TUTTI in BUGATTI a raccogliere pomodori

Non resta che attendere le realtà virtuali con le ferie in cuffia H passate in città TUTTI in BUGATTI a raccogliere pomodori Capitolo XV I moderni GGI primo giorno di scuola. Passarono come un sogno quei tre mesi di vacanza in campagna!». Così comincia Cuore, di Edmondo De Amicis, anno 1886. Da allora la scuola italiana ha visto più riforme di quanti lifting si sia concessi Elizabeth Taylor, ma quei tre mesi di sogno sono rimasti tali e quali. Troppi per i genitori, troppo pochi per i ragazzini, che si tramandano di generazione in generazione lo stesso atteggiamento di viscerale insofferenza nei confronti dell'istruzione, e che sono i soli aventi diritto all'uso della parola «vacanza», a noi pare. Perché ai tempi di De Amicis gli adulti che se lo potevano permettere andavano secondo tradizione «in villeggiatura», mentre per gli altri piccoli impiegati, bottegai, operai, ecc. - c'erano le «ferie». Questo pur classico termine ha finito per assumere connotazioni poco attraenti, associato com'è a storiche lotte sindacali (per le «ferie retribuite», per il congépayé), a un tipo di eroismo in tuta che il neo-borghese gentiluomo preferisce dimenticare dall'alto del suo camper filante. «E tu dov'è che vai in ferie?». <(Ah, non so neppure se potrò farle, ho una quantità mai vista di grane da sistemare, tu lo sai». «Lo so, lo so, anch'io sto messo male, ma almeno una settimana?». «Guarda, posso sperare in tre, massimo quattro giorni di ferie verso la fine di agosto, non di più». «Ma perché non le fai prima, tipo come fosse giugno, maggio?». «Già, quando lavoro 14 ore al giorno! La verità è che le ferie me le devo praticamente scordare anche quest'anno». «Io no, io un pacchetto di dieci giorni di ferie riesco sempre a farlo saltar fuori, caschi il mondo». «Beato te». Uno scambio tra piccoli commercianti oberati da tasse e cambiali, fra travet minacciati dalla cassa integrazione? Errore. A chi ci venisse a riferire di aver ascoltato una simile conversazione diremmo senza esitare che i dialoganti dovevano essere banchieri ricchissimi, imprenditori ciclopici, grandi finanzieri internazionali. Soltanto loro, e tra loro, parlano infatti di ((ferie», per antifrastica civetteria. Taluni supremi miliardari omettono stoicamente anche la parola. «Già fatte?». «No. Perso il momento. Troppo tardi ormai». «Peccato». «Pazienza. Mi dicevi di quel progetto di benzina con la Nutella al posto del piombo?». Tutti gli altri, oggi, si tengono stretti alle più signorili ((vacanze». Che significano anzitutto estesa mobilità e che quindi hanno inizio storico con sleeping-car e automobile negli Anni Venti. Il taglio à la garqonne, i vestitini sopra il ginocchio, il Charleston, forse un pizzico di cocaina, e poi via nella notte in Lagonda, Bugatti, Isotta Fraschini, Bentley, ecc. Dove si va? Andiamo tutti (è questo l'incipit basilare del le vacanze del XX secolo), alla festa dei tori di Pamplona, o sulla Costa Azzurra, o da quella pazza di Do rothy che ha sposato un conte ita liano e vive in un castello dei Mala spina. 0 anche magari a Blandings Castle a vedere la premiatissima scrofa di Lord Emsworth; o a Capri, a sentire una sera Norman Douglas che declama limericks indecenti; o al Lido di Venezia a fare esercizi ginnici insieme a Cole Porter da vanti al Des Bains. Sono vacanze erratiche e intense, colpi di vento che portano grandhotels, avventure in vagone letto, meravigliosi contadini greci, toscani, andalusi, balli in costume, epiche sbornie, cattedrali intraviste all'alba, osterie di-vi-ne, scoperte obbligatorie di luoghi, trasgressioni, divertimenti non ancora alla moda ma che appena sfiorati diventano di moda e saranno perciò subito lasciati cadere per altre nuove e più eccentriche imprese. In quegli anni detti folli, ruggenti, favolosi, poi vanamente rincorsi da ogni successiva ondata di giovani, ci fu perfino l'invenzione delle contro-vacanze. Lo scrittore e incontenibile viaggiatore francese Valéry Larbaud decise coi suoi amici più blasé di passare le vacanze sul lato sinistro degli Champs-Elysées. Cinema, passeggiate, visite, cocktails, balli, cene, tutto era lecito a condizione che nessuno mettesse mai un piede fuori da quel lungo marciapiede, scelto come isola fatata nel cuore della metropoli. Un massimo insuperato di snobismo irriverente, ma è chiaro a chiunque che trentamila snob sul lato sinistro del celebre viale toglierebbero parecchio charme all'idea. E l'esempio - uno fra i tanti citabili rende particolarmente visibile la contraddizione in cui si dibatte l'attuale vacanziere di aspirazioni elitarie. Non fa in tempo ad avere una trovata che già la ripetono a milioni. Non c'è luogo da lui rivelato a pochi intimi che non sia prontamente sommerso dal brulichio dei moltissimi alieni. Non c'è evento musicale, teatrale, museale cui possa assistere senza massacranti preparativi logistici, implorazioni telefoniche, fax che sembrano appelli dal braccio della morte al governatore del Texas. Il fatto è che le vacanze eleganti, briose, improvvisate, per non dire create, aujour lejour non sono più praticabili da nessuno, resistono unicamente come leggenda di riferimento. Quell'elite in perpetua rotazione nei romanzi di Hemingway e Scott Fitzgerald, di Wodehouse, Paul Morand, Aldous Huxley, quei personaggi tutti belli e un po' dannati, tutti spiritosissimi, tutti ricchi, o sul punto di diventarlo, o appena rovinati, quei capricciosi, estrosi militanti della «festa mobile», si sono tramutati in dozzinali vip la cui sola attività estiva seni¬ bra essere di sfuggire (?) ai fotografi. «L'Italia proletaria e fascista», come l'ebbe a definire Mussolini, fu molto marginalmente coinvolta in quel turbine frivolo e cosmopolita, cui è indispensabile, nello sfondo, tutto un solidissimo intreccio di usanze democratiche e potenza imperiale. C'erano sì, Forte dei Marmi, Rapallo, Portofino, ma già insidiati dai Treni Popolari del regime, già contrastati dalla famiglia del Duce che galleggiava ostentatamente nelle acque più casalinghe di Riccione. E va tenuto presente che gli scrittori italiani erano (con l'eccezione di Malaparte) tutti poveri. Palazzeschi: «O che tu dici, caro Bacchelh? Si fa un salto a Salisburgo prima di passare a Madrid per la corrida? Il Tozzi, il Borgese e il Cardarelli sono anche loro della partita». Bocchelli: «Mi piacerebbe non poco, ma ho già promesso al Gadda di prendere l'Orient Express con lui, il Baldini, l'Alvaro e il Bontempelli per raggiungere il giovane Montale, sai no?, in quella villa che si è comprata sulla costa turca». Gli orizzonti erano domestici, Castelli Romani, Fucecchio, il Biellese, dove villeggiava Benedetto Croce. Con D'Annunzio ormai fuori gioco, lo stile rutilante e disinibito delle vacanze europee mal si addiceva a un Paese ancora in gran parte di cultura contadina, retto da una dittatura che giunse di lì a poco a espungere le parole straniere dall'uso corrente e a condannare moralmente l'acquisto di scarpe inglesi. Soltanto dopo la seconda guerra mondiale si manifestò da noi qualche fervore tardivo per le vacanze chic, e se ne trovano tracce in Alberto Arbasino, Soldati, Antonioni, il Fellini della Dolce Vita. Ma era una via senza prospettive, le vacanze di massa non tardarono a propagarsi con la rapidità di un incendio incoraggiato dai pompieri. Lo slogan vincente fu: proletari di tutto il mondo, viaggiate! Dieci, venti milioni di macchine tutte insieme sulla strada, voli charter e città-roulottes, le isole Figi e l'Amazzonia più abbordabili della Valsesia, migliaia e migliaia di «strutture» alberghiere e residenziali affacciate su ogni mare, ogni valle o conca. A dare il tono fu insomma Alberto Sordi, con la sua tipica famigliola sbigottita, arrogante e cialtrona. Poco o nulla è mutato da allora, se non in peggio, e poco o nulla resta da dire sulle nostre vacanze. Assurte al rango di «conquista sociale», esse si pongono al di sopra di qualsiasi giudizio. Parlarne male, con disgusto, è vietato da diversi ministeri, da tutti i sindacati e da buona parte del clero. E i posti di lavoro? E l'indotto? E l'economia stagionale? E quei poveri faticatori che per alcune settimane all'anno hanno diritto di dimenticare le loro frustrazioni, di godersi un po' la vita? Senza contare beninteso tre mesi di sogno di De Amicis, che fanno tanto bene ai bambini. Non c'è risposta possibile a tali perorazioni, culminanti nella tragica domanda: ma tu che ti lamenti, hai pensato a come fanno le vacanze gli algerini, i biafrani, i colombiani? Fortunati, privilegiati e per giunta ingrati, ecco cosa siamo. Serpeggia tuttavia fra questi benedetti da Dio e dal Prodotto Interno Lordo (Pil) una certa riluttanza a parlare delle vacanze con vero entusiasmo. «Da voi è già pronto il piano-vacanze?». ((Non ancora, il nostro capo del personale sta studiando Rommel». «Chi?». (di feldmaresciallo Erwin Rommel, detto la Volpe delle Ferie. Di recente, tra le sue carte inedite, è venuto alla luce un piano-vacanze del 1938, quando era ancora ufficiale di stato maggiore della Wehrmacht». «Tu l'hai visto?». «Ne ho fotocopiato un brano, e devo dire che sembra interessante. Sta a sentire: "La Segreteria Generale muoverà dalle scrivanie all'alba del 7 giugno con metà dei suoi effettivi e raggiungerà gli obiettivi prefissati alle 19 dello stesso giorno, mantenendo le posizioni fino al 1° luglio, ore 16, quando verrà raggiunta dall'Ufficio Pianificazione e Controllo, cui nel frattempo si saranno aggregate di rincalzo la prima brigata 'dell'Ufficio Coordinamento Filiali e la seconda brigata dell'Ufficio Progetti. Il 2 luglio, ore 14, il reggimento dell'Ufficio Risorse Umane partirà a scaglioni verso il fronte, lasciando come riserva tattica una compagnia di Contabilità e Bilancio. I rimpiazzi dell'Ufficio Marketing attenderanno fino al 16 luglio, per entrare in azione nella notte sul 17, che questo comando ritiene ottimale per dislocazioni a lungo raggio". Geniale, no?». «Ma sono vacanze militarizzate!». ((E non è forse così?». «Ma allora tanto vale comprarsi un paio di stivaloni neri, giberne, cinturone...». «Meglio Rommel del caos». «Meglio niente che Rommel». Ma pochi in definitiva hanno il coraggio di opporsi ai ruolini di marcia del grande stratega. Pochi se ne restano a casa o si spostano con la saggezza dei canonici di Santa Maria del Fiore che nel XTV secolo, a Firenze, andavano a passare le vacanze negli orti di Santa Maria Novella, lontani meno di un chilometro. Era una forma primitiva di agri-turismo, cui ora sembra voler tornare un numero crescente di neo-canonici. Via dalle spiagge inquinate, via dalle montagne crepitanti di motorini e elicotteri di salvataggio, via dalle isole vendute ai premi letterari e alle mostre di zanzare originali delle Bocche del Rodano (Proust se ne faceva mandare ogni anno una damigiana al Ritz). La salvezza, la pace, si trovano soltanto in campagna. Ne fa fede la lettera che abbiamo rinvenuto per caso in una discarica abusiva fra Torino e Milano e che riproduciamo integralmente: «Cara Francesca, ti scrivo perché qui non c'è telefono, né tv, ovviamente, e i telefonini sono vietati. Dopo sei giorni nella fattoria "Il vecchio girasole" non so dirti quanto siamo felici della nostra scelta. Guido aveva un po' paura di annoiarsi, ma ha dovuto ricredersi, non c'è un minuto per stare con le mani in mano. ((La sveglia è alle 4,30 del mattino e dopo la doccia con l'acqua del pozzo (io tiro su una secchiata freschissima e la rovescio su Guido, e lui fa lo stesso con me), corriamo con gli altri alla stalla per mungere le 25 mucche della tenuta. Poi colazione, a base di pane campagnolo raffermo, cipolla e qualche oliva. Poi tutti via nei campi a raccogliere pomodori sotto la guida di un esperto magrebino, il simpaticissimo Ahmed, che ci stimola con scherzose pedate nel sedere. Alle 11 si va nel frutteto; break con le pesche, le pere e i fichi caduti in terra, tutti trattati senza pesticidi e perciò un tantino rosicchiati, ma genuimssimi. Poi si raccolgono quelli maturi sugli alberi. ((Alle 13, pranzo a base di pane estremamente raffermo, pomodori, cipolle e un'acciuga sotto sale. Il pomeriggio, dopo una breve siesta, lo passiamo a preparare montagne di pane da invecchiamento, tagliatelle e ravioli fatti a mano, che verso sera portiamo in capaci cestoni al magazzino-spaccio della fattoria, sulla statale 126. Dopodiché rientriamo nello spaccio dalla porta principale e compriamo noi stessi il latte munto al mattino, la frutta e le tagliatelle. Molto pratico, no? I prezzi sono un po' alti, ma almeno sappiamo cosa mangiamo. Dopo cena, ballo sull'aia col sindaco, il postino, il macellaio, il guardacaccia del vicino paese, persone interessantissime che normalmente non vedresti mai e che ci raccontano le loro esperienze nelle Antille e in Namibia. Per 1000 fr. svizzeri al giorno (qui si paga in valuta estera) mi sembra veramente che non possiamo chiedere di meglio. Siamo abbronzati, callosi e muscolosi, e dormiamo sulle uova (tocca a noi covarle) come angioletti. Ora devo proprio soffiare sulla candela (5 dollari l'una) e ti mando un abbraccio senza concimi chimici e senza conservanti. Tua Cristina». Come saranno nel futuro le nostre vacanze? L'ipotesi a noi più cara è Timmobilità. La ricerca dell'autentico, dell'incontaminato, del puro e naturale, si farà più tormentosa via via che le occasioni di snidarlo, toccarlo, viverlo, andianno diminuendo. Verrà infine il giorno in cui tutti apriranno gli occhi e vedranno lucidamente che tutte le carte sono truccate. Ma a quel punto le nuove tecnologie del virtuale avranno già affinato e diffuso capillarmente le loro alternative. All'angolo di ogni via avremo saloni di «Virtual Holidays», dove una cuffia, un paio di sofisticati occhiali e qualche tubicino infilato nel collo o negli avambracci ci permetteranno le più vivide peripezie in ogni angolo del mondo senza muoverci. Con gli stessi apparati i benzinai serviranno sulle autostrade viaggiatori virtuali, gli albergatori ospiteranno comitive virtuali, i bagnini salveranno bambini virtuali, i pizzaioli nutriranno tavolate di divoratori virtuali, e per tutta l'estate gireranno immense somme di denaro virtuale. In conclusione ognuno tirerà giù un bilancio virtuale e sarà soddisfatto. Anche il ministro (virtuale) se ne compiacerà. Detto tutto questo, riteniamo di potercene andare un po' in vacanza anche noi due, dopo sette settimane dedicate alle vacanze altrui, virtualmente. Fine dell'ultima puntata Carlo Frutterò Franco Lucentìni Non resta che attendere le realtà virtuali con le ferie in cuffia passate in città RACCONTI D'ESTATE qumeDoveto Gunonomnoposclucole ziorafPopoesmscsi sctucinumescipolodite H li generale Rommel, la volpe del deserto e dei piani vacanze A sinistra, raccolta di pomodori nel Sud: il top delle ferie snob