NE' COL PAPA, NE' CON VATTIMO VOGLIO UN NUOVO UMANESIMO di Giorgio Manacorda
NE' COL PAPA, NE' CON VATTIMO VOGLIO UN NUOVO UMANESIMO NE' COL PAPA, NE' CON VATTIMO VOGLIO UN NUOVO UMANESIMO pio, del nichilismo eroico di Nietzsche, in ultima analisi del suo vitalismo? Così evidente nei Frammenti postumi 1887-1888 {Volontà di potenza): «Il superuomo si distingue (...) per la sua intrepidezza e sfida all'infelicità», causata dalla morte di Dio, cioè dalla fine dei valori e, insomma, dal nichilismo. Vattimo preferisce Heidegger, e il suo «essere per la morte», che è molto meno enfatico, certo, ma anche molto più negativo. Non è chi non veda, infatti, come la morte in questa concezione - si riverberi a ritroso su ogni momento dell'esistenza svuotandola. E' il nichilista post-moderno, quindi, a somigliare sempre di più ad un automa, ai più sofisticati prodotti della tecnica. Nel suo articolo, Vattimo dice che «la polemica della filosofia è ispirata all'idea che la vita non si lascia ridurre sotto le categorie deterministiche delle scienze naturali e delle tecniche che su di esse si fondano». E' vero, ed è per questo che mi sembra che il problema che abbiamo davanti sul finire del secolo sia come superare il nichilismo senza eroismi niciani e senza rese heideggeriane. Il discorso sulla vita è il discorso sui valori, cioè sul senso della vita. La «convertibilità e trasformabilità - processualità indefinita», e infinita dei valori (di cui parla Vattimo) sembra teoricamente incontestabile ma dobbiamo constatare che, comunque, è praticamente ineffettuale, altrimenti assisteremmo al suicidio come pratica di massa - e, in definitiva, alla scomparsa della nostra civiltà. Se ciò non avviene è perché, al di là delle astratte conseguenzialità teoriche, l'umanità è dotata di un «organo» che produce senso, cioè valori: i quali, quindi, non sono indefinitamente convertibili e trasformabili come la merce (il valore di scambio), ma sono solo storicamente determinati, relativi, non assoluti. L'«organo» di cui parlo è una modalità del pensiero: il «pensiero emotivo», cioè la nostra capacità di produrre senso mediante ac¬ costamento analogico, a-razionale, di parola e cosa, di significato e significante: è la fusione di pensiero ed emozione in una cosa-evento che diventa parola. L'importante non è che esistano valori assoluti (il Papa, certo, non può accettare la morte di Dio), ma che l'uomo sia capace di produrre sempre nuovi valori relativi cioè storicamente determinati. Questo, invece, mi pare che Vattimo lo possa accettare, anche perché, spesso, nei suoi libri ci si avvicina - ma poi viene risucchiato dalla metafisica heideggeriana. Non c'è più bisogno di niente di assoluto, né positivo né negativo. E' giunto il momento di rimettere l'uomo al centro del mondo, con le sue capacità e con i suoi limiti. Fra le capacità non possiamo non vedere la più importante perché fondante: il «pensiero emotivo». Su questa base, in fine di millennio, possiamo forse cominciare a parlare di un nuovo umanesimo. Giorgio Manacorda
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