scrivere. Due cose legate, per uno scrittore. Per quanto dica e racconti, succede anche a me tutto il tempo di essere sdoppiato, schizofrenico, sfaldato. Per quanto scimmiotti il Contre Sainte-Beuve (un celeberrimo saggio di Marcel Proust, ndr), venendovi a raccontare che da un lato c'è la vita, dall'altro l'opera e in mezzo nessuna comunicazione, io per- sonalmente non conosco scrittore la cui vita sentimentale non sia indissolubilmente legata alla vita e al romanzo della mente. Diceva Hemingway: "Un romanzo, una donna". Lo pensavano anche i surrealisti, ed è una delle cose più simpatiche che ci abbiano lasciato: "Le donne e i libri, come i libri, e viceversa". Due "modi" di una sorta di sostanza indifferenziata o unica». E, pur non essendogli simpatico, dato che al momento è di buon umore, fa l'onore ad Alain Jouffroy di citarlo per quello stravagante elenco di donne e opere che compare nella nota biografica di un suo libro. «Certo, io non sono a questo punto - spiega Lévy -. Ma è vero che quando penso alla Colombe o ad uno degli alberghi dove ho vissuto, le immagini dei libri si confondono coi volti di donna. I romanzi II diavolo in testa e Gli ultimi giorni di Charles Baudelaire li ho scritti là, come se La Colombe per me fosse il luogo romanzesco per eccellenza. Quanto alle donne, è ancora più semplice, perché in effetti si tratta di una sola, quella che ho appena sposato. Con lei - la donna dei miei romanzi, la donna romanzesca per eccellenza, la mia prima lettrice, la mia fondamentale ispiratrice - mi sono nascosto alla Colombe per anni». Scrivere o amare? Per l'autore de L'elogio degli intellettuali è una domanda che non si pone. Mai nessuna donna l'ha distolto dalla scrittura, anzi. «Posso scrivere solo mentre amo -dice-. Posso scrivere solo accanto, sotto lo sguardo di una donna. E La Colombe è il luogo per eccellenza di questa alchimia... Mi piacciono gli alberghi, diceva Proust, perché sono gli unici luoghi dove nessuno mi disturba. Per me è la stessa cosa... Una giornata alla Colombe? Scrivo. Glielo leggo. Scrivo ancora. L'ascolto. Seguito a scrivere. Seguito ad ascoltarla. E questo restando vicino, fisicamente vicinissimo a lei, penso che non potrei scrivere una riga senza l'esperienza di questa totale, a volte sconvolgente, familiarità. Se si presuppone una donna silenziosa, devota? No, mi creda, la mia donna amata parla in continuazione. E neppure deve essere devota, salvo a confondere - e sarebbe un colmo - devozione ed erotismo. Sì, è come lei dice. La Colombe d'or è uno dei luoghi più erotici dove ho avuto l'occasione di vivere». Paola Decina Lombardi «Lei era la mente politica di Yves: quando morì, lui si sentì così solo e insicuro che dubitava anche delle cose certe» «Simone, sebbene vecchia e gonfia e rosa dall'alcol, era così bella che sembrava indecente guardarla» | Sopra il borgo di Saint-Paul-de-Vence visto da una finestra della «Colombe d'or», l'albergo in cui si sposarono Simone Signoret e Yves Montand e in cui (foto a sinistra) si sono uniti in matrimonio | qualche settimana fa Bernard-Henri Lévy e Arielle Daumbal Dirk Bogarde, anche lui amico della «Colombe» Simone Signoret e Yves Montand: a lei era riservata la stanza numero 37, mentre per lui era sempre libero il tavolo contro il muro, sotto il grande fico