L'epatite e le cavie umane la lega e le guerre sante

I «volontari» LETTERE AL GIORNALE L'epatite e le cavie umane; la lega e le guerre sante Per qualche animale in più I quattro morti negli Stati Uniti per un farmaco contro il virus dell'epatite B sono anche una conseguenza dell'attivismo degli «animalisti» che vogliono impedire la sperimentazione sugli animali. Un milione di italiani hanno una infezione da virus dell'epatite B e 5000 muoiono ogni anno per le conseguenze di tale infezione. Nuovi farmaci sono assolutamente necessari, ma i gruppi «animalisti» vogliono impedire la sperimentazione pre-clinica sugli animali. Risultato: appena un nuovo farmaco sembra promettente, per salvare gli animali non resta che sperimentare direttamente nell'uomo, come accaduto negli Stati Uniti, con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Vogliamo arrivare a questo anche in Italia, o ci decideremo a promuovere e finanziare la ricerca sugli animali? Antonio Peiretti, Torino Tutti per bene a Topkapi Mi riferisco all'articolo apparso su La Stampa di giovedì 26 agosto «Bomba a Topkapi, 7 feriti» e a fianco vi è pubblicata una foto del Palazzo Topkapi. Detto articolo cita: «... ha lanciato una molotov contro un albergo del quartiere Topkapi Surici, quello del palazzo dei Sultani...». Il titolo e la foto farebbero pensare ad un attentato nel Palazzo stesso. Il testo allontana la scena di poco... La verità, come sempre, è un'altra: la molotov è stata lanciata a quattro chilometri di distanza dal Palazzo Topkapi, in una delle zone più povere di Istanbul, in un quartiere che la gente per bene non frequenta. Turbanitalia S.r.l., Milano Obiettore del video Ho letto la dichiarazione di intenti di Claudio Demattè e di Gianni Locatelli su La Stampa del 20 agosto. E' ragionevole. Sono un «neo» evasore del canone. Spiego: l'ho pagato sin quando non ho letto su una pagina di Televideo (credo fosse la 190, ma oggi non l'ho ritrovata, che abbiano mangiato la foglia?) la lista della redazione. Era un monumento allo spreco, la certificazione della lottizzazione, sconfinava nella demenza perché proprio quel giorno risultavano tre «redattori» inviati in Irlanda, ad un summit Usa-Urss, che tutte le agenzie coprivano, con l'aggiunta di una trentina di giornalisti Rai. Decisi che con i miei soldi la Rai non poteva fare sprechi di quel tipo. Non pagai più il canone. Angelo Vecchio, Palermo Liberazione ma da chi? Se avessi letto in altri tempi l'ultima minaccia del Bossi (o elezioni subito o «guerra di liberazione» - La Stampa 25-8'93, pag. 5) avrei fatto un balzo sulla sedia ma non oggi in cui ogni giorno ci porta una bordata nuova e sempre più di stampo avventuristico di quella precedente. La minaccia è fin troppo chiara e si vede che il suo estensore non teme né Digos, né carabinieri, né magistratura; a nessuno può sfuggire che tradotta in parole poverissime «Guerra di liberazione» vuol dire «guerra civile», sedizione, sospingere il Paese in una situazione jugoslava. Noi italiani abbiamo il clamoroso precedente storico della sediziosa Marcia su Roma con la quale si pretese il potere pur non disponendo di una maggioranza parlamentare, ma non capisco perché il Bossi si illuda che gli riesca quel che riuscì nell'ottobre 1922 a Mussolini. Non po- trebbe darsi che oggi il Capo dello Stato, in una situazione consimile, possa rivelarsi di ben altra tempra di quella posseduta da re Vittorio che sconfessò l'onesto Facta e consegnò potere e Paese a Mussolini con relative squadracce? E poi c'è da chiedersi: liberazione, ma da chi e che cosa? Liberazione per la Lombardia, predica il Bossi, appoggiandosi al razzista dichiarato prof. Miglio che, sotto sotto, ha l'incarico di elaborare giustificazioni teoriche e passargliele. Ma se la Lombardia si è fatta le ossa, e che ossa, proprio a causa dell'avvenuta Unità d'Italia? Nessuno potrebbe sottacere o sminuire i tanti torti dei passati governi de e nessuno potrebbe negare che i clericali hanno governato (più male che bene) per troppo tempo, ma questo volersi buttare in braccio alla Lega equivale né più né meno alla non certo saggia decisione di quei parenti i quali, nell'intento di giovare ad un congiunto malato in pietose condizioni, gli chiamino al capezzale il primo avventuriero che si trovi a passare, tipo senza laurea in medicina, senza esperienza, rozzo, triviale e chi più ne ha più ne metta. Sacrosanto il protestare, ancor più sacrosanto cambiare ma andare verso l'onestà, la competenza, l'amor patrio, verso il rispetto delle tradizioni, della democrazia ed il ripudio di ogni discriminazione. Non cadere dalla padella nella brace. Pippo Portoghese, Torino Il fisco, padre di tutte le crisi Illustri economisti, politici, giornalisti, lo stesso Capo dello Stato stanno giustamente manifestando grande preoccupazione per il continuo calo dell'occupazione nell'industria, nel commercio e nei servizi. Quasi tutti sono convinti che per rilanciare l'occupazione l'Italia abbia una sola via da seguire: ridurre i tassi di interesse. In realtà la causa principale della crisi economica italiana è da individuare nel fortissimo aumento della pressione fiscale, che ha costretto i cittadini a rinunciare ad acquistare case, automobili, vestiario ecc. per pagare imposte e tasse sempre più gravose. Sono quindi calati i consumi, mettendo in crisi le vendite e la produzione con la conseguente costante flessione degli occupati. Sbaglia di grosso Romano Prodi quando afferma che «più giù di così non si va...!» («La Stampai) del 22-8-'93), perché non si rende conto che in vista delle «stangate» fiscali d'autunno (seconda rata lei e acconto Irpef) i contribuenti stanno già mettendo da parte forti somme di denaro destinate al fisco anziché all'industria ed al commercio: ed i disoccupati inevitabilmente aumenteranno an¬ cora (unitamente al ricorso alla cassa di integrazione guadagni, onere pesantissimo a carico dello Stato). Quindi in primo luogo, per risollevare le sorti dell'economia italiana, bisognerebbe ridurre la pressione fiscale; poi, magari, anche i tassi di interesse. Elvio Soleri, Torino Il nuovo sì ma con giudizio Certo, potrei impiegare il tempo in letture più valide. Ma ogni scritto che parli di Leghe (Nord, Sud ecc.) e dei loro maggiori epìgoni (nel senso letterario), mi attrae. Per due motivazioni: 1) il mio severo giudizio per i metodi e le parole usate, potrebbe essere errato e conoscere maggiormente orientamenti e idee potrebbe, vorrei che mi conducesse a modificare quel mio intendere in negativo. 2) E' una conseguenza che deriva da quanto sopra. Mi pongo la domanda: in questo indispensabile rinnovamento etico, culturale, politico, economico vissuto oggi dagli italiani, come sia possibile che milioni di essi abbiano a scorgere nel fenome no Lega-Leghe, il nuovo cui ab bisogna l'Italia alle soglie del 2000. Non sono stati sufficienti 20 anni di fascismo, 48 anni del suo opposto - sia pure ben di verso e con vistosi ma doverosi benefici economici e di reale li bera democrazia occidentale ad individuare quanto occorra attualmente per l'Italia e l'Europa. Ma poi penso alla diffu sione della cultura fra noi, dal l'antico impero romano ad oggi, e scorgo come il senso critico sia qui quasi totalmente assen te mentre risulta più sviluppa to e generalizzato in Francia, Inghilterra, Germania, per esempio, sia pure con e per me todi diversi. Allora, tutto torna alla perfezione. Lettera firmata, Firenze