TUTTI IN SVIZZERA

TUTTI IN SVIZZERA TUTTI IN SVIZZERA Terra d'asilo, dopo V8 settembre: meno che per gli ebrei Un gruppo di fuoriusciti (sullo sfondo, il quinto da sinistra, Fanfani) tomila italiani - militari, antifascisti e soprattutto ebrei -, è stata ricostruita con le sue vicissitudini, le sue curiosità, i drammi e le commedie, in un libro che esce in questi giorni dal Mulino: Terra d'asilo di Renata Broggini, che da anni conduce ricerche sull'argomento (pp. 689, L.50.000). Una mole enorme di materiali è stata utilizzata dall'autrice: i documenti trovati consultando quasi una cinquantina di archivi; gli scritti, più o meno noti, di decine e decine di ex rifugiati; i ricordi emersi nei colloqui con tanti altri protagonisti di questa pagina della guerra assai poco conosciuta. Basti dire che i cinque capitoli del libro hanno la bellezza di 2063 note! Le fughe, in realtà, erano cominciate già il 5 settembre. Prima di cacciare nei guai gli italiani, il maresciallo Badoglio aveva messo al sicuro a Losanna figlia e nuora e il ministro Acquarone aveva portato in salvo a Vevey tutta la famiglia. Ad armistizio comunicato, con i tedeschi diventati nemici e occupanti, una fiumana di italiani si riversò al confine meridionale svizzero, «dando inizio - scrive la Broggini - a un susseguirsi di espatri disordinati di persone di ogni età, motivate da una spinta comune: la fuga dal tedesco». Il 10 settembre passarono in Svizzera dalla Savoia un battaglione della Guardia di finanza LA notte dell'8 settembre 1943, al valico del Gran S. Bernardo, poche ore dopo che alla radio il maresciallo Badoglio ha dato l'annuncio del Tutti a casa, Maria José di Savoia, consorte del principe ereditario, chiede asilo alle autorità svizzere, con i quattro figli Maria Pia, Vittorio Emanuele, Maria Gabriella e Maria Beatrice. Un anonimo cronista annota nei diari dell'ospizio che da secoli sorveglia il colle: «Ella è costretta all'esilio in Svizzera. In questi tempi perigliosi, è meglio essere uno sguattero che un re!». Che la futura regina dovesse lavare i piatti per sopravvivere era assai poco probabile; ma è vero che alla maggior parte degli italiani riparati in terra elvetica dopo la fatidica data toccò in sorte di pulire stoviglie, riordinare camerate, lavorare nei campi, sradicare alberi. «La vita del campo era dura. Corvée per pulire, pulire, pulire - ricorda Lyda Levi, imprenditrice e progettista milanese -. Si dormiva in letti senza materasso, impestati di cimici...». «Vitto pessimo e scarso; niente libera uscita - scriveva Umberto Terracini, uno dei fondatori del pei -; divieto di parlare di politica (!); graduati zoticissimi». La storia degli espatri dall'Italia alla Svizzera fra il '43 e il '45, che coinvolse circa trecen¬ Sarà in libreria a fine mese «Il cliente» (Mondadori, pp. 400, L. 32.000) di Jo/m Cristiani, l'avvocato scrittore superpagato da lìollywood. Abbia/no chiesto di «processori'» il suo giallo a due avvocali italiani, Fulvio Cicutaria e Aborto Mitlone, (udori del recente «Omicidi iti città» (ed. Pluriverso). IMMAGINATE l'inizio di un telefilm americano: giornata di sole, un'enorme Lincoln nera lascia la statale che porta a Memphis e s'inerpica ondeggiando nella boscaglia. Raggiunta una isolata radura si ferma e ne discende un uomo robusto, calvo, impeccabilmente vestito di nero. Risoluto ed assorto, collega con cura lo scappamento all'abitacolo con un tubo di gomma, rioccupa il posto di guida ed attende immobile con il motore acceso. Mark e Ricky, due ragazzini biondi e spettinati, capitati lì per caso cercando un nascondiglio per fumare le «Virginia» rubate alla madre, sbirciano tra le erbacce e decidono d'intervenire: «Dobbiamo fare qualcosa, vuole uccidersi». Mark, 11 anni, non si spaventa: raggiunge carponi l'auto, stacca il tubo di gomma e cerca di fuggire. Ma il gioco non riesce. Viene catturato dall'elegante aspirante suicida e rischia di dover morire anche lui, non senza aver raccolto le ultime malinconie di quella persona che gli confida la sua tragedia. E' un affermato legale di 44 anni, una vita spesa in difesa dei mafiosi di New Orleans, che ora lo cercano per eliminarlo. Uno di loro ha assassinato un senatore ecologista e ha pensato di nascondere il cadavere cementandolo nel garage dell'avvocato, che diventa così, venutolo a sapere, un testimone scomodo e braccato. Né coi mafiosi, né con l'Fbi, preferisce togliersi di mezzo: peggio per il piccolo ficcanaso Da sinistra, Diego Valeri Sabatino Lopez e Vittore Veneziani. Qui a fianco, Giuseppe Di Stefano I ricordi degli espatriati e la vita nei campi: da Maria José a Terracini e Fanfani da Einaudi e Mondadori a Fortini e Chiara dal tenore Di Stefano a Gianni Brera e Montanelli e gli alpini del battaglione Cervino. Il giorno dopo entrarono molti militari sbandati, nella maggioranza residenti nelle province di frontiera, e civili benestanti, già sfollati nelle zone dei laghi. Spettacolare l'espatrio di un gruppo di squadroni del Savoia Cavalleria, il prestigioso reparto protagoni¬ sta a Isbuscenskij dell' Ultima carica: seicentocinquanta militari, con cavalli e muli, i quali si consegnarono, perfettamente inquadrati. Fra il 13 e il 17 espatriarono fra gli altri Franco Fortini, Amintore Fanfani, Giorgio Strehler, Giulio Einaudi, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. Giuseppe Di Stefano attraversò vestito il fiume Tresa, con l'acqua alta fino al petto. Giulio De Benedetti, vicedirettore della Stampa, passò in compagnia del comunista Terracini. Nella sola giornata del 17 settembre si contarono diecimila fuggiaschi. Ben presto montanari e contrabbandieri organizzaro- no una lucrosa rete per guidare gli espatri clandestini. Il 26 settembre, a piedi per le montagne aostane, sotto una tempesta di neve, passarono il confine Luigi Einaudi e la moglie Ida. Il 9 novembre, un contrabbandiere portò Arnoldo Mondadori a un buco nella rete di confine. Il 23 gennaio, in tram da Luino, arrivò in Svizzera Piero Chiara, cancelliere a Varese, ricercato per avere tolto il ritratto di Mussolini dal tribunale. Il 16 giugno, Gianni Brera sale da Viggiù, passa la rete, chiede a dei contadini dove si trova: «Semm in Schwizzera», gli rispondono ridendo. Per qualcuno il ricordo è un incubo ricorrente «per cui ancora oggi mi sveglio terrorizzato», come ha raccontato Carlo De Benedetti, l'industriale di Ivrea, allora un ragazzo: esce dall'armadio in cui il padre lo aveva nascosto, attraversa la rete, sente il crepitio di una raffica di mitra, «mi volto e più in basso, vicino alla rete, vedo i miei cugini stesi a terra tutti insanguinati e gli zii che vengono ammanettati da una pattuglia tedesca». Una macchia è il rifiuto che le autorità svizzere opposero inizialmente all'ingresso degli ebrei, non credendo che fossero vittime di una persecuzione. Nel primo mese, quelli che riuscirono a espatriare per motivi razziali, come l'agente letterario Augusto Foà con il figlio Luciano, furono eccezioni. Intere famiglie vennero riaccompagnate al confine e messe nelle mani dei nazifascisti. Nel '43 i respinti furono 3344. Un comune destino attendeva i rifugiati: centri di raccolta, disinfestazione o spidocchiamento, un periodo di quarantena, i campi di internamento. Ma chi aveva mezzi per mantenersi, e buone amicizie, otteneva la liberazione dal controllo militare. Essere «liberati» voleva dire organizzare l'esilio a proprio modo: lavorare, studiare, insegnare, scrivere. Silone pubblicò Fontamara con uno stampatore di Sciaffusa, Di Stefano divenne tenore di casa reale, Fortini conobbe Hans Arp e Max Huber, Olivetti incontrò Ernesto Rossi e Spinelli. Si fondarono giornali, si organizzarono associazioni. Si riprodussero, nell'esilio, le divisioni della vita politica italiana. Gli antifascisti militanti mal sopportavano chi apparteneva alla generazione affermatasi sotto il fascismo. Polemiche e pettegolezzi, accuse di antisemitismo circondarono per esempio Indro Montanelli, giunto a Lugano nell'autunno del '44, benché fosse stato espulso dal Pnf e arrestato dai nazifascisti. Si vendicò con un racconto, siglato Calandrino, sull'ipocrisia e la retorica dei suoi avversari, che cominciava così: «Gli italiani rifugiati in Svizzera sono tutti Garibaldi».