Tutti da Cuccia cercando la pace di Zeni
Gran vertice a Mediobanca per preparare le assemblee di Montedison e Ferfin Gran vertice a Mediobanca per preparare le assemblee di Montedison e Ferfin Tutti da Cuccia cercando la pace Ferruzzi, l'ultima carta MILANO. Tre ore di incontro: da una parte gli uomini delle banche creditrici, dall'altra i Ferruzzi. Tutti lì, a Mediobanca, nel sabato che precede le assemblee della Montedison e della Ferfin. Tutti in via Filodrammatici, nel santuario di Enrico Cuccia, per cercare una via d'uscita, evitare rotture clamorose, firmare una nuova pace. Non c'è Guido Rossi e neppure Enrico Bondi, i due uomini nuovi alla guida del gruppo. Ma non è un caso: la parola, in questo faccia a faccia, non spetta ai nuovi manager ma a chi li ha nominati in quella drammatica fine maggio, quando la crisi del gruppo è esplosa enorme. Incontro delicato. Chiedono garanzie, i Ferruzzi, dopo il sequestro dei beni per Arturo e Carlo Sama (oltre ai beni di Garofano, Venturi, Magnani e degli eredi di Gardini) voluto da Rossi. Vogliono sapere cosa succederà di loro se l'assemblea di Montedison, domani, voterà sì alla proposta di Rossi di avviare una causa di responsabilità. E poi vogliono capire, i Ferruzzi, che ruolo avranno in Ferfin dopo che l'assemblea, martedì, abbatterà il capitale per perdite. Sotto accusa in Montedison. Ridotti a contare come il due di picche in Ferfin. «Come possiamo continuare ad appoggiare Rossi senza garanzie?», chiedono i Ferruzzi. E qualche garanzia, pare di capi- re, l'hanno avuta: forse un possibile annacquamento dell'azione di responsabilità, sicuramente un posto nel nuovo consiglio Ferfin. Ma anche le banche hanno richiesto certezze. Sono disposte ad accollarsi sacrifici, a entrare a termine nel capitale Ferfin, ad accettare una lunga moratoria dei debiti, ma solo se i Ferruzzi f^anno altrettanto: guai se si ripeterà il caso della vendita alla chetichella di quella banca di New Orleans. Solo mettendo mano al portafoglio partecipando alla ricapitalizzazione della Ferfin (servono almeno tremila miliardi), i Ferruzzi potranno avere un ruolo, per piccolo che sia: altrimenti addio. Parole chiare. Che forse hanno messo fine a un sotterraneo braccio di ferro fatto di massicci acquisti di azioni Ferfin in Borsa iniziato subito dopo la richiesta del sequestro fatta da Rossi. No, meglio scendere a patti, soprattutto dopo l'altolà del tribunale, venerdì, con la conferma del sequestro. E chi, se non Enrico Cuccia, il primo a cui i Ferruzzi si erano rivolti per trovare una via d'uscita, poteva essere il garante di questi patti? Cuccia, appunto. Il primo ieri mattina ad arrivare in via Filodrammatici, a piedi, come sem¬ pre. Alle nove meno dieci era già nel suo ufficio d'angolo, al primo piano. E lì ha aspettato Vincenzo Maranghi, l'amministratore delegato di Mediobanca, anche lui mattiniero. Poi tutti gli altri, arrivati in auto, alla chetichella. Gli uomini delle banche: Luigi Fausti della Comit, Egidio Giuseppe Bruno del Credit. Ariberto Mignoli, il rappresentante della famiglia Ferruzzi, l'uomo che dovrebbe votare per conto dei Ferruzzi ha lui la delega al voto della Serafino Ferruzzi che ha il 45% della Ferfin - nell'assemblea di martedì ma che, fedele alla linea del silenzio di Mediobanca (lui che di Mediobanca è consu- lente), quando i giornalisti glielo chiedono esplicitamente («Sarà lei a votare per i Ferruzzi? C'è accordo tra i Ferruzzi e le banche?»), risponde sibillino: «Penso di sì». Mistero, invece, sulla presenza di Alessandra, la più giovane dei Ferruzzi, l'unica rimasta nel consiglio Montedison, destinata, pare, a essere l'unica dei Ferruzzi anche nel consiglio che l'assemblea Ferfin rinnoverà martedì. Nessuno l'ha vista entrare, nessuno l'ha vista uscire. Fuori, ad aspettarla, c'era una Mercedes blu targata Ravenna. Armando Zeni Alessandra Ferruzzi e Carlo Sama
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