Quella lunga notte di torture che nessuno ora sta pagando di Pier Paolo Luciano

Quella lunga notte di torture che nessuno ora sta pagando Quella lunga notte di torture che nessuno ora sta pagando IL FESTINO DELL'ORRORE ON è la vendetta che voglio, ma la giustizia. Giustizia vuole che per la stessa colpa ci sia la stessa pena. Erano tutti e tre uguali, perché allora condannarne due all'ergastolo e uno soltanto a trent'anni? Come si può dire che Guido era più succubo e che il suo risarcimento è congruo? Non c'è nessuna attenuante per questo. Erano tutti e tre uguali. E feroci. Guido le sprangate le ha date a me, la cinta al collo l'ha messa a me e quando ha detto "silenzio, ci sono due morte", guardava e lo faceva proprio con freddezza, da nazista. Non è solo questione di stupro. E' molto di più». Così Donatella Colasanti accolse la sentenza con cui i giudici in Appello avevano concesso una riduzione di pena a Gianni Guido. Non lo poteva accettare, quel «regalo» a uno dei suoi torturatori. E di Rosaria. Era troppo vivo in lei il ricordo di quel pomeriggio di fine estate per comprendere, se non avallare, la clemenza della Corte. E forse neanche oggi ha perdonato. A distanza di diciotto anni da quell'incubo, anzi, la rabbia probabilmente si fa più grande, più forte. Soprattutto ora. Perché nessuno dei suoi torturatori e di Rosaria ha pagato il debito con la giustizia. Non lo ha pagato fino in fondo. Terribile storia quella di San Feliceo al Circeo. Viene scritta nella notte tra il 29 e il 30 settembre di diciotto anni fa. Teatro la bella villa che il costruttore romano ed ex olimpionico di nuoto Aldo Ghira possiede in località Punta Rossa, uno degli angoli più suggestivi della località turistica. Qui, nel pomeriggio di lunedì 29, Gianni Guido e Angelo Izzo arrivano in compagnia di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, due ragazze conosciute un paio di giorni prima, all'uscita da un cinema. La prima ha diciannove anni, la seconda diciasette. Un'ora di chiacchiere e cortesie, poi per le ragazze comincia l'inferno. Gianni e Angelo le chiudono nel bagno e le costringono, senza troppi complimenti, a spogliarsi. Anzi, strappano loro i vestiti. Urlano e alzano le mani. Sono due violenti, Angelo Izzo e Gianni Guido. All'ufficio politico della questura li conoscono e li hanno schedati come picchia¬ tori fascisti. Fanno parte del giro dei «Sanbabilini». Izzo, poi, ha alle spalle una condanna per violenza sessuale. Quella notte volano schiaffi e insulti. Lo ammettono gli stessi giovani: «Siamo stati costretti a picchiarle, volevano fuggire». Più tardi arriva Andrea Ghira, il figlio del proprietario della villa. E' chiamato «Jack» e anche il «drago». E' indicato come il capo del trio. Nei suoi diari si leggono frasi come questa: «L'umanità si divide in tre grandi categorie: i dominanti, i poveri cristi, i pidocchiosi». Rosaria e Donatella non rientravano nella prima categoria e forse neanche nelle altre due. Per «Jack» erano cose senza valore. Per questo «interviene, sodomizza, uccide». I tre giovani sono presi da furia omicida perché le ragazze non li divertono, pr di più non sono docili e si lamentano. Inizialmente - si legge nelle pagine del rinvio a giudizio - le due ragazze ricevono calci e pugni, colpi con la cinghia dei pantaloni, con un bastone da giardiniere, con il calcio di una pistola. «Non ce la facevano più a pestare, poi c'era tanto sangue, ed eravamo impressionati. Fu a questo punto che Gianni diede a Donatella il calcio per vedere se era svenuta». Poi il tragico epilogo di una notte d'inferno: Rosaria viene annegata nella vasca da bagno mentre Guido tenta di strangolare Donatella. Il corpo di Rosa¬ ria è riverso sull'orlo della vasca, Angelo e Andrea a turno le tengono la testa nell'acqua. La immergono e la fanno riaffiorare. Fino a quando non respira più. Dopo l'omicidio, i tre giovani amici pensano a come liberarsi di quei ingombranti cadaveri. Potrebbero abbandonarli nei boschi di San Felice. O lungo la spiaggia. Invece li avvolgono dentro un sacchetto di plastica e una coperta e li caricano nel portabagagli dell'auto di Guido. E lui stesso a suggerire la soluzione: «Li possiamo mettere nel portabagagli perché ci porto sempre il cane». Gianni e Angelo tornano insieme a Roma. Andrea li segue su un'altra vettura. Arrivano sotto casa di Guido, parcheggiano l'auto, si precipitano in una cabina per chiedere aiuto a un paio di amici. Quando tornano, si accorgono di non avere più le chiavi. Ma non drammatizzano: ci penseranno più tardi a disfarsi dei due cadaveri. Gianni Guido sale in casa, a dormire. Ma prima di andare a letto ascolta i nastri con le musiche dell'«Esorcista» e di «Profondo rosso». Quando i carabinieri suonano alla sua porta lo trovano in pigiama. Un sottoufficiale che abita nella zona aveva sentito lamenti provenire dal bagagliaio della «127», si era avvicinato e aveva notato alcune macchie di sangue. Pier Paolo Luciano

Luoghi citati: Roma, San Felice