Tutti a Villa d'Este a cercare il Paese che non c'è

Tutti a Villa d'Este, a cercare il Paese che non c'è I NOMI E GLI AFFARI Tutti a Villa d'Este, a cercare il Paese che non c'è Tutto esaurito a Villa d'Este, al meeting di settembre dove, febee come una Pasqua, Alfredo Ambrosetti dispensa larghi sorrisi. Felici anche gli stranieri, lietamente sorpresi del nuovo look ministeriale italiano. Invece del volto irsuto di Giovanni Goria, del pancione di Gianni De Michelis, della spavalderia spicciola di Cirino Pomicino, ecco i tratti arguti di Sabino Cassese, la compostezza di Luigi Spaventa, la passione monetaria di Paolo Savona, lo sguardo da miope di Leopoldo Elia. Quanto a Nino Andreatta, di casa da sempre a Villa d'Este, il ministero degli Esteri gli fa bene. Appare più disteso e meno apocalittico. Non ci sono banchieri, Spaventa nemmeno il gentleman Giampiero Cantoni, un Padoa habitué. Ma il Schioppa credito è rappresentato ai massimi livelli, dal vicedirettore generale di Bankitalia, Tommaso Padoa Schioppa. A meno che non si voglia far passare per banchiere Romano Prodi, che controlla due grandi banche di interesse nazionale. Prodi sorride e non parla. Il professore ha tempra d'acciaio, ma la presidenza Iri scotta come una graticola. E' più loquace Franco Bernabè, che ha pronto in tasca il piano di riassetto dell'Eni. Soave Bernabè, con l'aria del ragazzino. In un solo anno, tra vertici di società e consigli di amministrazione, ha tagliato più di mille teste. Non ci sono segretari di partito, né i sindacalisti, impegnati a discutere a Londra con i colleghi eu¬ ropei. Ma c'è, ospite fisso ormai da tre anni, Gianfranco Miglio, a parole più sanguinario che mai. E c'è Francesco Alberoni, che distribuisce copie firmate del suo ultimo libro «Valori». Arrivano ad ascoltare le previsioni degli esperti parecchi editori: Massimo Vitta Zelman, azionista di Elemond, Tiziano Barbieri, presidente di Aie e padrone di Sperling & Kupfer, Federica Olivares, delle edizioni omonime. E poi lui, l'uomo multimediale, Silvio Berlusconi in persona. Piuttosto rannuvolato. Evita qualsiasi commento, anzi si morsica la lingua per non fiatare. Finirebbe per dire cose grosse, meglio riflettere prima. Tra stucchi e microfoni, il Ted Turner italiano incrocia il Grande Nemi- Barbieri co, Carlo De avanti Sperling Berlusconi il gran silenzio Benedetti. Stretta di mano e via. Il presidente di Olivetti è abbronzato e con qualche etto in meno. Ha appena lasciato, ancorata a Romazzino, la barca, ultimo (o forse primo, insinua un maligno) amore della sua vita. Sotto spoglie di «editore», approda a Villa d'Este Mario Schimberni, padrone della Curdo. Una casa editrice che ha acquistato dopo aver lasciato Foro Bonaparte. E che le idee faraoniche di Matilde Bernabei hanno condotto - parola di chi se ne intende - aU'amministrazione controllata. Ma, ora, il sodalizio con la figlia di Ettore è sciolto, i Ferruzzi sono fuori gioco. L'ex presidente di Montedison può tornare a circolare. E sulla terrazza che guarda il lago incontra tutti i suoi ex colla¬ boratori. Da Giorgio Porta a Lino Cardarelli, da Renato Ugo a Carlo Vannini e Giuseppe Bencini. Chissà! Arriva puntuale, cravatta verde smeraldino, Antonio Ratti, indomito re della seta, l'uomo che da tre anni sperimenta l'allevamento di un nuovo tipo di baco che non ha bisogno del gelso. Il baco è pronto, mangime, selezione della razza, produzione automatica. Ma c'è un problema: il baco cinese resta competitivo, costa meno della metà. E poi l'Enea ha tagliato i fondi per la ricerca. Passeggia rilassato Steno Marcegaglia. Beve il caffè e promette che andrà fino in fondo nella battaglia legale contro la svanii tazione delle azioni Ferfin. Lui, della Ferfin, comprò il 2,5% nel 1989, Schimberni l'editore costo 75 mUiardi. «Oggi sono più povero. Rossi ha esagerato. Non si può svalutare da mille a cinque lire», confida il mago di Gazoldo Ippoliti, ma non sembra scosso più di tanto. E fa un largo sorriso. Intanto, a Milano, l'avversario di Marcegaglia, Guido Rossi, affronta oggi un'altra serie di appuntamenti: la Serafino Ferruzzi, cassaforte di famiglia, che ha perso il capitale, la finanziaria Sifi e il Messaggero, dove probabilmente il direttore Mario Pendinelli dovrà lasciare la carica di amministratore delegato. Da oltre due mesi, Rossi sta chiuso nella trincea del palazzo Montedison, dove ha appena vinto un match importante, quello del consolidamento dei debiti del gruppo. Per il quale ha dovuto ingaggiare un braccio di ferro con Enrico Cuccia, che avrebbe preferito soluzioni diverse. Ma il neopresidente del gruppo Ferruzzi, con il sogno fisso della public company, non ha lasciato a Mediobanca alternative: o così o i libri in tribunale. Quindi: così. Su un altro fronte «commissariato», si va avanti. Giovedì, il commissario Efim, Alberto Predieri, sarà a Bruxelles per concordare il pagamento dei debiti delle società controllate al 100%. Intanto Predieri ha affidato a Gianlorenzo Saporiti i pieni poteri per il settore dell'alluminio. Anche qui sono in arrivo note dolenti, sotto forma di nuove azioni di responsabilità per gli ex. Valeria Sacchi Spaventa il gentleman Padoa Schioppa Barbieri avanti Sperling Berlusconi il gran silenzio Marcegaglia va alla guerra Guido Rossi all'attacco Schimberni l'editore

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