Corto si confessa: «lo giudice in galera»
f. Potetti a pagina 3 Incontro con il presidente vicario del Tribunale di Milano. «Non mi sono arricchito, ho servito lo Stato» Corto si confessa: «lo, giudice in galera» Piange il magistrato alla vigilia dell'interrogatorio decisivo BRESCIA. «Sono in magistratura dal marzo del '58. Questa di Enimont doveva essere il fiore all'occhiello della mia carriera. E invece guarda cosa mi è caduto addosso». Piange e si dispera, Diego Curtò, già presidente vicario del Tribunale di Milano, in carcere per una mazzetta da 320 milioni che sarebbe stata pagata da Vincenzo Palladino, custode giudiziario delle azioni Enimont. Il giudice si confida alla vigilia dell'interrogatorio decisivo con i colleghi inquirenti dell'inchiesta Mani pulite. «Figuriamoci se mi sono arricchito», sostiene Curtò. E si sfoga: «Io ho sempre difeso i deboli e gli interessi dello Stato. Non sono mai stato dalla parte dei sopraffattori». Nessun contatto con gli altri detenuti; non gli è permesso, perché deve stare in isolamento giudiziario. Vietati anche giornali e televisione. Così Curtò è rimasto in cella a leggere il «Milione» di Marco Polo. f. Potetti a pagina 3
Persone citate: Curtò, Diego Curtò, Vincenzo Palladino
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