«Eppure l'Europa si muove» di Valeria Sacchi

A Villa d'Este il ministro Savona ammette: il marco è incontrollabile A Villa d'Este il ministro Savona ammette: il marco è incontrollabile «Eppure PEuropa si muove» Monti: la crisi Sme non spezzerà l'Unione CERNOBBIO DAL NOSTRO INVIATO Secondo giorno di Studio Ambrosetti a Villa d'Este. Si discute, si mangia, si beve, ci si scontra. Il piatto del giorno offre il dibattito sulla riforma delle istituzioni italiane, i punti di vista su competizione globale e futuro dell'unione monetaria europea. In mezzo, il tema della ripresa, che nessuno riesce ad intravedere, nemmeno dall'osservatorio privilegiato degli industriali che la crisi non la sentono, come quello di Guido Barilla o Gilberto Benetton. Manca Shimon Peres, assente per ragioni superiori, ma presente in spirito con un discordo videotrasmesso. E' mattina di buon'ora e un severo Helmut Schmidt critica il piano di Kohl per il rilancio economico della Germania, che ha appena letto sui giornali. L'ex cancelliere tedesco, ed ex leader socialdemocratico, attacca il cancelliere in carica, sostenendo che «non è un piano il suo, ma un discorso politico e perfino banale». E l'attuale freddezza tra Francia e Germania? «Non parlerei di rottura. Ma certo, sia Kohl che Balladur sembrano aver dimenticato lo spirito originario della Cee». E' tempo di coffee-break e il ministro dell'Industria, Paolo Savona, afferma di non essere sorpreso del rialzo del marco. «Ci sono in giro troppi soldi per il mondo, per poter pensare a un sistema di cambi fissi» è la sua diagnosi, «non bisogna quindi stupirsi di nessuna quotazione raggiunta da una o dall'altra moneta, marco compreso. Vanno in giro liberi 14 mila miliardi di dollari ai quali si contrappongono riserve ufficiali per mille miliardi di dollari. Non si può dichiarare guerra quando si è uno contro 14, meglio .ritirarsi». Dùnque non ci sarà più ordine possibile? «Forse, ma solò con una radicale riforma del sistema monetario internazionale, mandato a monte dall'incontro di Rio del '68». Meno pessimista appare Mario Monti, che tuttavia non nasconde i pericoli dell'europessimismo, che ha in Dornbusch uno dei suoi vati. Un virus che può indurre al disimpegno, ad un uso strumentale per ritornare a forme di protezionismo. «Certo», ammette il rettore della Bocconi, «tra il settembre 1992 e l'agosto 1993 la crisi del sistema europeo è stata grave. Apparentemente si può dire che l'unione monetaria abbia fatto un passo indietro. A mio avvi- so, guardando le cose da un'ottica meno ristretta, c'è stato un passo avanti». Secondo Monti, nonostante lo stop a Maastricht, «l'integrazione dei mercati si è intensificata». Fatto ancora più importante: «Malgrado le gravi crisi monetarie, non sono stati reintrodotti vincoli valutari». Insomma «il test è stato duro ma, invece di disintegrare il sistema, ha spinto i diversi Paesi a compiere passi avanti verso la convergenza, ne ha anticipato le verifiche». Italia docet. In quest'anno tribolato, insomma, i singoli Paesi hanno assunto comportamenti più europei. E addirittura Monti aggiunge, alle classiche cause della «rivoluzione italiana» (crollo del Muro e mobilità dell'elettorato, effetto magistratura), un terzo fattore fondamentale, quello che deriva dalla costruzione del mercato unico. Che ci ha costretti ad abbattere i vincoli alla circolazione libera dei capitali, mentre i veti Cee hanno posto fine ai sussidi per le imprese di Stato, costringendoci al processo di privatizzazione. Conclude Monti: «Ci potranno essere ritardi nell'avvio della Moneta Unica, ci vorranno passi avanti sul terreno politico, forse ci vorranno le due velocità, ma il processo europeo è in marcia». L'Europa è in marcia, ma molti nutrono dubbi sul suo futuro. Come George Yong-Boon Yeo, viceministro per gli Affari esteri della Repubblica di Singapore, che accusa l'Europa di posizioni troppo difensive, di errate politiche del «welfare state», e di essere la causa di un possibile fallimento dell'Uruguay Round. E ci ricorda che ormai, Russia compresa, rappresentiamo solo un decimo della popolazione mondiale. Ma sull'Europa si dice preoccupato anche Fred Bergsten, responsabile del comitato per la produttività del governo Clinton. Con piglio severo spiega che, per la fine dell'anno, è già stato fissato il Pacific Basin Council, un incontro tra Stati Uniti e Paesi asiatici sui commerci. Se per allora il Gatt non sarà concluso, il polo dei traffici si sposterà sul fronte del Pacifico, tagliando fuori la vecchia Europa. «Il tempo è stretto, solo poche settimane. E non si può escludere la Francia». Ma la Francia, per via delle questioni agricole, è il Paese che mette i bastoni fra le ruote. E allora? Sir Leon Brittan, negoziatore ufficiale della Cee al Gatt, non sembra così preoccupato. Non esclude che esistano spazi per qualche modifica. Che, insomma, la vecchia Europa ce la possa ancora fare. Valeria Sacchi Mario Monti