Venezia-Mestre salta il referendum di Lorenzo Del Boca

Venezia-Mestre, salta il referendum Venezia-Mestre, salta il referendum Così ha deciso il Tar, si riaccendono le polemiche SEPARAZIONE RINVIATA VVENEZIA ENEZIA e Mestre - per adesso - non divorziano: sono obbligate a stare insieme da una decisione del Tribunale amministrativo che annulla un referendum già fissato per il 3 e 4 ottobre e destinato a dividere la città in due municipi indipendenti. Vizi di forma - hanno sentenziato i giudici -, irregolarità procedurali e incompletezza nella documentazione. Tutto rinviato, dunque, fra qualche truculente protesta dei sostenitori del «sì» alla separazione ma anche con le garbate riflessioni del resto del mondo che sarebbe andato alle urne con poco entusiasmo e scarsa convinzione. L'esito, tuttavia, sembrava abbastanza scontato. Nel 1979 la separazione era voluta dal 27 per cento della gente. Dieci anni più tardi, nel 1989, il fronte della divisione era salito al 42. E, adesso, avrebbe conquistato una salda maggioranza se si deve dare credito al sondaggio realizzato dalla Sgw di Trieste per conto de II Gazzettino. Per la verità, un 17 per cento di elettori si è dichiarato ancora «incerto» e, tuttavia, quell'area di opinione sembrava utile a misurare lo spessore del risultato piuttosto che deciderlo. Ognuno per sé - Venezia da una parte con il prestigio della storia dei dogi e Mestre dall'altra con la ricchezza della sua industria - ma per stanchezza più che per volontà, addirittura in lotta con la pigrizia che avrebbe voluto lasciare le cose come stavano. E' come se marito e moglie, con alle spalle un matrimonio fatto di an¬ ni di mugugni e malintesi, decidessero di spartirsi i risparmi e divorziare. Abbastanza improvvisamente, senza un bel litigio con lancio di piatti che spieghi e giustifichi la decisione, ma per assecondare una forza centrifuga che spinge a farla finita una volta per tutte. Venezia vuole lasciare Mestre perché, hi questi anni, i finanziamenti pubblici nazionali e internazionali sono stati dati alla storia della città ma poi spesi in terraferma. Facendo da sé non potrebbe che migliorare. Eppure, anche Mestre vuole lasciare Venezia perché - si lamenta - è stata considerata una periferia e come una periferia trascurata. Con l'indipendenza amministrativa avrebbe conquistato la dignità e la centralità del municipio. Però, sullo stesso piatto della bilancia, bisogna pur mettere in conto che Venezia, con il suo impero culturale, si sarebbe ritrovata al livello di città come Fano con 75 mila abitanti. Il flusso di denaro del passato avrebbe potuto continuare? E così, Mestre, senza back ground intellettuale, senza Ponte dei sospiri e senza Piazza San Marco, avrebbe corso il rischio di essere inghiottita ancor di più nell'anonimato che si è impadronito di Rivalta piuttosto che di Sesto San Giovanni, dove si lavora e si produce ma senza identità. Alcuni elettori sono sembrati senza tentennamenti. Dorina Vaccaroni non usa il fioretto in politica: «No, devono rimanere unite». C'è un motivo? «Unite e basta». L'attore Lino Toffolo, che in tv anima le gag comiche, è, al contrario, serissimo se si parla delle cose di casa sua: «Ognuno per sé, troppo diverse e troppo distanti queste due realtà, una buona separazione al posto di una mal sopportata convivenza». «Sì» senza mezze misure per l'ex sindaco socialista diventato autonomo Mario Rigo e «no» senza tentennamenti per il filosofo Massimo Cacciari. La maggior parte della gente, però, è sembrata più combattuta, tendenzialmente favorevole a separare Venezia da Mestre ma incerta se quella fosse davvero la soluzione più giusta. «Insieme o divise - è il parere del sovrintendente ai Beni artistici Livio Ricciardi - io resto comunque con giganteschi problemi di organico e una mole di lavoro alla quale è difficile far fronte. Quattro architetti ho, quattro ne avrei». Lo scrittore Paolo Barbaro riteneva, comunque, che il referendum fosse insufficiente, perché dava risposte sommarie. Fra il sì e il no esiste - a suo giudizio - una terza strada ben più utile: quella di realizzare una città metropolitana all'interno della quale convivono alcune municipalità con ampie autonomie. «Un grande nucleo contemporaneamente unitario e diviso fra Venezia storica, Mestre, Marghera e le isole del Cavallino». Avrebbe avuto voglia di «chiudere le porte e fare da sé» anche un altro scrittore lagunare, Carlo Della Corte, ma la sua decisione sarebbe stata in qualche modo trattenuta dal pericolo che, in questo modo, si asseconda una voglia dannosa che porta al frazionamento. «La Jugoslavia - rileva - è qui vicino. Tutto si frammenta e si fa coriandoli ma questo è sempre positivo? Dopo i grandi ideali collettivi e ingenui si cade nell'eccesso opposto della ricerca del particolare altrettanto ingenuo. Andarsene è facile, ma poi i due che si sono separati si ritrovano vedovi e orfani entrambi». «Il mio voto - diceva - non è ancora formulato: vedo, nel rompere, un possibile errore». Venezia e Mestre - su questo la valutazione è omogenea - pagano disattenzioni collettive e cattiva amnùnistrazione politica. Come pretendere di risolvere i problemi modificando soltanto i confini? Le città devono essere omogenee, certo, ma occorrono Consigli comunali all'altezza delle necessità. «Deve cambiare la musica?», esemplificano i veneziani: «Vuol dire che prima devono cambiare i musicanti». Arrigo Cipriani, proprietario dell'Harry's Bar, dove Hemingway scriveva le sue memorie di guerra, confessa di aver votato no in occasione degli altri due referendum ma che, questa volta, avrebbe probabilmente scelto il sì. Con tante perplessità e nessuna certezza. «Soprattutto perché è il momento sbagliato. Un'indicazione del genere è un messaggio affidato ai politici. Ma quali politici se adesso non ci sono più e quelli rimasti si nascondono dietro le colonne?». Lorenzo Del Boca Massimo Cacciari (sopra) è contrario alla separazione. Arrigo Cipriani (a sinistra) forse avrebbe votato sì