Il partigiano e la regina

il caso. Un'immagine e una testimonianza inedite il caso. Un'immagine e una testimonianza inedite Il partigiano e la regina Maria José a piedi in Val d'Aosta MARIA José è proprio arrivata a piedi in Italia, dal San Bernardo, dopo la Liberazione. Il princi pe Umberto voleva unirsi davvero alla Resistenza, in Valle dAosta, ma non è mai arrivato dove lo aspettavano. La conferma ci viene da un vecchio partigiano, che ha conservato per 50 anni la memoria e i documenti di quella vicenda, senza parlarne con nessuno. Ma dopo aver letto l'intervista che ci ha rilasciato l'ultima regina d'Italia, apparsa su La Stampa lo scorso 4 luglio, si è fatto vivo, per dare la sua testimonianza. Si chiama Ettore Volpe, classe 1911, tenente colonnello in pensione, vive in un piccolo centro del Canavese. Era vicecomandante e commissario alla guerra nella 101a brigata Marmore, la più forte formazione partigiana della Valle d'Aosta, che era riuscita a creare una linea di difesa a Chàtillon, bloccando la valle e tenendo lontani i tedeschi. «Quello che ha dichiarato Maria José è tutto vero», ci dice, davanti a grandi album di ritagli e fotografie. «Noi eravamo militari, avevamo giurato fedeltà al re, e dovevamo mantenere la parola. Per noi la guerra partigiana era un servizio militare vero e proprio». Il loro comandante era Celestino Peron, «Tito», un alpino superstite della Julia, reduce dalla ritirata di Russia. Lui, Volpe, un maresciallo dell'aeronautica che aveva già fatto tutte le campagne. Nel '36, con l'autoradio di collegamento, aveva seguito la colonna Graziani da Neghelli a Dire-Daua. Il 28 giugno 1940, dal costone di Tobruk, dopo un bombardamento dell'aviazione inglese, aveva visto precipitare un SM 79, centrato dall'artiglieria dell'incrociatore San Giorgio («aveva ordine di sparare su qualunque aereo lo sorvolasse»). Solo più tardi aveva appreso che su quell'aereo c'era Italo Balbo, il governatore della Libia, grande antagonista di Mussolini. «In Valle d'Aosta siamo stati noi a salvare tutti gli impianti, le centrali elettriche. Abbiano catturato 5 o 6 presidi tedeschi, che poi Piero Passoni ci ha fatto scambiare con i prigionieri politici italiani. Non avevamo aiuti da nessuno, non arrivavano lanci per noi. Ci ha sostenuto solo la popolazione valdostana, che era tutta dalla nostra parte», dice. Un giorno, nell'estate del '44, il comandante Tito lo mandò al lago di Cignana, con il carrello di servizio della centrale elettrica, a prendere un personaggio italiano che veniva dalla Svizzera, per organizzare una rete di collegamenti, e lo portò al comando partigiano di Valtournenche. Era il conte Marone, molto vicino alla famiglia reale. Subito dopo il comandante Tito informò Ettore Volpe, in segreto, sotto giuramento, che stava per ar- rivare il principe Umberto. «Eravamo pronti, sapevamo che doveva venire da Zermatt, o dalla Val d'Isère. E Tito mandò delle guide a rilevarlo. Tornarono senza». Perché? «Non lo abbiamo saputo. Un partigiano autonomo ha scritto sul vostro giornale che Umberto non voleva attirare sulla Val d'Aosta l'attenzione dei tedeschi. Forse è vero. Cosa sarebbe potuto capitare, dopo?». Maria José invece arrivò, sola, senza scorta, senza la famiglia, pochi giorni dopo la Li¬ berazione. Lo prova la fotografia che il comandante Ettore conserva da allora e che riproduciamo, scattata al castello di Sarre. Lei, dopo il primo tratto di discesa dal San Bernardo a piedi in compagnia di una guida, aveva percorso l'ultima parte sull'auto che i partigiani le avevano mandato incontro, e poi era risalita a piedi al castello, appoggiandosi al bastone. «Soffriva di lombaggine e io dovevo sostenerla», dice Ettore Volpe. Nella fotografia, è lui il primo a sinistra della principessa, con il mitra sotto braccio. Accanto a lui è l'avvocato Renato Chabod, il fratello dello storico, esponente di GL e famoso alpinista. Il primo a destra è il comandante Tito. «Siamo rimasti lì, tutti insieme, due ore. Lei voleva sapere tutto della guerra partigiana, le nostre imprese, il salvataggio delle centrali. Niente festeggiamenti, e niente lacrime. Mi è parsa una donna molto socievole, con un carattere fortissimo. A voi ha detto che voleva entrare anche lei nella Resistenza. E io ci credo. Dava l'impressione di una donna molto coraggiosa, disponibile». Il giorno dopo, una piccola festa, come si poteva convenire a quell'ambiente, e in quei tempi. «L'abbiamo accompagnata con un corteo di macchine a Saint-Vincent, le abbiamo offerto un tè nel vecchio casinò, sulla strada del cimitero. E lì c'era l'intera popolazione, l'hanno accolta con tutti gli onori». Un incontro con Umberto e quei partigiani ci fu, ma l'anno dopo, al Quirinale. «Il re fece chiamare Tito e me, per un incontro privato. Ci ringraziò di quanto avevamo fatto per la regina. Tito lo invitò a venire in Valle d'Aosta, Umberto II gli rispose: "Mi dispiace, forse io dovrò lasciare l'Italia"». Il 2 giugno era molto vicino. Giorgio Calcagno Sola e senza scorta dal San Bernardo: così all'indomani della liberazione la sovrana tornò segretamente in Italia Anche ilprincipe Umberto voleva unirsi alla Resistenza Storia di un rientro mancato Nell'immagine grande, la foto storica Da sinistra, i carabinieri Pession e Perrin, Renato Chabod, Ettore Volpe, Maria José, il comandante Tito, Giuseppe Ferrier, Roberto Maquignaz, l'alpino Scofone Qui accanto, i partigiani sfilano dopo la cacciala dei tedeschi Da sinistra, l'ex re Umberto e l'avvocato Chabod, in alto a destra la regina Maria José