Marijuana prodotta nel cervello di Ezio Giacobini

SCOPERTA USA SCOPERTA USA Marijuana prodotta nel cervello UNA recente statistica dell'ente americano di controllo sulla droga dimostra che la marijuana non è affatto passata di moda tra la gioventù degli Stati Uniti. Al contrario, continua a occupare uno dei primi posti nella lista delle droghe più usate nelle scuole medie e superiori. Negli Stati Uniti, la marijuana ha una serie di nomi gergali - grass (erba), pot, Mary Jane e così via - che si riferiscono tutti alle foglie e ai fiori essiccati della Cannabis sativa. Tra i molti usi di questa specie vegetale, quello più popolare è la sigaretta di foglie arrotolate. L'ingrediente attivo della pianta è una sostanza chiamata delta-G-tetraidrocannabinolo, che a dosi moderate produce una sensazione di benessere e di euforia. A dosi più alte l'effetto si trasforma in un incubo con idee paranoidi di persecuzione, allucinazioni e capogiro. Esitono però almeno due indicazioni terapeutiche legittime per usare il cannabinolo: il glaucoma e la nausea causata dalla chemioterapia a cui si deve fare ricorso nel trattamento di molti tipi di tumori. Nel dicembre dell'anno scorso, inoltre, le autorità americane hanno approvato un terzo uso del cannabinolo: nei casi di Aids, per combattere la perdita di peso. Come agisce la marijuana sul cervello? La storia comincia nel 1988 quando uno studente di farmacologia dell'Università di Saint Louis, preparando la sua tesi di laurea, scoprì che le membrane esterne delle cellule nervose contengono ricettori che hanno la proprietà di legare il cannobinolo. Questo legame ricettore-cannabinolo rappresenta l'inizio di tutti gli effetti di questa droga. L'esistenza di uno specifico ricettore per questa droga potrebbe apparire un po' strana. Perché mai il cervello, nella sua evoluzione durata milioni di anni, avrebbe dovuto sviluppare una struttura del genere? Naturalmente la scoperta del ricettore portava al sospetto che il cervello fabbricasse anche la sostanza stessa, cioè la marijuana. Negli Anni 70 si erano scoperti diversi ricettori per gli oppiacei come la morfina. Poco dopo si era scoperto che il cervello è in grado di sintetizzare sostanze simili all'oppio, chiamate endorfine. Era così anche per il cannabinolo? Nel dicembre dell'anno scorso due gruppi di ricercatori, uno dei quali capeggiato da William Devane, l'ex studente di Saint Louis, ora all'Università di Gerusalemme, avevano isolato dal cervello di maiale una sostanza naturale simile, nei suoi effetti sul ricettore, al cannabinolo estratto dalla pianta. Ciò metteva in concorrenza il regno vegetale con il cervello per la produzione di marijuana. Come chiamare una sostanza del genere? Devane è ricorso per questo al libro del filosofo indiano Sri Aurobindo «La vita divina». In tale opera la parola sanscrita per beatitudine è «ananda». La sostanza cannabinolo-simile estratta dal cervello venne quindi chiamata anandamide. Si tratta di un derivato dell'acido arachidonico, una sostanza chiave dalla quale prendono origine importanti derivati quali le prostaglandine e i leucotrien coinvolti nell'azione infiammatoria e nel controllo della sensazione del dolore. E' possibile quindi che la stessa marijuana cerebrale abbia a che fare con questi processi patologici. Una recente scoperta dimostra che i pazienti affetti dalla malattia di Huntington, una grave forma degenerativa progressiva del sistema nervoso, perdono nel corso della malattia molti dei loro ricettori per il cannabinolo. Si pensa pure che l'anandamide faccia parte di quei mec canismi nervosi che controlla no l'appetito. Un loro difetto può portare all'anoressia o a una eccessiva alimentazione. E' chiaro che come le sorelle maggiori, le endorfine e le enchefaline scoperte venti anni fa, anche l'anandamide potrebbe far parte di meccanismi come l'attività motoria, la sensazione dell'appetito e del dolore e forse anche il senso di benessere. Ezio Giacobini Università dei Sud Illinois

Persone citate: Huntington, Mary Jane, William Devane

Luoghi citati: Illinois, Stati Uniti, Usa