In quattro per chiudere bene

In quattro per chiudere bene In quattro per chiudere bene EccoPanetta, Antibo, Di Napoli, Trabaldo STOCCARDA. La medaglia di bronzo di Lambruschini nelle siepi sarà una buona iniezione di fiducia per gli altri mezzofondisti? Nell'ultima distribuzione di carte sul tavolo verde del Gottlieb Daimler Stadion, oggi quattro azzurri sono ancora in gioco e tengono ben strette le loro carte. Vediamole. Come si potrebbe, per esempio, chiedere a Fabia Trabaldo di correre per il successo nei 1500 metri? La maestrina di Borgosesia ha già vinto il suo Mondiale, conquistando al debutto la finale. Potrebbe stravincerlo se migliorerà il personale (4'03"82). Potrà avvalersi, se la gara non sarà stregata dalle tattiche, della spinta che potrebbe venire da atlete che valgono meno di 4 minuti sulla distanza, in testa l'algerina Hassina Boulmerka. Anche nell'analoga prova maschile il punto di riferimento sarà costituito da un campione algerino: Nourredine Morceli, primatista e campione mondiale. Fu beffato lo scorso anno ai Giochi olimpici da quel coraggioso Fermin Cacho che fa onore al suo nome di battesimo, intitolato al santo a cui i giovani di Pamplona dedicano le cornate dei tori sfidati alla corsa libera. Ma anche Morceli ha un nome beneaugurante: Noureddine, letteralmente tradotto significa «la luce del Corano» e lui è un integralista dichiarato, che corre con la regola in mano e nel cuore e che tutto dedica al suo Profeta. Ma non si dovrà dimenticare che il nome vero di Genny di Napoli è quello miracoloso di San Gennaro. Ci si dovrà affidare alle doti taumaturgiche del santo partenopeo o basterà aver fiducia in questo geniale interprete dell'atletica? In definitiva Di Napoli è un artista nella vita e nella corsa, sempre pervaso da una sorta di febbre del sabato sera che lo portava ad essere inimitabile animatore di balere e temerario interprete di copioni difficili in gare difficilissime. Alla vigilia professa modestia: dichiara che c'è gente di un altro pianeta, indica oltre a Morceli e Cacho anche Stenzel. Ma potrebbe essere veramente folgorato e miracolato da quella feb- bre che lo ha portato spesso ad esprimersi ai massimi livelli. Nessuno dei nostri avanza pretese di vittoria e ancor meno lo fanno, per la prova dei 10 mila metri, Panetta e Antibo. Ma non hanno certo intenzione di fare le comparse. Si tratta di due veterani che forse conservano ancora un bastone da maresciallo. Panetta, calabrese per radici ma milanese per scelta e cittadino del mondo per istinto, ha nascosto a tutti la sua vera condizio- ne. Venerdì nelle batterie dei 10 mila si è mimetizzato nel cuore del gruppo; si è celato dietro ad una corsa economica, senza spinte e accelerazioni. Risparmiava come un avaro, i suoi capitali di forza nascosti nel materasso: o in realtà non ha molto da spendere? Per quanto sappiamo di lui non è questo il suo modo di intendere la corsa. Ama la battaglia, preferisce avventurarsi solitario in mare aperto. E' quanto ha ereditato dal padre, un marittimo che per vent'anni ha solcato gli oceani. Si pensa che stia studiando la tattica della battaglia, come fece proprio su questa pista sette anni fa, cavaliere solitario in una fuga che gli donò l'argento nelle siepi e fama eterna. E proprio sette anni fa, nella finale europea dei 10 mila, ci fu qui a Stoccarda un trionfo tutto azzurro con Mei primo, Cova secondo ed Antibo terzo. Allora Salvatore aveva 24 anni, ora ne ha oltre 31: ma il cuore è rimasto giovane, come e forse più di allora. «Non è vero che la mia finale l'ho corsa venerdì in batteria. So che mi manca tanto lavoro alle spalle, che avrei bisogno di almeno un altro mese e mezzo di allenamento, ma sono sempre quello di prima e farò il mio dovere». Gli uomini da battere? Sempre i soliti, con i terribili kenioti naturalmente in prima fila. Vanni Lorìga E' soprattutto nei 10.000 che le carte azzurre sono pesanti In alto: lo spagnolo Garcia al suolo dopo l'oro nella marcia; a destra la Capriotti, a sin. la Bevilacqua

Luoghi citati: Borgosesia, Fabia, Napoli, Stoccarda