Bosnia la guerra degli stupri non interessa i nostri intellettuali?

POLEMICA. Un libro documento sulle crudeltà nell'ex Jugoslavia accusa: solo indifferenza per il dramma di quelle donne POLEMICA. Un libro documento sulle crudeltà nell'ex Jugoslavia accusa: solo indifferenza per il dramma di quelle donne Bosnia, la guerra degli stupri non interessa i nostri intellettuali? ISARDA, diciassette anni, rivede tutte le notti il crudele sorriso di Stojan, la più feroce delle guardie del piccolo campo di concentramento allestito in un motel di montagna vicino al paese di Kalojevij. Quando stuprò una bambina di dieci anni diceva che era stata «una prelibatezza». Mentre veniva portata via dai soldati cetnici con le aquile bianche sulla divisa, Misarda si lasciò alle spalle il villaggio distrutto e le case date alle fiamme. Fu separata dalla madre e dalla sorella che poi non ha più rivisto e fu segregata con altre giovani donne. «Le Aquile Bianche venivano tutte le notti - dice -, a volte erano venti e più. Ci facevano ogni sorta di cose indescrivibili. Dovevamo cucinare per loro e servirli nude. A quelle che si rifiutavano tagliavano le mammelle. Ho visto violentare e uccidere molte ragazze». La tortura di Misarda è solo una delle infinite storie di «ordinaria» abiezione nell'ex Jugoslavia. C'è la prigionia della bella Nisveta, maestra elementare dai lunghi capelli neri e dalla vita sottile che fu rapita da uomini incappucciati e portata in una stanza, senz'altro arredamento che una sedia e una branda. Appena entrata nell'abitazione gli uomini le ordinarono di spogliarsi: «Togliti anche le mutande così sarai sempre a disposizione». Ha vissuto rinchiusa per tre mesi, senza mai vedere nessuno, completamente nuda e pronta per gli ufficiali. Sono solo degli esempi: parla chiaro la tremenda documentazione delle crudeltà commesse nella guerra jugoslava raccolta da Elena Doni e Chiara Valentini nel libro: Karma dello stupro. Voci di donne della Bosnia (La Luna Edizioni), che sarà in libreria ai primi di settembre. Le due giornaliste hanno incontrato le raccapriccianti testimonianze visitando i vari campi profughi e lanciano una precisa accusa nei confronti dei politici e dei maggiori intellettuali italiani: «In Francia - osserva la Valentini - ci sono stati André Glucksmann e Bernard Henry Lévy che sono andati a portare la loro solidarietà sotto le bombe di Sarajevo. Per gli Stati Uniti Joan Baez ha cantato fra l'esplosione delle granate. E l'Italia? Il filosofo Massimo Cacciari ha detto che quella nella ex Jugoslavia era una guerra civile come tutte le altre. E ha visto nella pulizia etnica una normale conseguenza del fatto che in questo conflitto c'era una componente religiosa. Molti altri commentatori, proprio come Cacciari, l'hanno considerata un dato da accettare più che un'infamia da denunciare». La Doni ribadisce polemicamente: «Il nostro libro è nato da un sentimento di rivolta contro il silenzio e gli eufemismi». Invece la barbarie dei serbi - affermano le due giornaliste, che hanno deciso di devolvere i diritti d'autore per fondare una casa della donna a Tuzla è identica a quella di Hitler, con la differenza che i tedeschi attuavano i loro crimini in modo sistematico. Lo stupro è stato deciso a tavolino, come una componente fondamentale di questa ideologia nazista, usato come arma di terrorismo. «Le sopraffazioni gratuite - sostiene la Doni - nei confronti delle persone più deboli, donne, vecchi, bambini, sono state un mezzo per mettere in fuga e annientare popolazioni intere. Anche considerando che in certi casi si può essere andati oltre gli ordini ricevuti, la distruzione con tecniche psicologiche, come quella attuata costringendo i prigionieri a picchiarsi o a violentarsi fra loro, fa parte di un piano preciso: non è casuale la presenza di alcuni psichiatri nella dirigenza serba, a cominciare proprio da Radovan Karadzic, definito in varie sedi intemazionali un criminale di guerra». La violenza sessuale non è stata praticata solo nei lager, con una ferrea pianificazione: vi sono stati molti casi di prigionia e sevizie individuali. Così nel campo-bordello di Brcko, a 50 chilometri da Tuzla, città occupata dai serbi, la più nota prostituta locale, Monica, aiutata dalla figlia Vera, si dava da fare per indicare ai soldati gli indirizzi delle ragazze più attraenti, spesso giovani e vergini: venivano sequestrate e tenute a disposizione dei militari che le costringevano anche a 30-40 rapporti per sera. Altre venivano lasciate nella propria casa, ma con l'obbligo di tenere aperta tutta la notte la porta per coloro che volevano possederle. Per lo choc di quello che aveva dovuto subire una sedicenne ha perso tutti i capelli. Selima, ospitata nel campo profughi di San Mauro di Romagna, ricorda invece quando sono arrivati i serbi del Montenegro al suo paese, a Kozarac: «Hanno preso le più giovani e le hanno portate via, quando sono tornate avevano dei segni sul collo, non parlavano e tremavano. A una mia amica hanno portato via tutto l'oro che aveva in casa poi, per ultimo, hanno tentato di toglierle l'anello che aveva sulla mano. E poiché l'anello non veniva via dal dito che si era ingrossato, per vendetta le hanno bruciato la mano». «Lo stupro accompagna da sempre tutte le guerre - scrivono le due giornaliste -. Certo ci illudevamo che fosse qualcosa che accadeva a donne diverse da noi, lontane nel tempo e nello spazio, per classe sociale e istruzione e invece le prime ad essere state violentate sono state le donne istruite e le più attive: sindacaliste, burocrati, insegnanti, segretarie. E' stato questo il modo più diretto per umiliare quelle che avevano responsabilità o potere». Ecco l'esperienza di Jadranka, croata, avvocatessa e docente universitaria di 46 anni, chiusa nel campo di concentramento di Omarska. La mattina del giorno successi- vo al suo arrivo Jadranka fu messa a lavorare nella cucina: «Verso le 14 arrivarono i primi prigionieri per mangiare, il pranzo durava in tutto un minuto e mezzo e consisteva in un mestolo di sbobba e un pezzo di pane. Da quella gente che si accalcava per avere un cibo buono per maiali esalava un fetore tremendo, tra loro c'era anche un uomo con la gola mezzo tagliata, con la ferita aperta. Qualche giorno dopo lo sgozzarono per davvero». Essere donne, nella guerra della porta accanto, ha voluto dire, dunque, essere un bersaglio sicuro: «Forse per la prima volta nella storia recente - osserva la Valentini - è stato il sesso a determinare l'individuazione del nemico da colpire. E' proprio la diversità del corpo femminile che è stata assunta come bersaglio di offesa. E' la capacità riproduttiva che è stata messa al centro di un'operazione di guerra, con l'idea paranoica di distruggere una razza facendo generare alle sue donne i "figli del nemico"». Mirella Serri «Henry Lévy e Glucksmann hanno portato la loro solidarietà a Sarajevo Joan Baez ha cantato sotto le bombe Soltanto da noi nessuno si è mosso» Un gruppo di donne bosniache In alto Massimo Cacciari, a sinistra André Glucksmann e Bernard Henry Lévy che hanno manifestato la loro solidarietà andando a . Sarajevo