Parla Curtò: io non mi sono arricchito

Nel carcere di Verziano, l'isolamento interrotto solo dalla visita di due parlamentari Nel carcere di Verziano, l'isolamento interrotto solo dalla visita di due parlamentari Parla Curio; io non mi sono arricchito Lo sfogo in cella alla vigilia dell'interrogatorio decisivo BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO «Sono in magistratura dal marzo del '58. Questa di Enimont doveva essere il fiore all'occhiello della mia carriera. E invece guarda cosa mi è caduto addosso». Sì, è a terra il giudice Diego Curtò, magistrato tangentista, cella singola nel carcere di Verziano. Corridoio dei detenuti in isolamento, terza «stanzetta» a destra. Eccolo il presidente vicario del Tribunale di Milano sospeso dall'incarico per quel conto in Svizzera, per quella mazzetta da 320 milioni confessata da Vincenzo Palladino, il custode giudiziario delle azioni Enimont. «Figuriamoci se mi sono arricchito», replica Diego Curtò. Si sfoga: «Io ho sempre difeso gli interessi dello Stato». E poi aggiunge tutto d'un fiato: «Anche la gente al bar lo capisce. In quella vicenda c'è l'Eni da una parte e Gardini dall'altra. Io quel ricorso l'ho fatto per conto dell'Eni, per conto dello Stato». Tutta qui la difesa del giudice tangentista, pigiama a rigoni rosa e azzurro pastello, seduto sul letto della sua cella tre per tre. Nessun contatto con gli altri detenuti, non è permesso all'imputato Curtò in isolamento giudiziario. E lui sta in cella, un salto appena all'aria, dove c'è il giardino con i fiori. Il completo scuro con la cravatta è per il colloquio con l'avvocato. Adesso è in pigiama a rigoni e ciabatte da mare blu. Gli occhiali sul tavolo, accanto al mandato di cattura. Quello dove c'è scritto corruzione e abuso d'ufficio. Poche pagi¬ ne firmate dai giudici di Brescia i ne firmate dai giudici di Brescia che Curtò legge e rilegge. «No qui non c'è la televisione, non me la danno, sono in isolamento», spiega il magistrato indicando il muro giallino con la mensola vuota. Uno dei tanti elementi di questa cella fatta di poco: armadietti arancioni, tavolo, sedia impagliata, E accanto cinque bottiglie di Ferrarelle e il secchio blu con gli spazzoloni e lo scottex per tenere pulita la «stanzetta», come chiamano le celle da queste parti. Carcere di bassa sicurezza, detenuti condannati fino a tre anni, lavoro per reinserirsi. «No, neanche i giornali leggo. E' meglio così, davvero meglio se non li guardo. Chissà cosa scrivono?», lamenta il giudice, da giorni in primo piano su quotidiani, settimanali, tv, carriera infangata, lui magistrato dal '58 accanto a tangentisti, portaborse, politici arraffoni e industriali travolti dal ciclone Mani ouli- t te che non sì ferma davanti ate che non si ferma davanti a niente. E a nessuno. Si torce le mani, orologio, fede al dito. Ogni tanto guarda fuori dalla finestra con l'inferriata a maglia larga. Ma da lì si vede solo un altro padiglione del carcere e un pezzo piccolo di cielo. I campi concimati di fre: sco per il mais tutto attorno si possono solo immaginare. «Sono tranquillo, adesso che la vedo sono tranquillo», sorride a fatica Diego Curtò. E riesce anche a ironizzare su «questo albergo a cinque stelle che mi ospita». Davanti a lui c'è il parlamentare socialista di Brescia Guido Alberini. Poco prima era passata Tiziana Maiolo, deputato indipendente di Milano. Due visite che spezzano un pomeriggio fatto di nulla. Legge, legge molto il giudice scrittore, sette libri pubblicati e poco successo. Dalla biblioteca ha preso quello che c'era: «L'uomo di Nazareth» di Anthony Burgess, lo stesso che ha scritto «Un arancia a orologeria». Il libro è sul letto. E la copertina del volume tiene il segno a metà. «Il milione» di Marco Polo e una raccolta di racconti di «Selezione del Reader's Digest» sono le altre due letture, adesso impilate su una mensola accan- i impilate su una mensola accanto all'ingresso, sbarre pure lì. Sono l'altra parte della sua vita, i libri. E agli agenti di custodia presenti al colloquio promette: «Quando uscirò di qui farò un lascito di libri. Sceglierò io, se vi fidate...». «Prende anche appunti, dottor Curtò?», chiede il parlamentare socialista interessato a scoprire se pure da questa esperienza uscirà un ottavo libro del giudice-scrittore. «Gli unici appunti che prendo sono quelli per l'interrogatorio di domani (oggi per chi legge, ndr)», risponde. «Cartellino giallo, di questo non si può parlare», interrompe bonario Carmelo Cantone, il direttore del carcere. E ricorda che il detenuto, finché è in isolamento, non può parlare della sua posizione processuale. E allora via a parlare della vita di cella. «Il vitto? Ottimo e abbondante», risponde Curtò, ur unico sorriso sincero in mezz'o- i lunico sorriso sincero in mezz'ora. A pranzo gnocchi al pomodoro, «e poi una bistecca alla svizzera che si tagliava senza coltello», elenca Curtò. Sono le 18, l'ora della cena. Ma il giudice non mangia questa sera. Troppe emozioni, e poi perché interrompere questa visita che spezza una giornata identica ora per ora, minuto per minuto? «Ho lì un po' di formaggio e gli yogurt e le prugne prese al soprawitto», rassicura Curtò. Ma la sua mente è altrove. «Sua moglie, suo figlio, cosa dicono?», si interessa il deputato Alberini. «Non parliamo di queste cose, per favore...», risponde Curtò con gli occhi rossi. Non piange, non vuole piangere, adesso. L'ha fatto in questi tre giorni e due notti da solo, guardato a vista ventiquattr'ore su ventiquattro dagli agenti di custodia che si alternano davanti alla sua porta. Un control- ldmCtbcCnssttscMfpm lo costante, con il nersnnale lo costante, con il personale seduto ad un tavolo a pochi centimentri dalla porta con le sbarre. Ci vuole una grossa chiave di ottone per aprire quella porta, ma bastano pochi secondi. E in carcere sono sicuri che al detenuto Curtò così non può succedere nulla. Sì, sono pesanti quelle accuse, pesantissime per lui, magistrato di rispetto, quasi quarant'anni di carriera. Una vita in toga che adesso i giudici di Brescia passano al microscopio. «Dicono tutti che mi sono occupato anche della vicenda Mondadori, e invece quella l'ha fatta Papi, il mio predecessore», puntualizza Curtò. E aggiunge, con orgoglio: «Mi sono occupato invece dell'eredità Gucci, e anche qui ho fatto gli interessi dello Stato: trenta miliardi ho messo sotto sequestro». Anche quella causa è tra le carte che stanno raccogliendo i magistrati di Brescia. E questa mattina alle 10, primo interrogatorio, per Curtò inizia il momento della verità. «L'ho visto detenninato e deciso sulle sue vicende processuali, di cui non abbiamo comunque parlato a fondo perché non potevamo», conferma Guido Alberini. Aggiunge, il deputato socialista: «L'ho trovato forte e non depresso, come pensavo. Ho voluto incontrarlo per verificare quale fosse il suo stato d'animo in que sto suo ruolo rovesciato da giù dice a detenuto». Intanto Diego Curtò si alza dal letto, tende la mano, ringrazia Saluta, e poi dice: «Guarda cosa doveva capitarmi. Proprio a me, che ho sempre servito lo Stato» Fabio Potetti «Non c'entro con la vicenda Mondadori Se ne occupò il mio predecessore»

Luoghi citati: Brescia, Milano, Svizzera