L'8 settembre? Una farsa

Denis Mack Smith: così Badoglio e i generali portarono l'Italia alla rovina Denis Mack Smith: così Badoglio e i generali portarono l'Italia alla rovina L'8 settembre? Una farsa Fra troppe astuzie, mercanteggiamenti, malafede e indecisioni, i retroscena dell'armistizio USSOLINI fu deposto il 25 luglio 1943, ma passarono sei settimane prima che l'Italia accettasse di firmare l'armistizio con gli Alleati, e questo lasso di tempo portò ad uno dei più gravi disastri della storia italiana. Sei settimane di indecisione diedero ad Hitler tutto il tempo di impadronirsi di gran parte del Paese. Di fronte a questa minaccia il maresciallo Badoglio lasciò l'esercito senza ordini. Altrettanto grave fu il fatto che Mussolini fu lasciato fuggire di prigione, dando inizio a una terribile guerra civile. E un'ulteriore conseguenza fu che gli Alleati, quando, la notte fra l'8 e il 9 settembre, invasero per la prima volta il continente, ricevettero uno scarso aiuto da parte degli italiani rispetto a quello promesso pochi giorni prima. Sono state date molte spiegazioni di questo collasso. Da parte italiana si è sempre ripetuto che gli Alleati vennero meno all'impegno preciso di non invadere prima del 12 settembre; ma in realtà non ci fu nessun impegno e questa scusa è una pura invenzione. Una spiegazione più seria si trova nell'operato di una mezza dozzina di politici e generali italiani a Roma. Con il senno di poi è possibile pensare che il re abbia sbagliato quando rifiutò di schierarsi subito contro i tedeschi il 25 luglio. Sarebbe stata una decisione coraggiosa e rischiosa, ma in quel momento c'erano poche truppe naziste in Italia, ad eccezione di quattro divisioni che erano impegnate a combattere le truppe anglo-americane in Sicilia. Cambiare schieramento subito avrebbe portato al grosso vantaggio di mettere immediatamente l'Italia dalla parte del vincitore. Avrebbe evitato l'umiliazione della resa e dato una carica notevole al morale della nazione. Secondo vari ufficiali italiani dell'epoca, l'operazione avrebbe avuto buone possibilità di successo e avrebbe accorciato di molto la guerra. Al contrario, però, il re sperava che si uscisse dalla guerra senza ulteriori combattimenti. Questa, almeno, è l'unica spiegazione plausibile della mancanza di urgenza nel chiedere agli Alleati un armistizio. Nella settimana seguente al 25 luglio il re non fece niente a parte cercare di avere un incontro personale con Hitler. Poi, in agosto, ci furono sei diversi tentativi in gran segreto: inviati italiani furono mandati a contattare gli Alleati in Portogallo, Svizzera ed Africa. Nessuno degli inviati fu incaricato di chiedere l'armistizio. Il loro ruolo era quello di scoprire quali piard avessero gli Alleati per un'invasione e di ottenere una garanzia per la sopravvivenza della monarchia. Inoltre dovevano far presente che il miglior posto per cominciare l'invasione avrebbe potuto essere la Francia, o piuttosto i Balcani, lasciando così l'Italia in pace. Se il luogo, nonostante tutto, fosse stato l'Italia, allora Eisenhower avrebbe dovuto sbarcare quando, dove e con uno schieramento tele da soddisfare il governo di Roma, così che il Maresciallo Badoglio potesse decidere se dare o no un aiuto. Non si trattava certamente di un'adesione completa alla causa alleata; al contrario, nello stesso momento altri ufficiali, come Eisenhower sapeva, furono inviati a discutere piani militari con l'alto comando tedesco. La principale intenzione di Roma era procrastinare il più possibile qualsiasi impegno. Questo si evidenzia osservando le date. Il generale Castellano, che dei vari inviati era il più serio, lasciò Roma ben tre settimane dopo la caduta di Mussolini, anche lui senza autorizzazione a discutere l'armistizio e stranamente con l'ordine di guadagnare tempo e non viaggiare verso Lisbona per via aerea. Eisenhower dovette perciò aspettare fino al 27 agosto prima che le sue proposte di pace fossero discusse a Roma; e dovettero passare poi ancora dieci giorni durante i quali si evidenziò fortemente una calcolata tergiversazione da parte del governo italiano. La prima reazione del ministro degli Esteri di Badoglio, Guariglia, ascoltando i termini proposti, fu che l'Italia avrebbe dovuto rifiutare di firmare ogni armistizio ed avrebbe continuato a combattere contro gli Alleati. Ma altri a Roma preferirono sottrarsi ad una scelta così drastica. Per esempio, Ambrosio, come capo di stato maggiore generale, persuase Badoglio a dare una risposta evasiva che non fosse né un sì né un no. Dopo altri tre giorni di discussioni inconcludenti, 3 31 agosto Badoglio decise che l'Italia non aveva scampo e doveva in principio accettare un armistizio, ma solo dopo che l'invasione fosse stata portata a termine con successo; inoltre gli Alleati avrebbero dovuto impegnare in questa azione almeno 15 divisioni, molto di più di quanto avessero in tutto lo scacchiere Mediterraneo. Di più l'attacco sarebbe dovuto avvenire a Nord di Roma, preferibilmente all'altezza del Golfo di Genova o di Rimini cioè ben al di là di qualsiasi possibilità di copertura aerea e con la ingenua supposizione che tali operazioni potevano essere improvvisate su due piedi. Di fronte ad una richiesta ultimativa da parte di Eisenhower, Badoglio mandò un altro messaggio il 1° settembre accettando come principio l'armistizio, ma ancora con riserve mentali. Durante tutta una serie di importanti incontri a Roma, il conte Acquarone, portavoce del re, propose semplicemente di fare finta di accettare l'armistizio, riservandosi di ripudiarlo all'ultimo momento se l'invasione fosse fallita. Un altro partecipante a questi incontri fu il ge¬ nerale Carboni, uno dei principali responsabili del disastro finale. Intervenne nelle trattative per dire che in più era contrario all'intera idea di concludere la pace, e che l'Italia avrebbe dovuto continuare a stare a fianco della Germania. Carboni era il generale comandante delle forze a Roma ed era capo dei servizi d'informazione militare. Era il più importante esponente militare con un comando attivo sul campo, e il fatto che non sia stato licenziato dopo questo intervento non è senza significato. Solo il 3 settembre, dopo le minacce di riprendere il bombardamento delle città italiane, Badoglio si decise e l'armistizio fu firmato in Sicilia. Eisenhower acconsentì che la notizia di questo accordo fosse resa pubblica qualche giorno dopo, quando fosse cominciato lo sbarco a Salerno. Ma si deve ricordare che Badoglio confessa in privato che non aveva intenzione di onorare l'impegno se nel frattempo per gli Alleati le cose fossero andate male. Per ottenere la firma dell'armistizio, Eisenhower accettò una richiesta italiana, lo sbarco di truppe aerotrasportate americane vicino a Roma. Poteva essere un'impresa molto rischiosa e avrebbe indebolito seriamente il combattimento a Salerno, ma fu accettata per inco¬ raggiare la resistenza italiana. Castellano promise che le quattro divisioni di Carboni avrebbero tenuto aperti i campi di atterraggio intorno a Roma e avrebbero usato la loro superiorità numerica per fronteggiare le due divisioni tedesche là dislocate. E' importante sottolineare che questa pericolosa operazione aerea fu richieste esplicitamente dall'esercito italiano: non solo da Castellano in Sicilia, ma nello stesso tempo dal generale Zanussi nel quartier generale di Eisenhower ad Algeri. Però nei giorni seguenti né Carboni, né Badoglio fecero preparativi per aiutarla. Il 7 settembre la visita a Roma del generale americano Taylor fu un avvenimento decisivo, poiché Taylor era il vicecomandante della flotta aerea che avrebbe dovuto sbarcare 24 ore dopo. Taylor si aspettava di trovare Ambrosio a Roma e fu sorpreso di scoprire che il capo di stato maggiore fosse inspiegabilmente partito poche ore prima e si trovasse a Torino. Non c'era traccia del vice di Ambrosio, né del capo di Stato dell'esercito, che si trovavano entrambi a Roma e sapevano che Taylor arrivava; Taylor vide solo Carboni, l'unico generale che aveva osteggiato l'intera operazione aerea. Carboni stava pranzando, fu rintracciato dopo altre due preziose ore: e si era alla vigilia di un'invasione dalla quale dipendeva il futuro dell'Italia. Quando Carboni infine arrivò, fu informato da Taylor che l'attacco era imminente, e diede la rovinosa risposta che la situazione era cambiata, e che l'Italia doveva ritirare la sua offerta di aiuto. Carboni spiegò (e non era vero) che i tede- schi occupavano gU aeroporti a Roma e Badoglio avrebbe quindi rinnegato l'armistizio firmato quattro giorni prima; chiedendo, per cortesia, agli Alleati di rinunciare allo sbarco aereo e posporre la pubblicazione dell'armistizio con l'Italia. Taylor insistette di svegliare Badoglio a casa sua, ma servì solo a scoprire che questa era la linea di condotta ufficiale. L'intero episodio è una storia assurda. Un'altra scusa di Carboni per chiedere la cancellazione dell'operazione aerea fu che le sue truppe corazzate intorno a Roma mancavano di carburante e di munizioni, ma in privato rivelò agli altri ufficiali suoi colleghi di aver volutamente esagerato per scoraggiare il generale Taylor. Infatti ora sappiamo che gli italiani potevano contare su quantità considerevoli di carburante e rifornimenti. Eisenhower fece appena in tempo a cancellare l'operazione con truppe aerotrasportate ma subito dopo si mosse per far fallire il piano di Badoglio, annunciando dalla radio di Algeri che gli italiani avevano firmato un armistizio, e che il documento era in suo possesso. Aveva preso la precauzione di far filmare l'atto deDa firma. Questa notizia colse gli italiani completamente di sorpresa e arrivò a Roma proprio quando su ordini del re si stava redigendo una formale denuncia dell'armistizio. Costretto malvolentieri a cambiare politica, Badoglio avrebbe potuto forse salvare la situazione chiamando gli italiani alle armi contro l'oppressore tedesco e guadagnandosi così un posto a fianco degli Alleati. Ma parlò invece come se stesse accettando soltanto un'umiliante capitolazione. Poi partì in frette da Roma senza nemmeno informare gli altri ministri e senza dare ordini ai generali per organizzare una resistenza. Non soltanto Eisenhower, ma anche i comandanti tedeschi Kesserling, Westphal e Student erano d'accordo che Roma si poteva difendere con l'aiuto della divisione aerotrasportata americana e che ciò avrebbe forse costretto i tedeschi a ritirarsi al Nord Italia. Denis Mack Smith Eisenhower promise uno sbarco aereo su Roma: tutto era pronto, gli si mentì per fermarlo WKKKKKKM Milanonell'agIn altoal titoMack Sotto,dell'ara Cass Milano nell'agosto '43. In alto, accanto al titolo, Denis Mack Smith. Sotto, la firma dell'armistizio ■ a Cassibile Badoglio, e a sinistra il gen. Carboni: disse agli americani che i tedeschi occupavano gli aeroporti di Roma