la forza degli infelici di Simonetta RobionyLiliana Cavani

la fona degli infelici la fona degli infelici Issermann-Cavani a confronto CONCITAZIONE E PACATEZZA AVENEZIA LINE Issermann è appassionatamente concitata. Liliana Cavarli è appassionatamente pacata. Aline Issermann non ha dubbi: più che fornire spiegazioni lancia proclami. Liliana Cavani coltiva incertezze, sulle quali si sofferma senza imbarazzo. Aline Issermann ha i capelli biondi a meches e un figlio, Louis, biondo come lei, di cinque anni. Liliana Cavani ha i capelli biondo scuro e nessuno che le tenga compagnia. Tutte e due sono in concorso alla Mostra: la Issermann con «L'ombre du doute», la Cavani con «Dove siete? Io sono qui». Tutte e due hanno scelto di raccontare un problema sociale, l'abuso sessuale sui minori, la prima; la difficile integrazione dei sordomuti, la seconda. Ma lo hanno fatto scartando l'ipotesi del documentario di denuncia. Tutte e due si sono mosse da un dolore privato e personale: per la Issermann un'infanzia dolorosa oppressa da genitori dispotici e confusi, per Liliana Cavani la morte dell'amatissima zia Libera. Dice Aline Issermann, francese, giornalista di Liberation poi regista a metà tra giornalismo e cinema: «Mi sono accorta che tutto quel che mi interessava veramente era combattere contro le dittature familiari, denunciare quei padri e quelle madri che fanno vivere i figli nel terrore, svelare l'orrore e la frequenza della violenza sessuale anche all'interno di case borghesi. Ho avuto un'infanzia tremenda, dominata da un padre e da una madre infernali perciò so, personalmente, il danno che un bambino può ricevere». Oggi ha perdonato? «Non si può perdonare chi non si scusa. Anzi. Occorre la forza dell'odio per squarciare il segreto nel quale è avvolta la sottile violenza gratuita che tante famiglie riversano sui loro bambini. E' necessario per non perpetrare una catena di infelici: io da bambina ho patito queste sofferenze e adesso da grande mi rivalgo su un altro bambino. Ma è necessario anche per la democrazia: non si possono rispettare gli altri se non ci è stato insegnato a esser rispettati». Dice invece Liliana Cavani, regista ragazza di più di cinquant'anni, intellettuale senza partito e senza chiesa: «Mia zia si chiamava Libera come mio zio libero perché erano nati sotto il fascismo e dalle mie parti, a Carpi, quello era un modo per segnare un dissenso. La sua morte è stata la mia prima grande perdita. E' stato in quei giorni di grande tristezza che ho partecipato a un convegno di sordomuti che si svolgeva a Modena: là ho scoperto tante cose». Quali per esempio? «Intanto che oggi non ci sono più sordomuti ma solo sordi ai quali viene faticosa¬ mente insegnato a parlare. Poi che i sordi, a differenza di noi, hanno due linguaggi per esprimersi: quello dei segni che usano tra loro e quello vocale che usano nei nostri confronti. E poi che anche il loro mondo, come il nostro, è diviso: gli americani, che coltivano la diversità, li hanno resi orgogliosi del loro male invitandoli a non mischiarsi; gli europei, che temono la discriminazione, hanno tentato di negare la malattia, prima segregandoli oggi omologandoli a forza. Ho imparato moltissimo e poi piano piano, per scarti e accu- millazioni, ho scritto la sceneggiatura». Come Aline Issermann anche Liliana Cavani ha voluto essere estremamente precisa e realistica: durante le riprese sia l'uria sia l'altra si sono fatte assistere da équipe di tecnici: una logopedista, un foniatra, una sorda e una interprete per Cavani, psicologi infantili e avvocati per Issermann. Solo che mentre Aline Issermann intende continuare nel suo lavoro di cineasta a indagare sull'infanzia, animata ccm'è da un curioso furore missionario non placato dall'esser ormai non più figlia ma madre, Liliana Cavani di quest'esperienza vuol conservare solo il piacere di partire dai fatti per arrivare a una storia. Alle prese con la regia di «La Vestale» di Spoletini con cui aprirà la Scala quest'anno, sta lavorando con Moscati su una delle tante forme di violenza civile che ci affliggono. Al bar Cavani beve un cappuccino e fuma. Issermann ordina una lemonsoda e non fuma. Simonetta Robiony Liliana Cavani regista di «Dove siete? lo sono qui» sul set ha voluto una logopedista e un foniatra

Luoghi citati: Carpi, Modena