Polemica
Polemica Polemica Cesare Cases «Io, il diavolo di Calasso?» Ringrazio Calasso per l'intervista I con Baudino, dedicata più a me che a lui, poiché mi ritiene responsabile (sia pure per reazione) di se stesso, della sua evoluzione spirituale e di scrittore, nonché della casa editrice Adelphi, della sua attività e dei suoi successi passati, presenti e futuri. Certo la storia di Dio non sarebbe stata la stessa senza il diavolo. Tuttavia penso che Calasso esageri. Negli Anni Sessanta non era facile distinguere Dio dal diavolo, anche se adesso ci sono molti storici improvvisati che vedono dappertutto all'opera la divina Provvidenza. Per Calasso era essa a riunire intorno a un tavolo della Trattoria Romagnola lui, Manganelli, Bortolotto e Giuliani. Sarà, ma nel tavolo accanto c'ero spesso io con l'arcistoricista Delio Cantimori, che quando veniva a Roma prediligeva quella trattoria. E di che cosa si parlava al tavolo di Calasso? Naturalmente del Libro dell'Es di Groddeck, che piaceva a tutti, compreso Fellini, e che fu pubblicato da Adelphi. Perché da Adelphi? Perché i razionalisti di Einaudi l'avevano rifiutato nonostante la campagna sostenuta da Bazlen e da me, che non ero in grado di pronunciarmi sul valore scientifico ma trovavo (e trovo) quel libro un tardo capolavoro del Romanticismo tedesco. Secondo Calasso invece queste scelte mi facevano «rabbrividire». Io rabbrividisco solo quando un saputo come Calasso si accoda ai cretini per considerarmi un esponente integrale della cultura del pei (tutta la sua intervista è impostata su questa menzogna totalitaria) e quando apprendo che il personaggio sottile come un paggio del duca di Norfolk, che una volta respinse sdegnosamente la mia offerta di tradurre i saggi di Adorno perché non voleva lavorare per l'industria culturale, ora vende i suoi miti anche nei supermercati americani. Cesare Cases
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