Mimi? uno sciupafemmine

Mimi? uno sciupofemmine Mimi? uno sciupofemmine «Serenate e lettere in fotocopia» POLIGNANO E S. PIETRO PER quarantanni non gli hanno perdonato la sua finta origine siciliana, ma adesso che torna a Polignano per «il più grande concerto d§lla mia vita», arricciano il naso a San Pietro Vernotico, provincia di Brindisi, dove Domenico Modugno si trasferì all'età di quattro anni. Dicono a Polignano: mister Volare è nostro. E da San Pietro rispondono: no, è qui che ha vissuto, che ha imparato a suonare e a cantare, è nostro a tutti gli effetti. E' una contesa che dura da sempre, ma Modugno, il cui nome è diviso anche dal dialetto (Mimi a Polignano, Mimino a San Pietro Vernotico), ne resta al centro, con un'equidistanza che non scontenta nessuno, legato com'è sia alla terra dei primi giochi e degli amori estivi, sia al paese in cui vive ancora suo fratello Giovanni, titolare di un autosalone, e dove ha lasciato un pezzo di cuore. «Il mio paese sono due - disse anni fa -: Polignano a Mare e San Pietro Vernotico. Ho dentro i mandorli, gli uh vi, il mare e, dall'altra parte, i vigneti delle Puglie». Amici e ricordi diversi, quasi due vite parallele. Modugno nacque il 9 gennaio del 1928 in una casa di piazza Minerva, nel centro di un paesino bianco di calce a strapiombo sul mare Adriatico. Andò via a quattro anni, quando il papà vinse il concorso come comandante dei vigili urbani a San Pietro. Non ricorderebbe nulla di Polignano se non fosse tornato ogni anno, d'estate, per vacanze colorate di intense passioni, di serenate e piccole follie paesane. «Una notte decidemmo di andare a dormire sugli scogli. Così ci diceva la testa. Ci svegliammo alle cinque del mattino disorientati, non sapevamo più dove eravamo. Mimi aveva all'incirca 15 anni». Racconta Anselmo Galluzzi, sessantottenne, tre anni più di Modugno, una vita spesa tra Polignano e San Paolo del Brasile dove dal '54 al '63 è stato prima commerciante e poi impiegato di una società immobiliare. «Mimi cantava, suonava le sue composizioni con la fisarmonica e ripeteva: "Sfonderò, diventerò grande". Credergli? Ma nemmeno per idea. E chi credeva che ce l'avrebbe fatta?». E non ci credeva perché Modugno era, come si dice da queste parti, uno «sfasulato», uno spiantato. «Non aveva una lira - ride Galluzzi -. Mia cugi- na Pupetta, con la quale si fidanzò, gli passava le sigarette prese dal papà tabaccaio. Ma in quel periodo era fidanzato contemporaneamente con Pupetta, Renata, Dora e Ada, 4 ragazze in un colpo solo, un fenomeno». Ha scritto Alberto Selvaggi, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno e collaboratore di Epoca e Panorama, in una biografia non autorizzata che uscirà a giorni: «Modugno filibustiere: preparava le lettere d'amore in fotocopia. Frasi, sempre quelle: "I tuoi occhi come potrò dimenticarli? Ti amo, per sempre, Mimmo". Diplomatico il congedo: "Lasciarsi, sarà più bello rincontrarsi"». Galluzzi era un gregario. Suonava la fisarmonica, ma era Mimi, con la sua chitarra beige e quella voce che esibiva in un improbabile inglese («Wan' a gonna soul, is for incantée, rapalon in moon, non mi ricordo niend'»), a far colpo sulle donzelle. «Facevamo le serenate su commissione - ricorda Modugno -, ma le ragazze, anziché dei loro spasimanti, si innamoravano di me. Perché i musicisti avevano un certo fascino». Completa il racconto Galluzzi: «Io mi accontentavo delle donne che mi passava lui». Poi il duo si divise. Nel '54 Anselmo emigrò in Brasile, e prima di lui Mimi se ne andò in cerca di successo. Aveva meno di vent'anni. Con pochi soldi in tasca Modugno si presentò alla biglietteria della stazione ferroviaria e quando gli chiesero dove volesse andare, rispose: «Fin dove arrivo con questi soldi». E il bigliettaio: «A Torino». «E allora vado a Torino». Cominciò così la sua avventura. La seconda vita di Mimi, che a questo punto diventa Mimmo, è a San Pietro Vernotico. Vinto il concorso nei vigili urbani, il papà vi trasferì la famiglia. E qui nacquero altre amicizie, quelle con Nino Melli, più grande di lui di quattro anni, e con il coetaneo Guglielmo Centonze, fino a pochi mesi fa direttore della ragioneria del Comune di San Pietro Vernotico. E' proprio Centonze a manifestare la sua visione anti-Polignano. «La sua vita Mimmo l'ha trascorsa qui. Sono felice che ora Polignano gli mostri affetto e riconoscenza, però ci si ricorda solo nella gloria. Sconcerta questa pubblicità, le foto di Mimmo che tappezzano i bar. Qui a San Pietro Vernotico è diverso, niente clamore. D'altra parte io non tappezzerei casa mia delle foto di mio fratello, è mio fratello e basta». Modugno, che la mamma chiamava Giuseppe Verdi canzonandolo per i suoi capelli lunghi, era per gli amici Nicodemo, anagramma di Domenico che lo mandava in bestia. «A San Pietro Mimmo ci è tornato l'ultima volta venti giorni fa per assistere ai funerali della sorella che viveva qui», afferma Centonze, ima spalla poco musicale che non arrischiava neppure una nota: «Sono stonatissimo, mentre lui era un fenomeno. Il papà gli regalò la fisarmonica e dopo due ore già suonava "Besame mucho". Le prime composizioni nacquero in una sera d'agosto, eravamo seduti in casa, con le porte spalancate. Io lo aiutai a comporre brani che lui, peccato, non ha più riproposto: "Crepuscolo marino", "Il treno fi- schia", "La locomotiva", "E la luna tra le nubi che sorride al suo dolore"». Anche a San Pietro, Modugno fece strage di cuori. «Sì, riusciva», ammette Centonze, che da amico discreto risparmia particolari, e svicola. «Non avevamo neanche una lira per comprare le sigarette. Le facevamo alla meglio. Lui ruba¬ va il tabacco al papà, io la carta a mio padre tipografo e il gioco era fatto». Diventato famoso, Modugno ci tornò, a Polignano e San Pietro, alimentando una rivalità che resiste ancora e scatenò gelosie, come, quarant'anni fa, in occasione del suo ultimo concerto a Polignano. Fu preso di peso dagli amici che minacciarono di buttarlo giù da una balconata: «Fingi di essere siciliano, e allora noi ti buttiamo giù». Modugno non ricorda, smentisce e s'infuria e, non riconoscendo una fiorente aneddotica, sbotta: «Però, quante palle raccontano 'sti paesani». Sandro Tarantino «Cantava, suonava e diceva: diventerò grande, ma era uno «sfasulato», uno spiantato che partì per Torino» e iA