TONDELLI Weekend ai confini della notte

Weekend ai confini della notte il luogo. Ravenna e le luci delle raffinerie, ultima meta Weekend ai confini della notte MILANO DAL NOSTRO INVIATO Questo è il racconto di un'estate che se ne è andata e non tornerà mai più e di un uomo che l'ha seguita. Le estati sanno quando è il tempo della fine e inventano bagliori di settembre prima di cedere all'autunno. A volte capita anche agli uomini di scoprire che il loro futuro è diventato un percorso scandito e misurabile in mesi e poi giorni. E' allora, quando si ha tempo per riempire una sola valigia prima di partire, che si scelgono le cose che contano e la meta importante perché il viaggio che si compie e gli abiti che si indossano ci contraddistinguano per sempre per quello che siamo stati. Pier Vittorio Tondelli era uno scrittore. Nell'ultima estate della sua vita, quando ancora il male che lo avrebbe cancellato gli concedeva le forze per realizzare un progetto, scelse di scrivere un libro, un libro che raccogliesse tutte le parole e i pensieri che aveva disseminato al di fuori dei romanzi: i racconti, i reportage di viaggio, gli articoli sulla società, la musica e le tendenze degli Anni Ottanta. Qualcosa che fosse orma del suo transito e testamento spirituale. Dev'essere parsa una scelta obbligata, a lui che non poteva perpetuarsi nello sguardo di un figlio, farlo attraverso la sua opera. E' diventata la sfida contro la condanna del tempo di un uomo sfinito, ma non domo. Col ritornello di Baccini Comincia nel giugno del 1990, durante un Mondiale amaro, in una Milano tormentata dall'afa e dal ritornello di Sotto questo sole cantato, insieme con Baccini, dai Ladri di biciclette, padani come Tondelli e che per questo lui amava e usava come una colonna sonora nella quale si mescolavano Zucchero e gli Aerosmith, Guccini e i CCCPFedeli alla linea. A raccontare la sfida di quell'ultima estate è Fulvio Panzeri, giovane critico letterario, curatore del libro che uscirà poi da Bompiani a dicembre con il titolo Un Weekend postmoderno. La ricorda in questa estate del '93, in una Milano tormentata da un'afa consueta e da nuovi ritornelli, tre anni dopo, una vita dopo. «Se cerco un'immagine di quei pomeriggi dedicati alla stesura del Weekend vedo Pier Vittorio nel salotto della casa di via Abbadesse, illuminato dalla luce di una finestra con balcone dalla quale amava spiare gli avvenimenti del vicinato, il pavimento coperto di libri, tutti sottolineati e annotati ai margini, il grande televisore perennemente sintonizzato su Videomusic da cui usciva un flusso di immagini e suoni molto simile al suo lavoro, "il corrispettivo multimediale del libro che stiamo preparando", lo definiva. «Mi aveva contattato tre mesi prima. Ci eravamo conosciuti nell'89, quando gli feci un'intervista per Avvenire. Lo aveva colpito la profonda conoscenza della sua opera, degli articoli apparsi su Rockstar piuttosto che sull'Espresso o Linus. Per questo pensò a me quando deci se di catalogare tutti i suoi scritti, rivederli e raccoglierli in un volume. Soltanto dopo ho capito il significato autentico di quell'operazione, il suo sapore di sfida e il desiderio di legittimazione. Era la sua privata rivincita nei confronti di una società letteraria che lo aveva deluso. Voleva dimostrare che non aveva perso tempo, mettere in luce la qualità e quantità del suo impegno di scrittore. Voleva provare quanto fosse diverso, lui, dalla massa dei giovani scrittori, tanto supponenti e sicuri di sé già al secondo libro. Far vedere che lui aveva la progettualità che a loro mancava. «Era un lavoro difficile. Dopo la catalogazione ci trovammo con mille pagine di computer da rivedere, correggere, tagliare. Il termine di consegna all'editore era fissato per metà settembre, ma credevo che avremmo potuto anche sforare. Per lui invece sembrava una questione d'importanza capitale finire in tempo. Non capivo. Non sapevo. Dopo, ho capito. Dopo, mi sono reso conto che lui ha creduto che io sapessi, che avessi intuito. Invece no. Non capivo perché fosse così debole e facile a stancarsi. Perché non si prendesse una vacanza per riposare, anziché restare in quel forno milanese a invidiare gli amici che tornavano abbronzati dai viaggi e presto ripartivano lasciandolo a lottare con le pagine da sfoltire, le notti insonni, i riposi pomeridiani interrotti dalle grida dei vicini, le mille piccole arrabbiature che coprivano la grande rabbia di chi da un anno, dall'estate dell'89, conosceva la sua condizione di uomo a breve termine. «Viveva per scrivere e dalla scrittura traeva le ultime scintille di vita. Al mattino si dedicava alla preparazione del terzo volume della raccolta "Under 25" e alla stesura di articoli per riviste. Al pomeriggio lavoravamo al libro. Questo impegno lo stremava, ma gli dava una ragione di vita. Ci metteva tutto se stesso, con passione e scrupolo. Voleva correggere tutto, e spesso riscriveva. Gli stampavo i testi su fogli molto larghi, formato A3, e lui a fianco, negli spazi bianchi, riscriveva. Usava solo matite, che temperava religiosamente e teneva in una grande scatola. Un giorno mi fece vedere con orgoglio che le aveva ridotte a una massa di mozziconi, tanto aveva scritto». Tace, Fulvio Panzeri. Forse si è accorto per la prima volta che gli era stata offerta una trasparente metafora per capire che la vita del suo amico scrittore, ineluttabilmente prigioniera di uno strumento per scrivere, stava consumandosi. «Esistono ancora - prosegue quei fogli e quelle matite. Li volle portare dai suoi genitori, a Correggio. Tornava da loro tutti i fine settimana. Diceva: "Là finalmente posso stare tranquillo e sono servito e coccolato". Ne ritornava sempre con qualche sorpresa che finiva per complicarci il lavoro. Una volta ripescò dalla sua biblioteca giovanile un libro di Scerbanenco, autore che amava pur con grande pudore perché non era considerato letteratura "alta", intitolato Al mare con la ragazza e volle assolutamente rivedere il saggio Cabine, cabine dedicato alla presenza degli scrittori sulla Riviera Adriatica, uno dei suoi luoghi culto e non solo perché ci aveva ambientato il romanzo Rimini. Era meticoloso, fino all'ossessione, capace di bloccarsi per ore sulla ricerca della esatta grafia del nome di un cantante. «L'estate avanzava, l'afa si smorzava, il libro si andava concretizzando. Pier Vittorio restava diviso tra l'entusiasmo e l'ansia di potercela fare; Mangiava poco e quasi soltanto in un ristorante cinese vicino a casa. Rileggeva gli autori di cui parlava nel Weekend: da Peter Handke e Ingeborg Bachmann al modenese Delfini, così simile a lui nell'unire l'esuberanza alla malinconia, nella voglia di buttarsi dentro le cose e dentro gli altri. Rileggeva tutti i suoi scritti e capivo che riviveva la sua esistenza. Si stupiva di quello che ci trovava, e io con lui. Quando abbiamo fatto la selezione tra le decine di articoli dedicati alla Riviera Adriatica ci siamo accorti che in quasi tutti appariva una costante: de luci delle raffinerie di Ravenna». Chissà perché lo avevano tanto colpito, chissà cosa rappresentavano per lui. «Usciva raramente, la sera. Preferiva la quiete della casa, il sottofondo di Videomusic. Per il resto, la televisione era per lui un corpo estraneo, la detestava da quando una sua partecipazione a Domenica In era stata censurata, credo a causa del fatto che Rimini parlava della speculazione ordita da un assessore democristiano corrotto. Aveva sbalzi di umore, ma con me che lo aiutavo in quello che considerava il progetto più importante era sempre gentile. A ogni incontro pomeridiano c'era sempre un dolce della pasticceria all'an¬ golo ad aspettarmi. «Un giorno volle venire a casa mia in Brianza e rimase affascinato dall'atmosfera familiare, dal camino che gli parve un totem attorno a cui radunarsi. Gli lessi nello sguardo il rimpianto per qualcosa che gli era mancato. Come quando frugò nella mia biblioteca e fu attratto dalla raccolta delle Mistiche edita da Marietti. Amava leggere le vite dei Santi. Nei suoi programmi c'era un libro con la descrizione di messe celebrate in luoghi e circostanze diverse. Rimase solo un appunto senza seguito. Il Weekend, invece, procedeva verso la conclusione. «Dedicò uno scrupolo maniacale alla stesura dell'indice analitico, ma quello che più lo prese fu l'indice dei nomi. Compilarlo fu per lui ricordare tutti quelli che avevano contato nella sua vita. Più che un apparato del libro rappresentò per lui un omaggio agli amici. "Però, quanti morti per droga e Aids", si lasciò sfuggire una volta. Neanche allora capii. Neanche cogliendo quell'ombra nel suo sguardo. La vedevo sopraffatta dalla gioia di chi ripercorre un cammino e se ne sente soddisfatto, e ritrova con piacere i compagni di strada. All'ospedale di Reggio Emilia «Ancora all'ospedale di Reggio Emilia, cinque giorni prima di morire, nel nostro ultimo incontro terreno mi disse: "Ricordi Fulvio, come ci siamo divertiti a compilare quell'indice dei nomi?". A metà settembre il libro era finito. Andai io a consegnarlo alla casa editrice. Lui, provatissimo, partì per concedersi una vacanza fuori stagione in Grecia. La sfida era finita. Pier Vittorio, che era l'unico a conoscere l'entità della posta in gioco, sapeva di averla vinta. Non avrebbe smesso di fare progetti, ma quello più grande, l'unico che aveva avuto davvero paura di non riuscire a realizzare prima di morire, l'aveva portato felicemente a termine in quella calda e struggente estate del '90». Poi sarebbero venuti i bagliori di settembre, gli spiccioli che la vita regala quando il conto è stato saldato in anticipo. Pier Vittorio Tondelli non avrebbe scritto altri libri, sarebbe morto nel dicembre del '91. Gli saranno riservati coccodrilli sui quotidiani, riviste monografiche, dediche all'inizio di romanzi. Usciranno racconti scritti da suoi amici, che parleranno di lui. Di quello che di lui hanno intuito, perché ogni uomo infine resta un mistero anche per se stesso. Ma quelli tra coloro che gli hanno camminato accanto, che hanno vinto o vinceranno qualche sfida sanno di doverlo anche a lui, a quello che ci ha insegnato in silenzio nell'estate del '90: che da qualche parte esistono, nella nostra anima sepolta in fondo alle ovvietà della vita, nella nostra storia di uomini perduti eppure incapaci di resa; da qualche parte esistono, al confine della notte, ai margini di strade già segnate, sull'orlo di un abisso dal quale potremo salvarci, "le luci delle raffinerie di Ravenna"». Gabriele Romagnoli Era il settembre '90, già conosceva la sua sorte di «uomo a breve termine» Ly IH ».<- t. v i X Alla sinistra, una cartolina spedita da Tondelli a Fulvio Panzeri, che lo accompagnò nella stesura del suo ultimo libro «Un Weekend postmoderno». Sopra, lo scrittore con l'amico. Al centro un suo ritratto e due fra i suoi autori prediletti: Peter Handke e Ingeborg Bachmann

Luoghi citati: Correggio, Grecia, Milano, Ravenna, Rimini