Sorrisi sbadigli e minacce Gerico aspetta il Presidente di Mimmo Candito

«L'Intifada continua» Sorrisi, sbadigli e minacce Gerico aspetta il Presidente nella capitale dell'olp GERICO DAL NOSTRO INVIATO Gli oleandri sono in fiore, nella piccola piazza del paese, e il mulo parcheggiato dentro il sole spinge il muso che sembra volerne rubare il profumo. C'è aria antica, qui, fuori dal tempo, un'aria immobile di secoli. Ma Gerico sarà presto la prima capitale del nuovo (quasi) Stato palestinese, anche se ora resta sempre una città araba occupata dall'esercito israeliano. La piazza ripete odi antichi e recenti, in una geografia tracciata però da Mahfouz, quieta, senza rancori che brucino: da una parte c'è il vecchio municipio arabo, col sottoscala abitato da un fruttivendolo e da un venditore di deliziosi dolcetti orientali; dall'altra, di fronte, sta invece la caserma della polizia israeliana, con una grande magnolia piantata in mezzo al cortile di terra. Sindaco palestinese e maggiore giudeo si guardano dalle loro finestre, potrebbero anche parlarsi a voce, tanto sono vicini; e Jamil Khalaf, dietro il suo tavolo di legno scuro, pare proprio un Peppone, quello dei tempi buoni, grasso, pieno di baffi e di lardo, con un sorriso levantino di lunghi tragitti. La caserma, allora, per rispetto del copione, anche se è protetta da una rete di metallo alta 5 metri, una sorta di scudo grigliato capace di tener lontane bombe e pietre, lascia poi che tra le maglie della rete la magnolia allarghi i suoi rami e nasconda gentilmente, sotto le foglie ampie, recinzioni e paure. Se Gaza è l'Inferno, insomma, Gerico potrebbe essere un qualche ipocrita Paradiso. Affondata dentro la valle del Giordano, nell'incavo piatto che si distende accanto al Mar Morto, è un'oasi di palme, di banani, e aranceti. «Noi abbiamo goduto della benevolenza di Allah - dice Jamil Khalaf -, e la Storia è passata lungo questa strada; qui Gesù ha battezzato, qui i re venivano a svernare. L'odio è stata soltanto una parentesi, ora è tempo che torni lo spirito della pace». La stanza è piena di notabili affondati nelle poltrone, e tutti fanno di sì con la testa, convinti, compiaciuti, orgogliosi anche del destino che ora gli è stato assegnato. Il vecchio ventilatore a pale gira lento sotto il soffitto, il suo ronron non muove nemmeno l'aria. Fuori dalla finestra, la caserma israeliana mostra le pattuglie che si danno il cambio sulle jeep blindate. Ma non c'è agitazione; qui - a differenza di Gaza - non si è mai sparato nella strada. «Noi siamo gente di campagna, gente semplice, che sa adattarsi a tutto. Qui, da noi, arabi e israeliani bevono assieme il caffè da almeno 2000 anni». E quelli del circolo dicono sempre di sì con la testa, che sono bravi e che si vogliono bene. Non è poi troppo difficile. Se a Gaza la disoccupazione arriva, e supera anche, l'80 per cento, qui, assicura Khalef, «saremo al massimo al 5 per cento, forse l'8. Qui ci sono campi e giardini, e lavoro ce n'è per tutti». Il fruttarolo, di sotto, aveva un banco di meraviglie, con pomodori grandi quanto meloni e cascate di datteri grossi tanto da piegare il braccio di chi le pesava. Si chiama Muhammar, e ha un orto dove lavora tutta la famiglia (e qui famiglia può voler dire anche IR persone): «Io non sto né con Ar rat né con Hamas; io aspe r.o e guardo, ma voglio fatti: le panile non mi fregano più». Muhanimar parla e pesa, e la gente che sta attorno si ferma per ascoltare; son tutti d'accordo, che l'estremismo della violenza non produce niente di buono, ma questo non vuol nemmeno dire che siano pienamente convinti di quanto sta avvenendo. Mugugnano, sperano, si lasciano soprattutto tentare da quest'aria nuova che ha portato l'annuncio di domenica scorsa. «Qui, il primo che rechi quattrini - dice uno con gli occhiali e la khefiah - quello si porta dietro tutti quanti». Un altro racconta che dopo l'annuncio tutti i prezzi sono aumentati, e che chi ha case o terre ora si sta fregando le mani dalla contentezza. Andiamo in delegazione a mangiarci uno shwarma nel ristorante Nabil, lì accanto, sempre nella piccola piazza. In realtà, l'insegna dice proprio «Ristorante» ma è null'altro che un buco nero col bancone del fuoco piazzato lì nella strada; lo shwarma però è delizioso, e tutti hanno una discreta voglia di chiacchierare. Ne viene fuori lo spaccato di una società dove la militanza del nazionalismo è soavemente mitigata da una buona dose di pragmatico senso degli affari: il problema palestinese resta una spina da risolvere, certo, ma fa troppo caldo e c'è troppa circolazione di denaro perché ci si possa arrabbiare di fuoco. Gaza pare un mondo lontano, un altro universo, con i suoi furori, la violenza di ogni giorno, la miseria disperata dei campi profughi affondati nella polvere e nell'immondizia. Si è avvicinato a sentire an¬ che il dottor Nasreh Al Ghazli, dentista, che ha lo studio dall'altra parte della strada, proprio accanto alla caserma: e, orgoglioso, ne fa vedere l'insegna su un balconcino di vecchi mattoni. Il dott. Al Ghazli in questo momento non ha pazienti da torturare, può dunque contribuire saggiamente al dibattito sul futuro del mondo. Lui dice poi quello che già hanno detto gli altri, ma tutti si affannano a far vedere che si tratta di un giudizio importantissimo e assolutamente originale. E lui se ne va via sottobraccio col giornalista straniero, perché vuol fargli vedere la casa che l'Olp sta per comprare come nuova residenza del capo di Stato Yasser Arafat. E' una palazzina bianca a due piani, con un grande giardino e la piscina. Il proprietario pare abbia chiesto 2 milioni di dollari, dice il dentista che sa tutto, ma certo un accordo si troverà. Quando la congrega si scioglie, un giovanotto con i baffi rossi si avvicina allo straniero e gli dice che le cose non stanno per come lui le ha viste finora, e che se c'è un sindaco messo su dagli israeliani c'è poi. in realtà, anche un altro sindaco tutto palestinese. Il giovanotto non parla molto, lancia piuttosto messaggi di diffidenza, dubbi da scoprire, mette in campo incertezze e sospetti; vuole soltanto comunicare che Hamas sta anche a Gerico, e che quando l'accordo di pace verrà firmato i conti allora si chiuderanno. «I traditori pagheranno le loro colpe, secondo il volere di Allah». Scompare nella piccola folla della piazza, perduto subito dietro il muro di galabiah bianche che oziano nell'ombra delle vecchie case. Le pattuglie dei soldati israeliani girano lentamente per le stradine polverose della città, qualcuno sbadiglia tra i fucili. Gerico e Gaza sono le prime porzioni di uno Stato tutto da inventare. La contrapposizione drammatica dei loro due mondi rivela anche la crisi interna del nazionalismo palestinese, tentato dal fascino della pace ma legato dalla memoria della resistenza e della lotta armata. Uno dei ragazzi che mangiava lo shwarma del ristorante Nabil raccontava di quando suo fratello, un giorno, aveva incontrato Arafat: «Gli ha detto che lui veniva da Gerico, e Abu Ammar lo ha abbracciato stretto e lo ha annusato, a lungo, tirando su per il naso come un cane. "Fammi sentire il profumo di casa", gli diceva». Per un attimo, tutti hanno smesso di addentare il loro shwarma. Mimmo Candito Una palazzina bianca con piscina dovrebbe ospitare il leader palestinese «Il proprietario ha chiesto due milioni di dollari» Re Hussein ha finalmente «benedetto» l'accordo di pace. Sotto: Arafat e la manifestazione a Tel Aviv [foto reuter]