Schiavi liberi col berretto frigio di Enrico Benedetto

Due secoli fa la storica decisione francese: per i neri di Santo Domingo Due secoli fa la storica decisione francese: per i neri di Santo Domingo Schiavi liberi, col berretto frigio Immense speranze, ma furono presto deluse PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Emancipati dalla Rivoluzione Francese, negri e mulatti di Santo Domingo festeggeranno dopodomani il bicentenario della libertà. Erano schiavi, come migliaia e migliaia di loro compagni nelle Antille (per l'esattezza 690.815), a Mauritius - che allora si chiamava «Ile de France» - e sull'isola Bourbon, l'attuale Réunion. Per quattro anni - dal 26 agosto 1789, quando i rivoluzionari transalpini adottarono la «Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino» Liberté, Egakté e Fraternità avevano riscattato solo uomini e donne dalla pelle bianca. A riprova che le barriere razziali sono le più dure a cadere. Anzi, se una serie di fortuite contingenze internazionali non avessero favorito la liberalità verso Santo Domingo (in particolare, il timore che britannici e spagnoli soffiassero a Parigi il controllo della colonia promettendo libertà alla popolazione di colore) la nuova Francia avrebbe forse legittimato l'apartheid dell'Ancien Regime. In ogni caso, l'avventura della libertà doveva lasciare l'amaro in bocca agli isolani. Estesa alla totalità delle colonie il 4 febbraio 1794, venne abrogata otto anni dopo da Napoleone primo console, complice la moglie Josephine ereditiera di ricchi coloni creoli ferocemente schiavisti. Bisognerà aspettare quasi mezzo secolo e un'altra data-chiave nella storia europea - il 1848 - per convincere Parigi ad abbandonare definitivamente la schiavitù. Se l'abolizionismo non fu il primo pensiero dei circoli rivoluzionari parigini, bisogna comunque rendere omaggio a quanti fra l'elite dell'89 - vi consacrano le proprie energie, consci di battersi per un ideale che indignava non solo i reazionari ma larghe fasce di girondini e (talora) persino qualche giacobino. Fra i paladini della liberazione nera troviamo il leader più radicale, controverso e sanguinario: Robespierre. Membro della «Société des Amis des Noirs» - come peraltro Mirabeau, Condorcet e il chimico Lavoisier - il padre del Terrore esibì fin dal '91 le sue ferme convinzioni in materia. Quell'anno, nel commentare l'esecuzione - il 25 febbraio d'un mulatto dominicano, tuo¬ Robespierre era stato il paladino: tutto finì con Napoleone nava contro i coloni bianchi: «Voi che invocate senza posa i diritti dell'uomo (...) avete consacrato costituzionalmente la schiavitù. Muoiano le colonie!». Ma le cose non erano così semplici. La Francia - malgrado nella memoria storica contemporanea le facciano ombra le cupe vicende dello schiavismo anglo-americano - s'imponeva nel XVIII secolo come una potenza negriera di prima grandezza. Bordeaux, Nantes, Là Rochelle oggi non sarebbero le opulente città borghesi che ogni turista ammira se non avessero alle spalle secoli di lucrose transazioni carnali. Dai loro porti - e da Saint-Malo, scalo della Bretagna orientale - partivano ogni mese navi zeppe di tessuti, specchi e fucili verso l'Africa equatoriale. Il pagamento avveniva in schiavi. La merce umana faceva quindi rotta verso le Antille, in perenne ricerca di manodopera a prezzo irrisorio per le piantagioni. Con l'ultimo viaggio - il ritorno alla madrepatria - i galeoni reimbarcavano zucchero, rhum, caffè o cotone. Per smantellare un commercio così lucroso non bastava certo la Marsigliese. Eppure, lentamente, qualcosa si muove. Nel 1789 sono 35.501 (21.108 nella sola Santo Domingo) gli schiavi rimessi in libertà, spesso dietro il pagamento di una somma rimarchevole ai loro ex padroni. Parigi li ritiene ancora cittadini di serie B: non potranno partecipare alla redazione dei «cahiers de doléances» per gli Stati Generali. Miglior fortuna tocca ai loro colleghi senegalesi. Ma i coloni, sentendo avvicinarsi la fine dei privilegi, corrono ai ripari. All'Assemblea Costituente spediscono come delegati i piantatori più ricchi, con il tassativo mandato di bloccare l'estensione ai neri dei diritti civili e politici. Per riuscirci non rinunciarono alle classiche lusinghe del lobbi- dsiu Schiavi su una nave. Accanto, Napoleone e Robespierre, membro della Société des Amis des Noirs smo. Finanziamenti neri, pressioni, minacce. La spuntarono di misura, grazie a un assioma ridicolizzato dalla storia successiva ma che allora faceva una grossa impressione: abolire la schiavitù, proclamarono, equivaleva a frantumare il principio d'autorità coloniale e imporre ipso facto l'autodeterminazione. Ora, nessuno voleva perdere l'Impero: al massimo lo si poteva accrescere (come fece Bonaparte). Ma fu una breve vittoria. Nell'estate '91, Santo Domingo inaugura la guerriglia abolizionista, con relative stragi, incendi e rappresaglie. Dodici mesi più tardi la ribellione investe l'isola nella sua totalità. Per venirne a capo, la Convenzione distacca oltreoceano il generale d'Esparbès e tre commissari. Ne passerà alla storia solo uno, Sonthonax, che dopo lunghe trattative segrete con gli insorti si arroga il 29 agosto 1793 un potere che non aveva: decretare la fine della schia- Siena, nasce una collana vitù nella turbolenta colonia repubblicana. Nobile slancio? Illuminazione politica? Affatto. E' che gli spagnoli offrivano ai dominicani, per schierarsi con Madrid, affrancamento e soldi. Sonthonax risparmiò gli zecchini, ebbe per sé la gloria e permise alla Francia di illustrarsi in Europa e nel mondo con la sua in apparenza disinteressata filantropia. In termini di immagine, il bilancio non poteva essere migliore. In ogni caso, gli echi parigini dello storico evento furono eloquenti. Tra una ghigliottinata e l'altra, ci si rallegrò per il geniale schiaffo inflitto alle mire iberiche e britanniche, come se la libertà ai negri null'altro fosse che una mossa vincente nella secolare lotta con Albione. «Oggi l'inglese è morto» ghignò trionfale Danton. Ma equità storica vuole si ricordino anche le grida di gioia e le lacrime che accolsero alla Convenzione, il 3 febbraio 1794, il primo deputato negro della giovane Francia rivoluzionaria, il dominicano Belley. E le immense speranze destate nel mondo intero, fra gli schiavi d'Africa, Asia e Americhe, dal giacobinismo terzomondista. Anche se le condizioni di lavoro non mutarono sensibilmente per gli ex schiavi dopo il «giuramento civico» alla Repubblica con rullo di tamburi, coccarde e gioiose acclamazioni sulle pubbliche piazze antillane. Il contrordine napoleonico ebbe dunque buon gioco. L'abolizione dello schiavismo era facilmente reversibile grazie allo status sociale ed economico dei neoliberi, ancora così vicino a quello originario. I possidenti di Santo Domingo, che stavano organizzando una spedizione militare per sottrarre l'isola alle autorità amministrative «democratiche» assaporarono la soddisfazione di non dover versare neppure una goccia di sangue per tornare al potere: il generale corso anticipò per legge i loro più rosei desideri. Si chiudeva insomma senza colpo ferire la parentesi extraeuropea del trittico libertà-uguaglianza-fratellanza. Tra i pochi souvenir che ci restano, una preziosa collezione di piatti su cui compaiono indigeni muniti di berretto frigio, con l'iscrizione un po' in stile «Io bovero negro»: «Moi libre aussi». Enrico Benedetto sull'Estetica comparata

Persone citate: Amis, Belley, Bonaparte, Bourbon, Danton, Noirs, Rochelle