OSSERVATORIO di Aldo Rizzo

Eltsin pellegrino sulle orme di Brandt OSSERVATORIO Eltsin pellegrino sulle orme di Brandt NO strano viaggio, per certi versi, quello che Boris Eltsin ha compiuto nei giorni scorsi in Polonia e nella ex Cecoslovacchia. Somiglia a quello, storico, di Willy Brandt a Varsavia, nel 1970. Quasi un pellegrinaggio. Brandt cadde in ginocchio davanti al monumento agli ebrei del Ghetto, trucidati dai nazisti. Eltsin è parso commosso davanti a un altro monumento, quello alle vittime delle fosse di Katyn, migliaia di polacchi fatti prigionieri dai russi all'inizio della guerra e barbaramente uccisi; per un attimo, ha posato la testa sulla spalla di un vecchio prete, scampato al massacro. Più tardi, a Praga, ha ricordato il venticinquesimo anniversario dell'invasione sovietica della Cecoslovacchia con ferme parole di condanna. Tuttavia c'è una differenza tra Brandt e Eltsin. Il Cancelliere chiese scusa agli ebrei, ai polacchi e a tutta l'Europa centro-orientale in nome del popolo tedesco. Il Presidente russo ha invece affermato esplicitamente che il suo Paese non può essere condannato per le fosse di Katyn e per altri crimini, perché esso stesso fu vittima, anzi fu la prima vittima, del comunismo e dello stalinismo. E ha ripetuto a Praga che furono i dirigenti dell'Urss, e non il popolo lusso, a volere la fine della Primavera dubeekiana. Sarebbe interessante un'analisi in profondità di questo tema. Che il popolo tedesco avesse maggiori responsabilità, per la nascita e gli orrori del nazismo, di quante ne abbia avute il popolo russo per la nascita e gli orrori del comunismo, è sicuro. Hitler andò al potere con un forte consenso elettorale, avallato dal capo dello Stato, mentre Lenin, con l'aiuto di Trockij, «prese» il potere in virtù di un putsch, condotto da un gruppo relativamente piccolo di «rivoluzionari di professione». Anche se la successiva guerra civile, persa dai controrivoluzionari e dai loro alleati stranieri, diede una qualche legittimazione popolare al bolscevismo, il grosso della Russia subì passivamente gli sviluppi feroci della dittatura. Di fronte all'aggressione appunto tedesco-nazista, si ricompose il rapporto tra il popolo e i suoi capi comunisti: I semmai presero altre vie, | ambigue o deplorevoli, altre nazionalità dell'Urss, antirusse (come ricorda, proprio in questi giorni, la vicenda del padre georgiano e filonazista del nuovo capo di Stato maggiore americano, Shalikashvili). Poi, ancora, Stalin deluse e tradì l'orgoglio nazionale dei russi, e venti milioni di morti, insistendo nelle regole crudeli del cosiddetto comunismo di guerra, anche quando la guerra non c'era più. Krusciov non cambiò più che tanto la situazione reale, e ancor meno Breznev. Dunque ha ragione Eltsin? Sì, forse, pensando al maggior coinvolgimento delle masse tedesche (e, sulla scala della nostra storia fascista, anche italiane). Resta che si tratta di giudizi storici difficili. Resta che erano pur sempre russi i rivoluzionari di professione che diedero il via all'orrore comunista. Resta che Brandt fu sempre antinazista e combattè contro gli hitleriani fra i partigiani norvegesi, mentre Eltsin è stato, fino a pochissimi anni fa, nelP«inner circle» del potere sovietico: dal quale, certo, è uscito con grande coraggio. In definitiva, conta che tutto questo (il nazismo, il comunismo, le responsabilità tedesche e russe) appaitenga al passato. Per sempre. E Eltsin ha dato un grosso contributo in tal senso, anche con questo viaggio, commuovendosi sulla spalla di un sopravvissuto di Katyn e giudicando intollerabile l'uso della forza contro la Primavera di Praga. E quindi ricollegandosi idealmente, nonostante tutto, alla storica immagine di Brandt. Ma, nella drammatica Mosca postcomunista, nella gara tra Eltsin e i suoi rivali, tutti variamente nazionalisti, l'idea di una qualche «verginità» della Russia in quanto tale suscita inevitabilmente un certo disagio. Non potrà preludere a nuovi calcoli di potenza, o d'influenza, dentro i confini interni ed esterni del vecchio impero? Per esempio dal Baltico al Caucaso, per cominciare. C'è qualche segno. Ma speriamo di no. Aldo Rizzo :zoJ