Nel Paese del Cristo pensante assediate dagli dèi pagani di Foto Reuter

Gli antichi riti druidici riempiono il vuoto lasciato da una Chiesa esangue dopo 50 anni di persecuzioni Nel Paese del Cristo pensante assediate dagli dèi pagani LE SETTE IN AGGUATO OVILNIUS uel volto scolpito nel legno lo si incrocia in tutte le case, le chiese, i cimiteri, gli incroci delle strade. Il capo è reclinato, l'atteggiamento grave. Lo chiamano «il Cristo pensante», o «Rupintojelis», letteralmente «Colui che si preoccupa». E' succeduto in linea diretta ai totem dell'era pagana. La Lituania non è forse la figlia «cadetta» della Chiesa, il Paese cristiano più «giovane» d'Europa, evangelizzato appena sette secoli fa? «A migliaia, queste effigi di Cristo venivano bruciate dall'Nkdv (il predecessore del Kgb, ndr). Il Paese sembrava un gigantesco bracere, annunciatore dell'Apocalisse. E nel 1949 veniva data alle fiamme l'ultima sinagoga di Vilnius». Con queste parole Emmanuel Zingeris, deputato dell'opposizione nazionalista, la cui madre ebrea sopravvisse miracolosamente ai lager nazisti, poi ai gulag staliniani, rievoca il dramma che vissero tutti i credenti, cattolici ed ebrei, della Lituania. Una famiglia su quattro ebbe un suo componente assassinato o deportato. Prima della guerra gli ebrei rappresentavano il 40% della popolazione a Vilnius, il 30% a Kaunas. Ce n'erano 245 mila in tutto il Paese. Ne sono rimasti 5 mila. «Da noi avveniva un genocidio, e intanto l'Europa ballava il tango» aggiunge Zingeris. In questa sola e unica Repubblica cattolica dell'Urss, la Chiesa ha conosciuto la prova del martirio: chiese e seminari sprangati (tranne quello di Kaunas, peraltro sottoposto a «numero chiuso»); quattro vescovi e trecento preti deportati in Siberia, gli altri esiliati; l'elite intellettuale decapitata. Quattro anni dopo l'indipendenza, il «Cristo pensante» non ha torto a mostrare un volto inquieto. Non essendo ancora riuscita a esorcizzare il suo passato, la Lituania è un Paese esausto, disincantato. Le novità più folli - mafia, sette neopagane - stanno già sostituendo le promesse di rinnovamento morale e spirituale che avevano seguito l'apertura della prigione atea. Certo, le chiese sono piene. A centinaia, gli adulti si fanno battezzare. Coppie formatesi venti o trent'anni fa vengono a farsi sposare dal parroco. Rifioriscono i pellegrinaggi, e movimenti come lo scoutismo. Non si contano le conversioni di giovani che attraversano la frontiera per andare a rendere omaggio a Czestochowa. Ma ciò mette ancor più in risalto la frattura prodotta da cinquantanni di comunismo ateo. Per cominciare, c'è il senso di vuoto. Le chiese sono state riaperte ma, soprattutto nelle città, i parroci non hanno presbiteri né catechisti. Fino alla vigilia della visita del Papa, l'arcivescovo di Vilnius era co- stretto a lavorare (in un giornale indipendente, «Respublika»). Una norma sugli edifici religiosi e le proprietà ecclesiastiche è stata votata nel 1990, senza però prevedere il meccanismo della restituzione. Peggio, le leggi sulle privatizzazioni hanno aperto la strada a ogni genere di speculazioni da parte della mafia in combutta con la vecchia burocrazia comunista, tuttora al suo posto. A Vilnius il 90% dei beni della Chiesa è stato venduto, a volte lo stesso bene a più persone diverse. «Io non voglio cacciare i locatari. Rivendico solamente i titoli di proprietà e il diritto della Chiesa di condurre normalmente le sue attività», dice l'arcivescovo Audrys Backis. Cionondimeno, corsi di religione sono stati istituiti, senza dubbio precipitosamente, in tutte le scuole - in alternativa all'insegnamento di «etica» ma la Chiesa non dispone affatto di personale idoneo a formare gli allievi. Oltre all'apatia degli studenti e alla diffidenza dei genitori, che temono si passi a un nuovo tipo di indottrinamento, ci sono i vecchi insegnanti di ateismo che sono obbligati a riconvertirsi e ad assumersi l'incarico controvoglia. Se qualche testo è stato (mal) tradotto, le riforme del Concilio Vaticano II non hanno avuto che una flebile eco in un Paese immobile come la Lituania comunista. Aureolata dalla sua immagine di martire, la Chiesa cattolica è rimasta molto «clericale»: i laici non vi ricoprono alcun ruolo di responsabilità. Durante la messa, spesso i preti ancora rivolgono loro le spalle. Ridotto di numero, dissanguato, anziano (l'età media è di 66 anni), il clero stesso non si sa più che cos'è. I preti sono stati addestrati, sotto l'occhio del Kgb, ad avere un atteggiamento da burocrati, a non mettere piede fuori dalla sacrestia. Sventosios Parapija, prete polacco, confessa la sua impotenza: «Al seminario nessuno mi aveva avvertito che questa Chiesa sarebbe stata un giorno libera, e che avrebbe dovuto affrontare quel che le si domanda al giorno d'oggi». Quanto alle risposte di padre Alfonsas Svarinkas, sono note in tutto il Paese: se si va a trovarlo, tira fuori la sua divisa a righe grigie e nere, ricordo di Perni (sugli Urali), ultima stazione del suo calvario di 23 anni anni fra i gulag. Ci aveva cucito una piccola croce di filo bianco che intimoriva, dice, tutti i guardiani. Secondo que¬ sto prete, Dio e la Lituania sono una cosa sola: deputato del Saljudis (il partito di Landsbergis) nel 1991, Svarinskas minacciò una volta di «fucilare» tuti i comunisti rimasti nel Paese. Per la strada o nelle conferenze, conduce la sua guerra contro «il sesso, le sette e il Rotary», rimprovera ai suoi giovani di aver perduto «lo spirito di sacrificio», rievoca i bei tempi della Lituania indipendente fra le due guerre. Prima delle elezioni del febbraio 1993 non è stato certo l'unico sacerdote a fare sermoni politici contro l'ex comunista Algirdas Brazauskas, poi eletto: «Non votate per i collaborazionisti. Non votate per i nemici di Dio!». Ma la gerarchia, che non vuole più mescolare l'impegno sacerdotale con la lotta di parte, si è dissociata. Nello sbandamento collettivo, guadagnano terreno le sette: Nuovi apostoli. Testimoni di Geova, Are Krishna e, in minor misura, il reverendo Moon. Il gruppo satanico dei Kiss (sigla che significa «al servizio del regno del demonio») appiccica croci uncinate sugli edifici religiosi. A questa fioritura delle sette, si aggiungono forme di resurrezione pagana, che sembrano più che folclore. Tornano di moda per i bambini i nomi «naturalisti» come Jurate (sirena), Ginteras (ambra), Egle (una dea del mare), Ruta (fiore). Intellettuali partecipano a feste «druidiche» ritmate da canzoni patriottiche sulla famosa collina di Gediminas (dal nome del granduca fondatore di Vilnius nel XIV secolo) dove il presidente Brazauskas si è recato per la sua cerimonia di investitura, prima di scendere verso la basilica. L'arcivescovo, monsignor Audrys Backis, affronta una situazione del genere. Scegliendo per questo posto, nel 1992, il figlio di un ex ambasciatore a Washington del governo lituano in esilio, ex collaboratore del cardinale Casaroli presso la Curia romana e ex nunzio nei Paesi Bassi, il Papa ha tentato una scommessa audace: rinnovare, tramite una personalità «immigrata», una gerarchia che ha sviluppato una mentalità da fortezza assediata e che resta avvinghiata alle sue certezze, sospettosa dell'Occidente che non è più la stella su cui ci si orizzonta. Henri Tincq Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» Gli antichi riti druidici riempiono il vuoto lasciato da una Chiesa esangue dopo 50 anni di persecuzioni A scuola si insegna religione però mancano i professori Così i docenti di ateismo si riciclano col catechismo Un'immagine di Vilnius e il presidente ex comunista Algirdas Brazauskas [FOTO ANSA] Nella foto sopra un'anziana donna di Vilnius con la foto del Papa Qui accanto la celebre collina delle croci [FOTO REUTER]