SE IL GIUDICE CORROMPE IL DIRITTO

Choc al Palano di Giustizia SE IL GIUDICE CORROMPE IL DIRITTO mente la conditio sine qua non di quanto gli viene addebitato. La prima cosa che si vorrebbe chiarita sono le modalità di accesso a cariche giudiziarie dalle quali si può esercitare un grande potere. Non parlo delle procedure formali, ma degli appoggi, delle protezioni che occorre avere e che naturalmente hanno un prezzo. Il caso Curtò pone un problema che è individuale dal punto di vista del diritto penale ma è generale dal punto di vista dei sistemi di promozione e cooptazione interni alla magistratura. Non è pensabile che egli fosse lì per caso. Si sa che la sua ascesa è stata contestata; presumibilmente ci sarà anche chi l'ha giudicata un abuso o, almeno, un episodio poco chiaro. Eppure, non è stato possibile fermarla. I modi di promozione a cariche dirigenziali hanno poi effetti molto negativi nell'organizzazione della giustizia. Poiché sono molti gli aspiranti, si organizzano gruppi con il compito principale di favorire le ambizioni dei propri adepti. Così si formano strutture di potere, con capi e postulanti. Una vera e propria gerarchia informale contraddice l'aspirazione costituzionale all'uguaglianza dei magistrati e alla loro distinzione solo per funzioni. Le «correnti» in cui la magistratura si organizza sono talora i veicoli di queste strutture di potere. Quando si parla di «lottizzazione» del Consiglio superiore della magistratura, si indica questo fenomeno. Chiamato a distribuire potere, per mezzo del conferimento degli incarichi direttivi, è del tutto naturale che esso sia diventato il luogo in cui spesso si mercanteggia tra gruppi organizzati che, prima di ogni altra preoccupazione, hanno quella di proteggere i propri aderenti. La seconda questione riguarda direttamente i poteri di cui dispongono i capi degli uffici. E' un punto importante per capire perché sia così diffusa l'aspirazione a divenire presidenti di tribunale, di corte d'appello, eccetera. Non è sempre il desiderio di dedicarsi all'organizzazione degli uffici di cui si vuole assumere la direzione. Coloro che occupano queste posizioni dispongono di poteri d'altro ge¬ nere, come i provvedimenti d'urgenza e cautelari, la nomina di collaboratori della giustizia (come era il custode delle azioni Enimont), la designazione di altri magistrati nei collegi arbitrali o in collegi amministrativi, come le famigerate Commissioni di collaudo di opere pubbliche. Questi poteri sono a stretto contatto con interessi economici spesso ingentissimi. Si possono fare le fortune di questo o di quello. La partecipazione di un giudice a un collegio arbitrale, per esempio, può cambiare la sua vita. In questi casi, la volontà del magistrato dirigente è decisiva e si capisce come la tentazione di «accettare doni» possa essere allora fortissima. Non si tratta di problemi nuovi e bisogna riconoscere che è stata una parte della magistratura a sollevarli di fronte a una classe politica, nella sua maggioranza, insensibile. Il che fa pensare che anch'essa avesse il suo tornaconto. C'è ora una Commissione ministeriale all'opera per la riforma dell'ordinamento giudiziario. Ci si può aspettare che il caso Curtò le fornisca qualche occasione di riflessione. Gustavo Zagrebelsky

Persone citate: Curtò, Gustavo Zagrebelsky