Corruzione Curtò in carcere di Susanna Marzolla

Per la vicenda Enimont arrestato il presidente vicario del Tribunale di Milano Per la vicenda Enimont arrestato il presidente vicario del Tribunale di Milano Corruzione, Curio in carcere Perquisiti casa e ufficio MILANO. Da ieri Diego Curtò, 68 anni, magistrato al massimo grado di carriera, presidente vicario del tribunale di Milano, è un detenuto. In attesa di giudizio, s'intende. E' accusato di corruzione in atti giudiziari, un reato che prevede dai 3 agli 8 anni di carcere, e di abuso d'ufficio a scopo patrimoniale (pena: dai 2 ai 5 anni). Questo per quanto riguarda i 320 milioni che Vincenzo Palladino, ex custode giudiziario delle azioni Enimont, dice di avergli consegnato. Lo stesso Palladino che ha confessato di aver ricevuto non quattro e mezzo, bensì sette miliardi per quell'incarico: due pagati dall'Eni e cinque dalla Montedison. E se è vero, anche Giuseppe Garofano e Carlo Sama, che hanno detto di aver pagato «solo» due miliardi e mezzo, avrebbero pensato di farsi uno sconto nelle loro confessioni. Garofano, attraverso il suo legale, ha però già smentito. Ieri è stato interrogato due volte: a Milano, da Di Pietro, e poi a Brescia, come testimone. Dove gli hanno chiesto cosa è esattamente successo in quei giorni del sequestro, qual era il comportamento di Curtò: Garofano ha detto di averlo visto solo una volta, per l'udienza. Certo per l'affare Enimont i miliardi sembravano spuntare da ogni dove: è stata tal pioggia di quattrini da obnubilare un magistrato esperto? Oppure la vicenda si è inserita in un meccanismo di favori già ben sperimentato? E' questo quanto vogliono appurare le indagini: quella giudiziaria, condotta dai giudici di Brescia e quella amministrativa, degli ispettori del ministero. Per avere una risposta saranno passati al setaccio tutti gli atti compiuti dal giudice Curtò. Nomine di periti e consulenti, affidamento dei processi, sequestri di beni e azioni, decisioni, sentenze: insomma tutto quanto Curtò ha fatto da quando a Milano è diventato presidente della prima sezione civile. Carica a cui è seguita quella di presidente vicario del tribunale, di cui è stato per due periodi anche reggente. E quella Enimont non è stata la sola vertenza importante. Se infatti nella querelle De Benedetti-Berlusconi per la Mondadori ha avuto solo un ruolo marginale, altre cause civili Curtò le ha condotte in prima persona: quella dei Gucci, tanto per citarne una. E' vero che, nell'affidamento dei processi, seguiva un criterio tutto particolare, tenendo sempre per sé quelli più importanti? E' vero che come curatori fallimentari nominava sempre quei cinque o sei professionisti, che ricevevano poi le parcelle più salate di palazzo di Giustizia? Intanto il giudice Diego Curtò è detenuto, la sua casa è stata a lungo perquisita e così pure il suo ufficio in tribunale. Trattamento da tangentista qualunque per uno che, secondo l'accusa, come tale si era comportato: quella valigetta piena di contanti, franchi svizzeri per la precisione, ricevuta a Lugano dalle mani di Palladino quando Gardini si era già ucciso e il cerchio si stava stringendo intorno a tutti i protagonisti dell'affare Enimont. E infatti di lì a pochi giorni Palladino finisce in galera. Palladino è dentro, Curtò gli scrive un «affidavit». I magistrati si insospettiscono: da testimone il giudice diventa indagato. E si raccolgono le carte. Viene fuori così un quadro che va oltre l'episodio Palladino: ci sarebbe stato un rapporto stabile, e tutt'altro che limpido, tra Curtò e l'Eni. Si capirebbe così quella frase di Gabriele Cagliari raccontata dall'ex consigliere Grotti: «Disse che dovevamo chiedere il sequestro delle azioni Montedison, che lo avremmo ottenuto di sicuro». Secondo l'accusa, infatti, Curtò e Palladino, si riunirono più volte, discutendo la questione, prima ancora che l'Eni presentasse effettivamente il ricorso: sapevano però che lo avrebbe fatto e, quando avvenne, la strategia era già disegnata. Non solo, anche le modalità di presentazione del ricorso non sarebbero state secondo la norma, con un passaggio attraverso l'avvocatura dello Stato, a Roma, che poi avvertì l'ufficio di Milano. Si indaga sul comportamento degli uffici giudiziari, quindi, non solo su Curtò. Il quale è accusato di «concorso» in corruzione. Concorso con chi? Con Palladino, certamente, ma anche con altri. E qualcuno avrebbe già un nome e un incarico. Il quadro così disegnato porterà ad uno spostamento dell'intera inchiesta Enimont a Brescia? I sostituti Ascione e Maddalo lo hanno escluso, per il momento. Susanna Marzolla A sinistra, l'avvocato Palladino che ha accusato Curtò. In alto, Antonio Di Pietro