America somara delle minoranze di Masolino D'amico

Fa discutere un saggio di Hughes Fa discutere un saggio di Hughes America somara delle minoranze RITICO delle arti figurative per la rivista Time da una ventina d'anni, autore fra l'altro di un grosso e affascinante tomo sulle origini prevalentemente carcerarie della società australiana, da cui anch'egli proviene (La sponda fatale: passato quasi inosservato da noi benché l'editore fosse Adelphi), Robert Hughes si è finalmente guadagnato qualche notorietà anche in Italia quando ha visitato l'ultima Biennale di Venezia e, come spesso gli capita, ha visto e descritto l'imperatore nudo. Quasi contemporaneamente il suo nome stava crescendo in notorietà anche negli Stati Uniti, grazie al dibattito suscitato da un libro appena uscito dove sono raccolte e ampliate tre conferenze su questioni di attualità che Hughes ha tenuto presso la New York Public Librar)'. Questo Culture of Compianti The Praying of America (La cultura della protesta - Lo sfilacciamento dell'America) si inserisce con disinvoltura nel ricco filone di appunti e rilievi mossi da stranieri alla civiltà statunitense, e da questa di regola accolti con ghiotta curiosità. Discorsivi, capricciosi e inclini a saltare vivacemente di palo in frasca, i tre saggi denunciano ciascuno una preoccupante tendenza negativa dell'America moderna, e cioè, rispettivamente, quello che Hughes chiama culto della vittima; il dibattito sul cosiddetto multiculturalismo; e la politicizzazione dell'arte. Il primo argomento prende le mosse da una geniale citazione di Auden, dove un Erode «liberal» spiega di essere costretto suo malgrado a cercare di eliminare il piccolo Messia, perché se non si stronca la mala pianta, la Rivelazione prenderà il posto della Ragione, e di conseguenza il Materialismo sostituirà l'Idealismo, e la Pietà farà le scarpe alla Giustizia. Argomentando che questo è precisamente quanto sta accadendo in America, Hughes mostra come dalla doverosa solidarietà con gli oppressi si sia passati al vittimismo generalizzato - tutti sostengono ormai di avere diritto a qualche forma di risarcimento dalla vita, accampando come minimo un'infanzia infelice - e quindi al continuo ricatto da parte delle minoranze, etniche o sessuali. Una cameriera californiana si rifiuta di servire un cliente perché costui sta leggendo Playboy, azione che a dire di lei costituisce automaticamente uno stupro: è un esempio-limite, ma suscitò un dibattito molto acceso. Il «Politically Correa» Più inquietante è forse un altro caso, quello dell'Università di Berkeley, per entrare nella quale gli studenti debbono superare dei test raggiungendo un certo punteggio. Un bel giorno l'ateneo scopre che la maggioranza degli ammessi è sempre di origine asiatica, seguiti dai bianchi e dai latini, con i negri in coda, e allora decide di adottare requisiti diversi a seconda dei colori; cosi ora un cino-americano o un nippo-americano deve ottenere almeno 7000 punti su 8000, mentre a un negro ne bastano 4800. Giustizia sociale? Idiozia, spiega Hughes; se si vuole aiutare i negri, invece di ammetterli a discipline per cui non sono preparati si migliorino le scuole da cui provengono, e in cui non viene loro insegnato alcunché. Infatti gli studenti somari hanno imparato a scoraggiare chi tenti di «sfidare le loro convinzioni» - è la frase fatta con cui si chiude la bocca a chi voglia impartire nozioni di qualunque tipo -; e le conseguenze sono sotto gli oc- chi di tutti. Secondo sondaggi fra studenti dai 21 ai 25 anni, solo il 25% dei bianchi, il 1% dei latini e il 3% dei neri è in grado di consultare un orario degli autobus. «Politically Correct», abbreviato in PC, è come si sa il sinistro criterio con cui si può tarpare le ali praticamente a qualsiasi iniziativa. L'altra minaccia sbandierata, ora che quella esterna del marxismo non esiste più, è la cosiddetta molteplicità delle culture. Secondo la nuova ottica perversa, ogni minoranza avrebbe il diritto a veder rispettata la propria presunta identità e il proprio retaggio; ma questo criterio se applicato miopemente conduce alla paralisi generale. Ora, parlando da ospite, Hughes indica proprio nella meravigliosa tolleranza con cui negli Stati Uniti i gruppi più diversi hanno sempre saputo coesistere, la principale ragione della sopravvivenza della nazione; e in pagine particolarmente spiritose cita il proprio esempio, di australiano di ceppo irlandese educato dai Gesuiti al cattolicesimo con il modello e il sogno della lontanissima Inghilterra sempre davanti agli occhi. Inghilterra bella e lontana Quando ero ragazzo, dice, sembrava naturale che il nostro governo potesse essere sciolto da una giovane donna che risiedeva a molte migliaia di miglia di distanza; indifferenti alla natura del nostro Continente, vagheggiavamo quella descritta dai poeti romantici inglesi; chiamavamo «Lontano Oriente» quello che per noi era in realtà «Vicino Settentrione». Eppure, conclude lo scrittore, questa prevaricazione che oggi farebbe orrore, mi aprì gli occhi su tante cose: l'isolamento culturale inaridisce, mentre l'esposizione ad altre civiltà amplia gli orizzonti e aiuta a capire anche se stessi. Esortati al separatismo come lo sono oggi, gli americani abboccano alla propaganda più grossolana e faziosa, e così come sono pronti a scambiare per selvaggi superstiziosi gli arabi, si assumono responsabilità di cui sono meno carichi di altri, per esempio nei confronti dello schiavismo, che dopotutto, la Storia lo conferma, ereditarono come prassi da altri popoli, e semmai ebbero a un certo punto l'iniziativa di abolire, mentre oggi c'è chi lo pratica ancora. Come c'era da aspettarsi da un giornalista così brillante, Hughes è particolarmente pirotecnico quando arriva al campo che più da vicino gli compete, leggi la denuncia dell'antico e mai rinnegato atteggiamento americano verso l'arte, che ruskinianamente deve elevare e istruire, oggi fra l'altro dando lezioni di democrazia. Questo porta a giudizi aberranti - l'autrice della Capanna dello zio Tom è più importante dell'autore di Moby Dick, perché il suo libro ebbe maggiori conseguenze sociali -; porta alla solita sciocca difesa delle minoranze (tutti hanno diritto a esprimersi, sembra quindi brutto discriminare gli artisti in base alla qualità. Ma gli americani non sono anche grandi cultori dello sport, dove tutti ammirano colui che eccelle, il campione?); porta infine alla confusione in materia di censura, tutto sembra lecito fin quando un artista scandalizza fotografando un crocifisso di plastica immerso nella pipì, e allora si reagisce istericamente proponendo leggi limitatrici dei già scarsi contributi alle iniziative culturali. Masolino d'Amico

Luoghi citati: America, Inghilterra, Italia, Stati Uniti, Venezia