« Non c'era alternativa »

« « Non c'era alternativo » «Adesso bisogna cancellare l'odio» IL NOBEL ELSE WEESEL E PARIGI LIE Wiesel è tornato ieri mattina da Israele, il cuore gonfio di emozioni. Per un Nobel della Pace, vederla arrivare davvero o quantomeno profilarsi vicinissima mentre si credeva il cammino ancora lungo, costituisce la gioia forse più grande. E lui non prova a nasconderla. Sarebbe inutile. Già la voce annuncia, con la fatica, speranza e rapita incredulità. Sì: Eliezer Wiesel, il piccolo ebreo transilvano cui il babbo insegnò l'umanesimo laico e la madre la Cabala prima di sparire nell'inferno concentrazionario nazista, oggi sembra commosso. Da quando, nel '45, la Francia lo adottò diciassettenne, è la sua terra d'elezione, quella che gli presta la lingua per scrivere libri e articoli, come i primi reportage giornalistici sulla Palestina apparsi quarantacinque anni fa. Tra poche ore dovrebbe ripartire per New York, dove risiede abitualmente. Le notizie sulla prossima fine delle ostilità tra Olp e Israele lo abbacinano. Vuole restare cauto, ma il clima israeliano - ani- mazione estrema, sollievo, entusiasmo - ancora lo contagiano. Come vive Israele l'annuncio della Pace? «Una immensa sorpresa. La si attendeva da troppi anni, eppure - ora che sembra lì a due passi - stupisce, lascia interdetti. C'è voglia di sperare, e anche timori. Per strada, nelle case, in famiglia... la gente non parla d'altro». Dietro l'accordo politico, si annuncia la riconciliazione fra due popoli, l'ebraico e il palestinese. Sostituire l'amore o perlomeno la pacifi- ca coesistenza all'odio sarà facile? «Ho paura che la risposta sia negativa. E' necessario tempo. La diffidenza resiste, vano negarlo. Però la chance die abbiamo dinanzi non bisogna sciuparla. Io credo sia un processo ormai irreversibile, ma nessuno può giurarlo con certezza. E solo percorrendo la via negoziale faremo luce. Nessuna alternativa. Dunque, avanti. Compresi che era la volta buona quando Madrid riunì gli attori in una stanza. Il "nemico" aveva ormai un viso, era possibile parlargli, discutere. Fu quella circostanza, direi fisica, a mutare le carte in tavola». Chi ha il «merito» degli ultimi sviluppi? «E' ovvio attribuirlo agli uomini politici o ai leader che fanno i titoli sui giornali. Ma l'intesa in arrivo non mi pare il semplice corollario della vittoria elettorale laborista, tantomeno la spiegano le vicende finanziarie Olp. La verità è che la nazione-Israele per intero o comunque nella sua grande maggioranza ne emerge quale reale artefice. Gli anni di guerra e l'ostilità reciproca costituivano ormai un peso insopportabile. Reggerlo era ogni giorno più difficile. E i giovani hanno avuto un ruolo considerevole nel renderne conscio il Paese. Sul fronte palestinese penso valgano considerazioni analoghe». L'estremismo di alcuni coloni nei territori occupati come le propensioni terroristiche mostrate dal vecchio Olp rendono fragile il processò. Potrà interromperlo la violenza politica? «Arafat mantiene il controllo dei suoi uomini. L'Olp ha ancora una grande autorità sulla popolazione palestinese. Non le mancano i mezzi e le strutture per esercitarla. La minaccia di sabotaggi è palpabile, ma fermare la trattativa oggi in cammino esigerebbe risorse che i suoi nemici oggi non posseggono». Gaza e Gerico sembrerebbero un acconto per altre concessioni, più sostanziali. Davvero è in gioco Gerusalemme, come rivendica nelle ultime ore il presidente Olp? «Le autorità israeliane non mi sembrano disponibili a rinunciarvi. Ma certo quella cui assistiamo è solo la prima tappa. Seguiranno altri negoziati, con nuove transazioni. Eppure li considero in fondo dettagli, benché di primaria importanza. Il nodo effettivo sta altrove. I rapporti quotidiani interpersonali, non solo politici, tra israeliani e palestinesi entrano in una nuova fase: ignorarsi diviene impossibile». Si ha talora l'impressione che l'incontro, il disgelo fra le due culture abbia trovato negli intellettuali paladini tiepidi tranne casi isolati. Hanno qualcosa da rimproverarsi? «Il loro ruolo è difficile, ma in ogni caso la letteratura d'Israele sta contribuendo non poco a sciogliere paure e malintesi. Essere profetici, additare la via senza fanatismi è cosa impegnativa. Diciamo che gli uomini di cultura facevano da specchio al Paese, con alcuni slanci coraggiosi. Quanto avviene travolge ciascuno, quindi anche loro». Sarebbe disposto a incontrare Arafat e magari abbracciarlo in nome del nuovo corso? «Nessuno me l'ha proposto. I giudizi sull'uomo - e la sua organizzazione - non possono comunque rimanere i medesimi: è necessario saper riconoscere i cambiamenti, apprezzarli. Farne una questione personale o di memoria storica immutabile sarebbe fuori luogo». Enrico Benedetto Eliezer Wiesel Nobel per la pace «Aspettavamo la buona notizia da anni Ora che è arrivata siamo come interdetti»

Persone citate: Arafat, Eliezer Wiesel, Enrico Benedetto Eliezer, Nobel Else, Wiesel